TOMITANO, Martino
TOMITANO (da Tomo), Martino (Bernardino da Feltre). – Nato a Feltre nel 1439, fu il primogenito degli undici figli di Donato da Tomo e di Corona Rambaldoni.
La madre, non altrimenti documentata che nelle più antiche narrazioni sulla vita di Tomitano, fu parente del pedagogo Vittorino da Feltre (1378-1446) e appartenne a una famiglia di solida connotazione patrizia. I da Tomo, pur vantando tradizioni militari e cavalleresche, erano invece una famiglia de populo. Secondo gli ordinamenti feltrini, infatti, il ceto dei nobiles si componeva delle famiglie ammesse al Consiglio cittadino, dal quale i da Tomo nel XV secolo erano ancora esclusi. Entrarono a farne parte solo nell’inoltrato Cinquecento, quando assunsero il cognome Tomitano in luogo dell’antica forma cognominale da Tomo, che ne ricordava la provenienza dall’omonima villa del contado feltrino.
Martino Tomitano provenne peraltro da un ramo cadetto, di modestissima dotazione fondiaria e di profilo spiccatamente borghese: oltre che notaio il padre Donato era un lanaiolo membro dell’arte, proprietario di una bottega e di una tintoria, attivo anche sul modesto mercato del credito e della ‘finanza’ locale (depositi di denaro per conto terzi, soccide, livelli francabili, mutui ipotecari).
Le testimonianze sugli anni trascorsi da Tomitano, in infanzia, nella sua città natale sono poche e opinabili. Fonti biografiche e archivistiche, tuttavia, consentono quantomeno di sostenere che egli effettuò gli studi primari presso la scuola pubblica di Feltre e che ebbe come maestri, oltre a un non meglio identificabile Giacomo da Milano, gli umanisti Antonio Baratella e Damiano da Pola. Manifestò una predisposizione agli studi di umanità, concretizzatasi in un’attività di versificazione poetica in latino (di cui non rimane traccia) e in una precoce esperienza nell’oratoria pubblica (a quattordici anni egli avrebbe pronunciato un sermone celebrativo della Pace di Lodi).
Benché non ancora in possesso dell’idoneità anagrafica, nel 1453 Tomitano venne ammesso dal Collegio feltrino dei notai all’esercizio del notariato, ma tale abilitazione non ebbe pratici risvolti. Nello stesso anno, infatti, quattordicenne lasciò Feltre e si trasferì a Padova, per intraprendervi gli studi superiori, anch’essi mal documentati. La prima tappa fu il triennio di grammatica superiore facente capo alla facoltà di arti e propedeutico ai corsi accademici propriamente detti. Egli dovette poi procedere nello studio delle arti, dal momento che le fonti accennano ai suoi interessi per l’astronomia e menzionano, quali suoi maestri, docenti riferibili alla facoltà delle arti (Zaccaria Dal Pozzo, Giovanni Antonio Romanello e Giovanni Michele Alberto da Carrara); ma forse frequentò anche, a latere, lezioni di diritto.
Il curriculum di studi tuttavia non fu completato, per ragioni ignote, ma certamente anche per la vocazione che nel 1460 portò il giovane feltrino a entrare nell’Ordine francescano osservante.
Furono molteplici, del resto, gli stimoli che in Padova avvicinarono all’Osservanza Martino da Tomo. Dimorò nella casa del notaio Daniele da Porcia, uomo legatissimo al mondo francescano e, soprattutto, reportator delle prediche pronunciate a Padova da due colonne dell’Osservanza quali Bernardino da Siena, nel 1423 e nel 1443, e Giacomo della Marca, nel 1440. Ascoltò inoltre, durante gli anni di studio, alcuni tra i più grandi predicatori osservanti di metà Quattrocento che si succedettero sui pulpiti della città euganea: tra gli altri, Michele Carcano, Antonio da Bitonto e Roberto Caracciolo. Ma a smuovere definitivamente la sua vocazione furono le prediche padovane di della Marca. Quest’ultimo, il 14 maggio 1460, nel convento di S. Francesco Grande, fece indossare il saio al ventunenne feltrino, che assunse il nome religioso di Bernardino in onore del santo senese canonizzato un decennio prima.
Pronunciati i voti, Tomitano effettuò l’anno di noviziato nel piccolo convento padovano di S. Orsola (1460-61) e successivamente, nella seconda metà del 1461, venne insediato a Mantova nel convento di S. Spirito, nel quale rimase per circa un anno. Dopo un breve soggiorno a Verona (1462), venne quindi trasferito a Venezia, nel convento di S. Francesco della Vigna. Qui, tra il 1463 e il 1465, sotto la guida di un anonimo francescano parigino, ebbe modo di perfezionare la propria formazione teologica e di incontrare e conoscere Carcano (in quegli anni predicatore di punta dell’Osservanza).
Completati a Venezia gli studi teologici, nel corso del 1465 Tomitano fu nuovamente destinato a Mantova, ma stavolta nel convento di S. Francesco, dove rimase per sette anni (fino al 1471). Durante il lungo soggiorno mantovano, insegnò latino ai chierici, iniziò a manifestare il proprio talento oratorio (componendo svariate orazioni funebri sia latine sia volgari) e quindi, nel 1469, venne prima ordinato nel sacerdozio e quindi designato predicatore.
Lasciata Mantova, nel 1471 Tomitano ebbe il primo incarico di responsabilità, venendo destinato guardiano del convento di S. Spirito a Feltre, sua città natale. Dopo un anno, nei primi mesi del 1472, egli si unì quindi al vicario della provincia francescana delle Venezie, fra Ludovico Gonzaga, e, in veste di segretario, accompagnò quest’ultimo al capitolo generale dell’Aquila. Visitata Roma, Tomitano rientrò infine a Venezia, per prendere parte al capitolo provinciale (in questa occasione, egli fece vestire il saio al proprio fratello minore, Antonio da Tomo).
Dopo l’apprendistato accanto a Gonzaga, nel 1473 Tomitano assunse l’incarico di guardiano del convento di S. Bernardino a Trento e iniziò al contempo la propria sistematica attività di predicazione. Fu l’inizio di una brillante carriera, che fece di lui, nel volgere di pochi anni, uno dei predicatori più carismatici e ricercati della penisola. Nonostante la salute cagionevole e la fragile corporatura (si ritiene non superasse il metro e cinquanta di altezza), secondo una recente stima Tomitano percorse predicando oltre 17.000 km, che lo portarono a salire sui pulpiti di centinaia di città e di piccoli centri dell’Italia centrosettentrionale.
Ricchi, documentati e attendibilissimi documenti dell’instancabile predicazione di Tomitano sono le due narrazioni biografiche composte, rispettivamente nel 1531 e nel 1573, da Bartolomeo Simoni da Marostica e da Bernardino Guslino. Entrambe le fonti, infatti, derivano direttamente dalle Effemeridi dell’osservante Francesco Canali, compagno-segretario di Tomitano che registrò giorno per giorno, in un diario oggi perduto, spostamenti e vicende del predicatore feltrino. Altrettanto significativo, per inquadrare tematicamente e stilisticamente l’azione predicatoria di Bernardino, è il sermonario che tramanda le centoventi prediche pronunciate dal frate nel 1493, durante la quaresima di Pavia e l’avvento di Brescia, al quale si aggiungono pochi altri esemplari sparsi di singoli sermoni.
Mescolando i volgari dell’Italia nordorientale a citazioni in lingua latina, le sue prediche si concretizzavano in un intreccio stilistico capace di tenere assieme disquisizione teologico-giuridica e spaccati di vita quotidiana, exempla di sapore umanistico e sferzate di gusto ironico, spunti di cronaca e riflessione spirituale, toni visionari e concrete argomentazioni politiche ed economiche. Tomitano, inoltre, non mancava di rafforzare la comunicazione verbale con il ricorso a strumenti espressivi di tipo figurativo (richiamo al tema del Crocifisso, della Madonna con Bambino, della Imago Pietatis) e a espedienti di natura teatrale (roghi della vanità, rituali di pacificazione, processioni, pubblici esorcismi, sfilate di bambini).
Salvo personali declinazioni e circoscritti ma talora innovativi aggiustamenti, la predicazione di Tomitano si mantenne nel solco del quadro ideologico dell’Osservanza. Benché si fosse specializzato in alcune tematiche che costituirono gli aspetti più originali del suo apostolato, il nucleo profondo del suo pensiero rimase infatti quell’ideale della civitas christiana che l’ordine francescano aveva iniziato a elaborare fin dal Duecento. Tale ideale, ben lungi dall’essere mera astrazione, era un concreto progetto di riforma sociale, mirante alla realizzazione terrena di una comunità cristiana nella quale l’ideologia francescano-osservante e il messaggio evangelico dovevano costituire la norma intima dei singoli e l’imperativo morale della collettività. Era questo il disegno, non di rado sostenuto dai poteri civili, che mosse e organizzò l’attività predicatoria di Tomitano, fungendone da baricentro e da fattore coagulante.
Nonostante il quadro dottrinale di Tomitano possa essere complessivamente tracciato grazie a un manualetto di confessione attribuitogli (pubblicato a Venezia nel 1525 e tuttora poco utilizzato dagli studiosi) e grazie alle centoventi omelie dei sermonari pavese e bresciano del 1493, ogni classificazione dei temi più ricorrenti nella predicazione bernardiniana non può essere che parziale: dall’etica individuale del buon cristiano alla critica dei costumi sociali, della vanità e del lusso; dalla condotta muliebre alle pratiche devozionali; dalla precettistica biblico-evangelica all’illustrazione dei sacramenti; dalle fattispecie del peccato alla critica del gioco d’azzardo, della letteratura e dell’arte sconvenienti; dall’etica economica, con particolare riguardo al tema dell’usura, all’istituzione caritativa dei Monti di pietà; dalla pacificazione sociale al superamento delle lotte di fazione; dallo status degli ebrei nella società cristiana alle passioni materiali; dai doveri dei governanti alle dottrine pauperistiche.
All’interno di tale largo spettro tematico, le due materie connotanti l’apostolato di Tomitano, e non a caso le più discusse in sede storiografica, furono da un lato l’antigiudaismo e dall’altro l’etica economica e il pratico esito di quest’ultima: i Monti di pietà. L’interdipendenza tra la propaganda antiebraica e la promozione dei Monti da parte del frate feltrino ha sollevato non poche acrimonie controversistiche, ma gli studi più recenti suggeriscono di sfumare di molto i nessi di filiazione diretta tra antigiudaismo e Monti di pietà, invitando piuttosto a un esame distinto dell’uno e degli altri.
Nella visione sociale di Tomitano l’antiebraismo fu orientamento solido, radicato e, almeno in parte, ereditato dal pensiero dell’Osservanza, del quale era componente non trascurabile. Non meno significativi, nella formazione del suo antiebraismo, furono gli stimoli che egli poté variamente raccogliere all’interno della cultura borghese della sua famiglia di origine, nel milieu padovano del suo giovanile soggiorno universitario (che coincise con un momento tra i più effervescenti, in area veneta, del dibattito sullo status degli ebrei) così come, nel periodo in cui dimorò a S. Francesco della Vigna, negli ambienti veneziani (e anche in quella città in quel frangente la discussione sugli ebrei fu all’ordine del giorno).
L’orientamento antiebraico di Tomitano fu al tempo stesso teologico (adesione ai vecchi adagi del deicidio e della pertinacia ebraica), sociologico (critica serrata all’integrazione degli ebrei nella società cristiana) ed economico (lotta contro il prestito a interesse esercitato dagli ebrei e interpretato come usura nel senso deteriore e non tecnico del termine). Alla luce dei sermoni e delle fonti, l’antiebraismo del predicatore feltrino si tradusse in un’organica campagna di propaganda, a sostegno della quale Tomitano impugnò episodi di cronaca, exempla desunti dalla tradizione patristica e teologica, argomenti ispirati dalle parole di altri predicatori e riflessioni ricavate dalla trattatistica giuridica. Egli non omise inoltre di ricorrere a risalenti e diffusi pregiudizi, quali le vociferazioni intorno ai medici ebrei procuranti scientemente il decesso di pazienti cristiani e il mito dell’infanticidio rituale ebraico.
Proprio al pregiudizio dell’infanticidio rituale può essere associata la prima traccia di antiebraismo nell’apostolato di Tomitano, vale a dire l’infanticidio di Simone da Trento, avvenuto, nella quaresima del 1475, mentre egli si trovava nella città atesina per il quaresimale. Il coinvolgimento del frate nell’ondata di antiebraismo che portò ad accusare gli ebrei di Trento è questione molto discussa. Tuttavia, anche volendo screditare le fonti biografiche che attribuiscono al predicatore il merito di aver contribuito a decifrare la natura rituale ed ebraica del crimine, non possono non essere evidenziati l’armonia di vedute e i solidi rapporti di amicizia con il vescovo Iohannes Hinderbach, con il podestà Giovanni De Salis e con il giurista Gian Francesco Pavini, i protagonisti del processo conclusosi con la condanna al rogo degli ebrei.
Al di là dello sfuggente caso di Trento, a ogni modo, sono assai eloquenti i risultati del censimento che ha consentito di documentare, in vari centri italiani, tra il 1475 e il 1494, cinquantatré casi di tumulti antiebraici o decisioni politiche palesemente antiebraiche direttamente connessi all’attività predicatoria di Bernardino da Feltre.
L’antiebraismo di Tomitano ebbe dunque una propria autonomia ideologica e non fu né causa né conseguenza del secondo tema connotante l’apostolato del frate feltrino, ossia la fondazione dei Monti di pietà.
Questi istituti di prestito caritativo concepiti per sovvenire alle esigenze di piccolo credito con prestiti di denaro su garanzia di un pegno a rendere, ebbero infatti motivazioni da ricercarsi, più che nell’antigiudaismo in sé, nella complessiva etica economica francescana, che aveva identificato nella fame di credito delle società urbane e rurali un urgente campo d’intervento.
Dopo la morte di Carcano (1484), dal quale aveva ereditato l’intuizione dei Monti quali istituti caritativi di gratuito prestito, Tomitano iniziò a promuovere Monti di pietà aventi però la peculiare caratteristica di non erogare mutui gratuiti ma prestiti a basso interesse, con tassi oscillanti, a seconda delle normative statutarie dei singoli istituti, tra il 5 e il 15%. L’abolizione del gratuito mutuo a vantaggio di un prestito a basso tasso fu intuizione del predicatore feltrino, il quale giustificò tale innovazione con ineccepibili motivazioni di ratio economica. Il modesto interesse richiesto dai Monti, infatti, venne presentato come l’unica ragionevole garanzia per la stabilità finanziaria e per la copertura delle numerose spese correnti dell’istituto. Pur motivata, l’introduzione dell’interesse sul prestito propugnata da Tomitano sollevò all’interno dell’Osservanza non poche critiche, superate soltanto in occasione del capitolo generale dell’Ordine svoltosi a Firenze nel 1493.
Tra il 1484 e il 1494 Tomitano fondò venti Monti di pietà e di altri quattordici pose solide basi pur senza pervenire a una vera e propria fondazione. Questa incessante promozione, assieme alle iniziative antifazionarie e alle campagne antiebraiche, fu l’attività che lo pose a più diretto confronto con i poteri politici. Con essi ebbe inevitabilmente rapporti frequenti, non di rado sfociati in conflittualità o contrasti di differente natura.
Tra le frizioni più significative vi fu lo screzio originatosi nel 1483-84 con il governo di Venezia, quando Tomitano, in veste di vicario provinciale dell’Ordine (vertice della sua carriera regolare), ordinò agli osservanti della provincia di abbandonare il dominio veneziano in obbedienza all’interdetto scagliato da papa Sisto IV, in occasione della guerra di Ferrara, contro la Repubblica. Ne seguì una diaspora di frati che causò uno spettacolare contrasto tra Tomitano e il Consiglio dei dieci, culminato con il bando del predicatore dallo Stato veneto.
Non meno eclatante fu lo scontro con Lorenzo il Magnifico, che nel 1488 cacciò e bandì il predicatore da Firenze a causa del tumulto antiebraico sollevato dalle sue prediche in S. Maria del Fiore. Generici timori per il mantenimento dell’ordine pubblico, ancora, furono all’origine, nel 1491, della richiesta inoltrata a Ludovico Sforza dai rappresentanti degli organi comunali di Milano affinché si impedisse a Tomitano di predicare in città.
Soprattutto nell’ultimo decennio della sua vita, insomma, Tomitano era diventato una celebrità, la cui presenza era contesa tra le città italiane e il cui arrivo era atteso ora con impazienza, ora con preoccupazione. Egli, inoltre, era divenuto oggetto di una crescente e spesso frenetica venerazione popolare.
Le fonti lo descrivono inseguito da torme di fedeli, desiderosi di strappare brandelli del suo saio o di ricevere dalle sue mani piccoli biglietti, poi ingeriti in quanto ritenuti miracolosi, sui quali il frate aveva scritto di proprio pugno il nome di Gesù. Al predicatore feltrino venivano inoltre attribuiti miracoli, taumaturgie e visioni profetiche.
La fama di santità, in breve, accompagnò Tomitano lungo gli ultimi anni della vita, che si concluse a Pavia, in una cella del convento di S. Giacomo, alle quattro di mattina del 28 settembre 1494.
Dopo la morte, la devozione nei suoi confronti si accrebbe ulteriormente. Il suo corpo, conservato a Pavia nella chiesa di S. Giacomo, venne raggiunto da folle di fedeli, mentre andavano moltiplicandosi i miracoli attribuiti alla sua intercessione (furono 110 quelli registrati tra il 1494 e il 1531). Benché i devoti abbiano da subito venerato Bernardino da Feltre come beato, la procedura canonica per la formalizzazione fu lunga e complessa. Un processo, delegato ai vescovi di Feltre e Pavia, iniziato nel 1628 e protrattosi a singulti fino al 1687, si concluse positivamente nel 1696 ma solo nel 1728 papa Benedetto XIII riconobbe Bernardino come beato. Nel 1773 la Sacra Rituum Congregatio venne poi incaricata di avviare un processo di canonizzazione, il quale si risolse tuttavia in un nulla di fatto nel 1870.
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