MARTINO
– Nacque tra il primo e il secondo decennio del secolo XIII; non si hanno notizie sulla sua formazione, ma è noto che entrò nel monastero di S. Michele in Borgo di Pisa, appartenente alla Congregazione camaldolese di cui M. fu abate fino al 1248 quando, nel corso del capitolo, fu eletto priore generale dell’Ordine camaldolese.
Poco dopo l’elezione, M. diede una prima prova delle sue capacità di legislatore durante la visita all’eremo veneziano di S. Mattia di Murano (29 maggio), di recente fondazione, imponendo l’osservanza delle regole eremitiche del beato Rodolfo a tutta la Congregazione, e promulgando alcune costituzioni, scritte appositamente per quella comunità, alla quale si riconosceva uno statuto speciale caratterizzato da un peculiare regime alimentare e da una disciplina quotidiana più rigorosa di quella vigente nei cenobi.
Nel corso del suo priorato M. rinnovò l’Ordine camaldolese attraverso una decisa opera di centralizzazione e di esaltazione dell’identità congregazionale, che realizzò favorendo la circolazione dei monaci tra i diversi insediamenti e ponendo persone di sua assoluta fiducia alla guida delle comunità. Forte dell’appoggio della Sede apostolica, M. rinsaldò ed espanse la Congregazione; nel 1251 ottenne da Innocenzo IV il diritto per i camaldolesi di predicare come i frati degli Ordini mendicanti senza subire limitazione alcuna da parte dei vescovi. Lo stesso anno il pontefice sottopose tutte le proprietà delle dipendenze camaldolesi al controllo del priore generale, rendendone obbligatorio il consenso prima di qualsiasi alienazione. Fedele alla causa del Papato nella lotta contro Federico II, il 9 luglio 1252 M., su ordine di Innocenzo IV, assolse Tegrimo e Guido Guidi, conti di Modigliana, fautori dell’imperatore scomunicato, che dopo la morte di questo (nel 1250) avevano chiesto perdono al pontefice. Nello stesso anno M. ricevette da Guido Guerra Guidi la donazione del monastero di Pietra Fitta nel Casentino, e i buoni rapporti con l’aristocrazia delle zone contermini a Camaldoli proseguirono per tutto il suo priorato.
Nel corso del capitolo generale della Congregazione nel 1253 promulgò, il 1° ottobre, le costituzioni dette De moribus, distribuite in tre libri (Annales…, VI, coll. 1-65).
Il primo libro, che consta di 57 capitoli, regolamenta l’organizzazione dei monasteri nel solco della tradizione benedettina, fissandone la gerarchia interna (capitoli 4-9), il regime alimentare (capitoli 24-26) e diverse altre norme della quotidianità cenobitica. Il secondo libro, composto da 55 capitoli, è dedicato alla struttura congregazionale dell’Ordine e agli organi che ne garantiscono il funzionamento: il capitolo generale (la cui convocazione, secondo il dettato del quarto concilio Lateranense, era obbligatoria ogni tre anni) e i capitoli particolari (capitoli 1-8); l’elezione, che doveva avvenire nell’eremo di Camaldoli il 19 giugno, festa di S. Romualdo, e le funzioni del priore generale (capitoli 9-10 e 46), che nella legislazione di M. assunse tratti decisamente autocratici, temperati e bilanciati unicamente dal peso del capitolo generale; l’istituto della visita e il ruolo dei visitatori quale tramite tra centro e periferie della congregazione (capitoli 11-17). Il terzo libro, infine, diviso in 48 capitoli, regola alcuni aspetti della disciplina monastica, come la forma dell’abito (capitoli 1-4), il lavoro manuale (cap. 5), l’ospitalità (capitoli 32-35) e le comunità femminili (capitoli 7-14), per le quali M. fissò le modalità di designazione del cappellano e una minuta precettistica che regolava la vita quotidiana.
Scopo precipuo della sua attività di legislatore fu quindi la riforma e l’uniformazione dell’Ordine, a partire dalla razionalizzazione e dalla chiarificazione della precedente tradizione consuetudinaria. Ne risultò una generale revisione della struttura istituzionale della Congregazione, tesa a privilegiarne la componente cenobitica e a imporre alle comunità camaldolesi un aspetto assai prossimo a quello delle grandi abbazie della tradizione benedettina.
Con l’intento di amalgamare le diverse componenti dell’Ordine camaldolese e affermarne un governo sempre più centralizzato, M., contestualmente con il De moribus, promulgò nel 1253 il primo vero e proprio ordinario che descriva nel dettaglio lo svolgimento nel corso dell’anno della celebrazione dell’officio liturgico camaldolese. M. dispose che tutti gli eremi e i cenobi si adeguassero al nuovo rituale entro tre anni.
Nel 1257 M. ottenne dal pontefice un atto che contribuì a rafforzare il profilo congregazionale dei camaldolesi, in quanto li autorizzava a non rispondere a lettere pontificie indirizzate a singoli insediamenti che non contenessero espliciti riferimenti all’appartenenza all’Ordine di quegli stessi insediamenti. (ibid., V, col. 41). Consapevole dell’importanza della solidità patrimoniale della Congregazione, M. esercitò con scrupolo la funzione di controllo delle proprietà di eremi e monasteri che gli era stata accordata da Innocenzo IV, in particolare quando, sempre nel 1257, si oppose al tentativo dell’arcivescovo di Pisa, Federico Visconti, di inglobare gli ospedali camaldolesi della sua diocesi in un solo ospedale di diritto episcopale. Mirava invece a chiarire e a razionalizzare il regime di esenzione di S. Mattia di Murano la piena sottomissione all’Ordine camaldolese dell’importante eremo veneziano ottenuta da M. il 30 novembre di quello stesso anno.
M. morì a Firenze nel monastero di S. Salvatore di Camaldoli, certamente dopo il 25 ag. 1258, giorno nel quale M. è attestato, in un documento notarile, a Firenze in occasione di un negozio riguardante S. Michele in Borgo di Pisa (cfr. Annales, V, col. 47), in una data che oscilla fra l’11 e il 13 settembre.
Fonti e Bibl.: S. Razzi, Le vite de’ santi e beati dell’Ordine di Camaldoli, Firenze 1600, pp. 69-71; A. Costadoni - G.B. Mittarelli, Annales Camaldulenses Ordinis Sancti Benedicti…, V, Venetiis 1760, coll. 1-47; VI, ibid. 1761, App., coll. 1-203; Acta sanctorum, septembris, IV, Venetiis 1761, pp. 50 s.; C. Breschi, Il monastero di S. Michele in Borgo di Pisa fino a tutto il secolo XIII, tesi di laurea, Università degli studi di Pisa, a.a. 1966-67; M.E. Magheri Cataluccio - U. Fossa, Biblioteca e cultura a Camaldoli dal Medioevo all’umanesimo, Roma 1979, pp. 35, 46, 60-82, 96 s., 169, 245, 265, 442, 451; C. Caby, De l’érémitisme rural au monachisme urbain. Les camaldules en Italie à la fin du Moyen Âge, Rome 1999, pp. 121-126, 128, 143 s., 146, 152, 160, 171, 182, 189 s., 268, 427; Id., Règles, coutumes et statuts dans l’Ordre camaldule (XIe-XIVe siècle), in Regulae - consuetudines - statuta. Studi sulle fonti normative degli Ordini religiosi nei secoli centrali del Medioevo, a cura di C. Andenna - G. Melville, Münster 2005, pp. 205 s., 212-218; P. Licciardello, I camaldolesi tra unità e pluralità (XI-XII sec.). Istituzioni, modelli, rappresentazioni, in Dinamiche istituzionali delle reti monastiche e canonicali nell’Italia dei secc. X-XII, a cura di N. D’Acunto, Negarine di San Pietro in Cariano 2007, pp. 214 s., 218, 229; Bibliotheca sanctorum, VIII, col. 1299.