SULIMANI (Solimani, Sillimani), Martino
SULIMANI (Solimani, Sillimani), Martino (Martinus Sulimani). – Figlio di Sulimano di Martino, stazionario (libraio) dello Studio bolognese, da cui la famiglia prese il nome, Sulimani nacque a Bologna verso il 1250; nulla si sa della madre.
Per la folta presenza studentesca, l’attività svolta dal padre doveva risultare assai redditizia, tanto da consentirgli di avviare agli studi almeno due dei tre figli di cui abbiamo testimonianze: Martino, appunto, laureatosi in diritto civile verso il 1273, e Maio, dottore in medicina. Da Sulimano di Martino, morto nel 1289, i due fratelli avrebbero poi ereditato la bottega e l’attività libraria; il terzo fratello, Giovanni, era già morto a quella data, lasciando un figlio in età minore, Sulimano, del quale Martino e Maio avrebbero dovuto occuparsi. Tuttavia, pressati dagli impegni professionali, i due fratelli, nel luglio del 1289, chiesero al Consiglio del Popolo che il nipote fosse posto sotto la tutela di un parente materno (Archivio di Stato di Bologna, ASBo, Riformagioni, 129, cc. 240v, 249r; Blanshei, 2010, pp. 361 s.). Per ironia della sorte, nel 1305, il figlio di Sulimani, Enrico, allora minore, fu affidato dal giudice proprio alla tutela del cugino Sulimano, che avrebbe dovuto curarne i diritti ereditari (M. Sarti - M. Fattorini, De claris..., 1888, I, p. 247).
In età piuttosto precoce, Sulimani sposò Belvisa di Giuliano Bongiovanni, cui era promesso già dal 1265, quando il padre ricevette dal fratello della futura sposa una dote di 80 lire di bolognini (ASBo, Memoriali, 1, c. 12v, 1265 maggio 30; M. Sarti - M. Fattorini, De claris..., cit., I, p. 246). Da Belvisa, Martino ebbe quattro figli e sei figlie: due dei figli, Paolo ed Enrico, seguirono le orme del padre nell’attività giuridica, mentre gli altri due, Giacomo e Carazio, ereditarono la bottega di stazionario (ASBo, Memoriali, 111, c. 241v, 1305 dicembre 30; M. Sarti - M. Fattorini, De claris..., cit., II, pp. 85-87).
Questa originaria duplicità di interessi professionali si perpetuò poi come tradizione familiare, al punto da manifestarsi anche nelle scelte matrimoniali delle figlie di Sulimani, delle quali Egidia andò in sposa a Rolando di Ardizzone, stazionario bolognese (Semeraro, 2013, p. 1296), mentre per Tommasina fu concordato nel 1286 un prestigioso matrimonio con Bonifacio Galluzzi, civilista ed esponente di una famiglia della più antica nobiltà consolare (M. Sarti - M. Fattorini, De claris..., cit., I, p. 246).
Della formazione universitaria di Sulimani, avvenuta probabilmente a Bologna, abbiamo solo testimonianze parziali e indirette. Tommaso Diplovatazio lo vorrebbe discepolo di Giacomo Balduini, Azzone e Bonifacio Bonconsigli, ma la notizia non trova conferme nelle testimonianze degli allievi (Fantuzzi, 1790, p. 56). È certo invece che il titolo dottorale fu conseguito fra il 1270, quando l’atto di emancipazione del 27 ottobre ci presenta Sulimani non ancora laureato (ASBo, Memoriali, 14, c. 172r, 1270 ottobre 27), e l’11 dicembre 1273, data in cui si registra il suo esordio professionale: un lodo arbitrale che egli pronunciò in collaborazione con i colleghi dottori Ugolino Zamboni e Albertino Carrari (ASBo, Memoriali, 21, c. 136v, 1273 dicembre 11; M. Sarti - M. Fattorini, De claris..., cit., I, p. 245).
Dal momento della laurea al 1304, insegnò a Bologna il diritto civile e, pur non abbandonando del tutto l’attività paterna, l’insegnamento costituì per un trentennio il centro dei suoi interessi, con l’unica eccezione, sembra, di un incarico come giudice civile presso il Comune di Milano, di cui parla il suo allievo Giovanni d’Andrea, senza fornire particolari in merito. Come era del tutto naturale per i giuristi dello Studio, Sulimani prestò poi consulenze per le autorità giudiziarie cittadine e anche per il tribunale dell’Inquisizione domenicana di Bologna. Nel 1285 fu chiamato a risolvere con una sentenza arbitrale una causa che coinvolgeva le monache del Borgo San Felice, mentre nel 1296 fece parte di una commissione cui il Consiglio del Popolo affidò una complessa questione riguardante la corretta interpretazione degli statuti cittadini su temi di diritto penale (M. Sarti - M. Fattorini, De claris..., cit., I, p. 246; Blanshei, 2010, p. 270). E tuttavia, al contrario di quanto avveniva per molti suoi colleghi, spesso distratti da incarichi politici e diplomatici che li tenevano lontani dalla cattedra e per questo biasimati dagli studenti, gli allievi di Sulimani – fra i più celebri, Giovanni d’Andrea e Cino da Pistoia – testimoniano lo zelo e la dedizione didattica del maestro, premiati da un uditorio attento e costantemente affollato.
Dei due citati, in effetti, il solo Giovanni d’Andrea ricorda esplicitamente e più volte Martino come dominus meus, manifestando nei suoi confronti sentimenti di devozione e stima, mentre Cino, in un passo della Lectura Codicis (Semeraro, 2013, p. 1296), ricorda con estrema precisione un examen, in cui si dibatteva una questione assai controversa in materia di usufrutto e in cui aveva avuto Martino come sagace, ma infine benevolo, contraddittore.
Il prevalere assoluto degli interessi scientifici e didattici di Sulimani su quelli politici fu premiato da un privilegio assai raro di cui il giurista fu oggetto nel 1280, quando il destino di emarginazione e di esilio vissuto dalla fazione ghibellina, cui la sua famiglia apparteneva, gli fu risparmiato, a quanto pare, per intercessione dei suoi allievi, preoccupati dalla prospettiva di perdere il loro maestro.
Nel 1274, infatti, e ancora nel 1278 e ripetutamente negli anni successivi, fino alla fine del secolo XIII, gli esponenti della parte lambertazza, contrapposta a quella vincente dei guelfi geremei, furono espulsi dalla città e costretti all’esilio o a varie forme di confino. A questo triste destino non sfuggirono neppure i maestri dello Studio, come dimostra la vicenda di Salatiele, prestigioso maestro di notariato, privato dell’insegnamento e morto al confino nel maggio del 1280.
In deroga ai bandi, invece, Sulimani e il fratello Maio, insieme con il mercante e cambiatore Alberto Pizzigotti, alle cui prestazioni professionali ricorrevano numerosi studenti, tutti aderenti alla fazione lambertazza, ottennero di poter rimanere in città, per esplicita disposizione del Consiglio del Popolo, che aderiva in questo modo alle richieste studentesche, ad petitionem dominorum scholarium (M. Sarti - M. Fattorini, De claris..., cit., I, p. 245). Fra corsi universitari di successo e i consueti incarichi professionali, Sulimani attraversò così in relativa tranquillità, nella sua casa bolognese della parrocchia di S. Geminiano, un trentennio caratterizzato da vicende pubbliche assai convulse. Nel giugno del 1297, ad esempio, il Consiglio del Popolo lo esentava dalla mobilitazione militare che coinvolgeva tutti i cittadini atti alle armi, per la guerra in corso con il marchese Azzo d’Este (M. Sarti - M. Fattorini, De claris..., cit., II, p. 77).
Il 30 dicembre 1305 Sulimani dettò al notaio Petrizolo di Giovannino di Enrico il proprio testamento, dichiarandosi malato e consapevole della fine incombente. Nell’atto, dopo aver disposto legati in favore di vari privati ed enti ecclesiastici, scelse per la propria sepoltura la chiesa di S. Domenico, stabilendo però di esservi tumulato con sobrietà e senza inutili apparati. Distribuì poi i beni ereditari fra i quattro figli, lasciando a Paolo ed Enrico la sua biblioteca giuridica, a Giacomo e Carazio la bottega da stazionario con tutte le suppellettili. Non dimenticò però le figlie, destinando adeguate sostanze a quelle in vita (Giovanna, Egidia, Bartolomea, Filippa e Buvalella) e ai nipoti figli della defunta Tommasina e del marito di lei, Bonifacio Galluzzi (ASBo, Memoriali, 111, c. 241v, 1305 dicembre 30; M. Sarti - M. Fattorini, De claris..., cit., II, pp. 85-87).
La morte lo colse nei primi mesi del 1306. Un’iscrizione, collocata sul luogo della sepoltura nel 1526 e ancora leggibile alla fine del Settecento, affidava ai concittadini la memoria del celebre giurista (Fantuzzi, 1790, p. 59).
Le opere superstiti di Sulimani sono espressione diretta della sua lunga e intensa attività didattica. Si tratta in gran parte di note marginali, caratterizzate dalla sigla M. Sy., rintracciate in manoscritti del Corpus iuris civilis, come il codice Vat. lat. 1428, celebre per i commenti di Accursio (Cortese, 1992, pp. 58, 64 s.; Semeraro, 2013, p. 1296). Tuttavia, Sulimani fu anche autore, come testimonia il suo stesso testamento, di autonomi commenti al Codice e al Digesto Vecchio, già da tempo riconosciuti e pubblicati, e di numerose Quaestiones disputatae, citate dall’allievo Giovanni d’Andrea e anch’esse già riconosciute, ad esempio, in alcuni codici della Biblioteca del Collegio di Spagna di Bologna (cod. 83, c. 151rv; cod. 109, cc. 185r-188, 191v-194v, 205v-206v; cod. 126, cc. 96v-119r, 126v). Resta invece ancora da individuare nella tradizione manoscritta una Summa feudorum, di cui affiorano tracce nelle altre sue opere e già a suo tempo citata da Mauro Sarti (M. Sarti - M. Fattorini, De claris..., cit., I, p. 248).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Comune, Riformagioni del Consiglio del Popolo, 129, anno 1289; Comune, Memoriali, 1 (1265), 14 (1270), 21 (1273), 111 (1305); Bologna, Biblioteca del Reale Collegio di Spagna, codd. 83, 109, 126; M. Sarti - M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus a saeculo XI usque ad saeculum XIV, I, Bononiae 1888, pp. 244-248, II, 1896, pp. 77, 85-87.
G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VIII, Bologna 1790, pp. 55-59; G. Mezzetti, Repertorio di tutti i professori antichi e moderni della famosa Università e del celebre Istituto delle scienze di Bologna, Bologna 1848, p. 296; G. Zaccagnini, Cino da Pistoia, studio biografico, Pistoia 1918, p. 37; A. Padovani, Studi storici sulla dottrina delle sostituzioni, Milano 1983, pp. 224 s., 235; M. Bellomo, Saggio sull’università nell’età del diritto comune, Roma 1992, pp. 209 s.; E. Cortese, Il Rinascimento giuridico medievale, Roma 1992, pp. 58, 64 s.; M. Bellomo, I fatti e il diritto. Tra le certezze e i dubbi dei giuristi medievali (secoli XIII-XIV), Roma 2000, pp. 227, 581-584; G. Murano, Copisti a Bologna (1265-1270), Turnhout 2006, pp. 87 s.; S.R. Blanshei, Politics and justice in late medieval Bologna, Leiden-Boston 2010 (trad. it. Roma 2016, pp. 270, 361 s.); M. Semeraro, Martino Sillimani, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XI-XX secolo), II, Bologna 2013, pp. 1296 s.