marxismo
Termine usato per designare, generalmente, gli sviluppi e le interpretazioni cui il pensiero di Marx ha dato luogo soprattutto dal momento in cui, con la nascita dei primi partiti socialdemocratici, è divenuto l’ideologia di larga parte del movimento operaio europeo.
Questo processo di diffusione e propagazione ideologica, che ha inizio specialmente dopo la costituzione della Seconda Internazionale (Parigi 1889), è dominato nei primi anni dalla figura di Engels, che, dopo la morte di Marx (1883), rimase l’autorità maggiore del m. europeo. Alcuni suoi scritti di questo periodo – e, in partic., Der Ursprung der Familie, des Privateigentums und des Staates (1884; trad. it. L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato), nonché il Ludwig Feuerbach (1888) – esercitarono un’influenza decisiva sulla nuova generazione, profondamente permeata di cultura darwinistica e che, per la generale forma mentis positivistica dell’epoca, trovava particolarmente congeniale ai propri interessi l’esposizione del m. in chiave di filosofia generale e dialettica della natura, elaborata da Engels negli ultimi anni della sua vita. Sia in Russia sia in Germania, cominciò così ad affermarsi, a cavallo del secolo, un’interpretazione del pensiero di Marx che respingeva in secondo piano l’analisi del capitalismo, per dare invece rilievo ed evidenza a una sorta di ontologia materialistica, suddivisa in filosofia della natura e filosofia della storia. Ciò si verifica, con tratti più marcatamente darwinistici, in Kautsky, che diverrà il maggiore rappresentante del m. teorico in Germania nell’epoca della Seconda Internazionale, e con una maggiore accentuazione, invece, nel senso del monismo filosofico in Plechanov, principale esponente del m. in Russia, secondo il quale i fondamenti ultimi del pensiero di Marx devono essere derivati dalla filosofia di Spinoza e da quella di Schelling.
Entro questo orizzonte teorico, fortemente impregnato di positivismo e di influenze della filosofia romantica della natura, prese corpo, alla fine del 19° sec., il cosiddetto revisionismo, caratterizzato, in filosofia, dal tentativo di combinare il materialismo storico con l’etica kantiana, e, in economia e in politica, dall’esigenza di sostituire alle finalità rivoluzionarie del m. una visione gradualistica e riformatrice. I principali esponenti di questo movimento sono C. Schmidt e Bernstein, il cui libro Die Voraussetzungen des Sozialismus und die Aufgaben der Sozialdemokratie (trad. it. I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia), apparso nel 1899, può essere considerato come il testo programmatico di tutto questo indirizzo. Le tesi fondamentali del revisionismo sono, da una parte, il rifiuto della «dittatura del proletariato» in nome della legalità e del rispetto delle costituzioni liberaldemocratiche; e, dall’altra, la spiegazione del fenomeno dello sfruttamento come derivante non dall’organizzazione stessa della produzione capitalistica, ma soltanto dall’ingiustizia nella distribuzione: ingiustizia cui si può quindi porre rimedio con opportuni interventi riformatori e legislativi. La lotta al revisionismo, condotta in una prima fase da Kautsky e da Plechanov, vide più tardi balzare in primo piano Lenin in Russia e Rosa Luxemburg e Mehring in Germania. Il culmine della lotta coincise con gli anni della Prima guerra mondiale, quando la maggior parte dei partiti socialdemocratici europei appoggiarono i governi dei rispettivi paesi, fino a votare in favore degli stanziamenti militari e dell’intervento in guerra.
La vittoria della Rivoluzione d’ottobre (1917) in Russia e la fondazione della Terza Internazionale, avvenuta a Mosca nel 1919, aprirono una fase nuova, contrassegnata dalla rottura tra l’ala socialdemocratica e l’ala comunista del movimento operaio. In campo filosofico questa nuova fase vide una profonda reazione al revisionismo e il ritorno al m. ortodosso, che, sulla scorta soprattutto degli scritti filosofici di Engels, fu ormai definitivamente codificato nelle forme del materialismo dialettico. Tra la Seconda e la Terza Internazionale, con posizioni intermedie sia sul piano politico sia su quello teorico rispetto alle ali estreme, si colloca il cosiddetto «austromarxismo», che annovera tra i suoi principali esponenti il filosofo M. Adler, gli economisti R. Hilferding e O. Bauer, nonché il giurista K. Renner. In Italia, al volgere del secolo, emerse la figura di Labriola, il primo originale filosofo marxista italiano, sulle cui orme si porrà, più tardi, dopo la Prima guerra mondiale, Gramsci. Nei primi lustri del 20° sec., in relazione ai complessi problemi sollevati dai nuovi sviluppi dell’economia capitalistica, presero forma alcune importanti analisi tese all’aggiornamento del Capitale di Marx. Tra queste: Die Agrarfrage (1900; trad. it. La questione agraria) di Kautsky; Das Finanzkapital (1909; trad. it. Il capitale finanziario) di Hilferding; Die Akkumulation des Kapitals (1913; trad. it. L’accumulazione del capitale) di Luxemburg, nonché Imperializm, kak vysaja stadija kapitalizma (1916; trad. it. L’imperialismo fase suprema del capitalismo) di Lenin. Negli anni intorno al primo decennio del secolo è da ricordare, infine, lo sviluppo, soprattutto in Russia, di una particolare forma di revisionismo filosofico, a opera di autori come Bogdanov, N. Valentinov e altri che risentivano particolarmente dell’influenza della filosofia di Mach e di Avenarius ed erano soprattutto interessati ai problemi della teoria della conoscenza. Questa corrente, che si proponeva un aggiornamento della teoria della conoscenza materialistica nel senso dell’«empiriocriticismo» e che, a differenza del revisionismo di Bernstein, era estranea a conclusioni politiche riformiste, fu combattuta soprattutto da Lenin (➔), il quale, proprio nel corso di questa lotta, definì i lineamenti di quel materialismo dialettico, largamente ispirato alle posizioni engelsiane, che in seguito alla sua morte, e al successo della rivoluzione bolscevica, sarebbe poi divenuto l’ideologia ufficiale dei partiti comunisti riuniti nella Terza Internazionale.
L’interpretazione del pensiero di Marx subì un radicale rinnovamento all’inizio degli anni Venti in Europa centrale, a opera di Lukács e di Korsch, principali esponenti del cosiddetto m. occidentale. L’opera cui si deve far risalire il maggiore apporto, in questo campo, è Geschichte und Klassenbewusstsein (1923; trad. it. Storia e coscienza di classe) di Lukács. Ungherese di nascita, ma formatosi a Heidelberg alla scuola di Rickert e di Lask, Lukács rielaborò il pensiero di Marx alla luce delle correnti più avanzate della filosofia europea. Egli sottopose a una critica radicale il m. della Seconda Internazionale, respingendone le contaminazioni positivistiche, nonché il trasferimento, da esso operato, del metodo e delle categorie, proprie delle scienze naturali, nel campo della riflessione storico-sociale. La sua critica, che investiva anche la dialettica della natura elaborata da Engels, oltre che la concezione della conoscenza come «rispecchiamento» della realtà, sviluppata, sulla base degli scritti di Engels stesso, da Plechanov e da Lenin, concludeva con una forte ripresa dei motivi dialettici della filosofia di Hegel. Il divenire dialettico non è un requisito dell’oggettività naturale; dialettica, piuttosto, è la relazione soggetto-oggetto e, più ancora, la «totalità» storica che li ricomprende entrambi. L’apprensione del mondo nelle forme del pensiero scientifico-naturale è null’altro che il prodotto e l’effetto della «reificazione» che viene impressa alla realtà dal feticismo connaturato alla produzione delle merci. Questa reinterpretazione del pensiero di Marx, in chiave di teoria dell’«alienazione» e del «feticismo», e con una forte accentuazione dei motivi hegeliani in esso presenti, fu sottoposta a una radicale condanna, negli anni intorno al 1925, nella Terza Internazionale, soprattutto a opera di G.E. Zinov΄ev e degli altri dirigenti bolscevichi levatisi a difesa dell’«ortodossia» materialistico-dialettica. Analoga sorte incontrò l’altro esponente del m. occidentale, Korsch, che, nel 1923, nello stesso anno in cui era apparsa Storia e coscienza di classe, si era portato su posizioni analoghe a quelle di Lukács, con il suo libro Marxismus und Philosophie (trad. it. Marxismo e filosofia). Senonché, a differenza di Korsch, che, approfondendo la sua critica della base filosofica comune al m. della Seconda e della Terza Internazionale, concluse, intorno al 1930, con l’abbandono del movimento politico organizzato, Lukács autocriticò, in quegli stessi anni, le sue posizioni filosofiche del 1923, abbracciando il materialismo dialettico, al servizio del quale mise d’allora in poi la sua attività storiografica, culminante, nel 1948, nella pubblicazione di Der junge Hegel (trad. it. Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica).
La vicenda attraversata dal m. occidentale, e, più ancora, gli scritti giovanili inediti di Marx (in partic. i Manoscritti economico-filosofici del 1844), la cui conoscenza si diffuse soprattutto negli anni del secondo dopoguerra, contribuirono ad aprire un nuovo capitolo nella storia del m. novecentesco, ponendo al centro della discussione il controverso problema del rapporto Hegel-Marx. In questo quadro le vicende del m. appaiono intrecciate, in modo più o meno diretto, con il revival registrato dal pensiero di Hegel negli anni a cavallo della Seconda guerra mondiale, quando l’interpretazione del suo pensiero passò dalle mani della storiografia neoidealistica in quelle delle correnti esistenzialistiche e fenomenologiche. Kojève e Hyppolite da una parte, Marcuse, Horkheimer e soprattutto Adorno dall’altra, appaiono così (quantunque nessuno di questi autori si richiami in senso stretto al m.) suscitatori di interpretazioni del pensiero di Hegel che non mancano di condizionare, per adesione od opposizione, gli sviluppi della discussione marxista propriamente detta intorno al rapporto Hegel-Marx e ai problemi della dialettica.
Tale orientamento è entrato progressivamente in crisi nel secondo dopoguerra. In Italia – dove l’opera di Gramsci costituirà un punto di riferimento essenziale per il m., grazie alla pubblicazione dei Quaderni del carcere, avviata da P. Togliatti nel secondo dopoguerra – un ruolo importante è stato svolto, in questo senso, da Della Volpe (➔), il quale (a partire da Logica come scienza positiva, 1950), muovendo soprattutto dagli scritti giovanili di Marx, ha accentuato fortemente il distacco della riflessione storico-sociale di Marx e del metodo seguito nel Capitale dall’apriorismo speculativo della dialettica idealistica hegeliana. L’impostazione dellavolpiana è stata sviluppata e approfondita in modo particolare da Colletti (➔). Analogamente, in Francia si è assistito, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, soprattutto per opera di Althusser (➔), alla nascita di un nuovo orientamento del m. teorico, tendente a rimarcare – in contrasto con le letture esistenzialistiche, umanistiche, neoidealistiche del passato, e in sintonia con le posizioni epistemologiche dello strutturalismo francese – il carattere scientifico dell’opera di Marx, e a svalutare di conseguenza i motivi (alienazione, feticismo, ruolo storico-politico della classe operaia) legati al dibattito filosofico tradizionale. Partendo da premesse molto diverse (individualismo metodologico, teoria delle scelte razionali), al rifiuto della dialettica e della concezione finalistica della storia, è approdato anche il principale indirizzo del m. filosofico anglosassone, il cosiddetto m. analitico, teorizzato negli anni Ottanta del 20° sec. da Elster (➔) e da John Roemer (Analytical foundations of marxian economic theory, 1981; A general theory of exploitation and class, 1982; Value, exploitation and class, 2001, trad. it. Valore, sfruttamento e classe); i lavori del secondo, in partic., si caratterizzano per il tentativo di sganciare il concetto di sfruttamento dalla teoria del valore-lavoro e di aggiornare la teoria marxiana delle classi.