STEFANESCHI, Martino (Martino di Porto)
– Fu figlio di Francesco Stefaneschi di Stefano di Pietro e di una Giacoma, di famiglia sconosciuta; la data di nascita è ignota, ma nel 1324 risulta ancora minorenne. È noto anche come Martino di Porto, avendo ereditato dal padre la signoria sull’importante e strategico castello di Porto, alla foce del Tevere.
Benché molto giovane, assunse un ruolo politico di primo piano, certo grazie al prestigio della famiglia. Nel 1340 fu infatti nominato da Benedetto XII senatore di Roma per sei mesi in coppia con Tebaldo di Sant’Eustachio, con il compenso di 3000 fiorini; entrati in carica il 1° marzo, furono tuttavia deposti anzitempo da una sollevazione popolare (6 luglio). I due senatori fecero in tempo a confermare (26 aprile) il testo dello Statuto dei mercanti romani.
L’Anonimo romano nella sua Cronica (a cura di G. Porta, 1979), ricorda che Stefaneschi era violento e aggressivo, e godeva di pessima fama («soa vita era venuta a tirannia», «soa nobilitate bruttava per tirannie, latronie», p. 162); eccessivo nel mangiare («pessimamente se temperava dallo soperchio civo», p. 163), forse anche in conseguenza di tali eccessi, la sua salute era precaria; senz’altro era affetto da idropisia, tanto gonfio da sembrare, come afferma l’Anonimo, un liuto («cadde in pessima infirmitate e incurabile. Li miedici dico retruopico. Sio ventre era pieno de acqua. Como votticiello pareva, piene le gamme e·llo cuollo sottile e·lla faccia macra, la sete grannissima. Leguto da sonare pareva. Stavase in soa casa quetamente renchiuso e facevase medicare dalli fisichi», ibid.).
Non molto è noto dell’attività di Stefaneschi negli anni successivi al 1340, se non le circostanze della sua morte (1347) che – con i comportamenti violenti sopra accennati – ne hanno fatto nella vulgata storiografica il prototipo del barone romano trecentesco sopraffattore e spregiudicato.
Nel 1347 Stefaneschi ordinò ai suoi vassalli del castello di Porto di saccheggiare denaro, spezie, stoffe francesi destinate ai mercanti napoletani e ischitani da una nave di proprietà della regina Giovanna d’Angiò, proveniente da Marsiglia e incagliatasi alla foce del Tevere (tra Ostia e Porto). In altri tempi questo misfatto non avrebbe comportato per Stefaneschi una preoccupazione eccessiva, ma a Roma allora era in atto la durissima politica antibaronale del tribuno Cola di Rienzo, che fece arrestare e condurre in Campidoglio Stefaneschi, nonostante questi fosse ormai in punto di morte («Questo omo così nobile, sotto spezie de securitate infermo a morte, per terrore de tutta l’aitra iente fece pigliare nella propria casa, nelle mano della soa donna, nello palazzo canto lo fiume de Ripa Armea, e fecelo menare a Campituoglio», ibid.). Alla presenza del popolo («sonao la campana a stormo. Lo puopolo fu adunato»), Stefaneschi fu spogliato e fatto inginocchiare «nelle scale canto lo lione, nello luoco usato», ascoltò la sentenza di morte, e fu subito impiccato («nello piano de Campituoglio fu appeso», ibid.), lasciando a monito il cadavere esposto («una notte e doi dìe pennéo nelle forche», ibid.). A nulla gli valse la sua elevata posizione sociale e la parentela con il potente lignaggio degli Orsini («né·lli iovao la nobilitate né·lla parentezze delli Orsini», ibid.).
Con lui si estinse il ramo principale del casato.
Non è noto il nome della prima moglie di Stefaneschi. Poco prima di morire sposò in seconde nozze Tommasa (Mascia) Normanni, vedova di Giovanni Orsini di Monte Giordano; ebbe un’unica figlia, Francesca che, grazie a una dispensa papale, poté contrarre matrimonio con un procugino del padre, Annibale Stefaneschi.
Come tutti i membri del suo casato, a Roma Stefaneschi dimorava nel rione di Trastevere, presso il porto fluviale di Ripa Grande, allora denominato Ripa Romea.
Fonti e Bibl.: A. Theiner, Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis..., II, Roma 1862, pp. 66 s., nn. 93 e 94, p. 85, n. 109 ; G. Gatti, Statuti dei mercanti di Roma, Roma 1885, pp. 72 s.; Anonimo romano, Cronica, a cura di G. Porta, Milano 1979, pp. 139-142, 162-165.
P. Fedele, Un giudicato di Cola di Rienzo fra il monastero di S. Cosimato e gli Stefaneschi, in Archivio della Società romana di storia patria, XXVI (1903), pp. 442-447; A. Salimei, Senatori e statuti di Roma nel Medioevo, I, Roma 1935, p. 106; A. Mercati, Nell’Urbe dalla fine di settembre 1337 al 21 gennaio 1338, Roma 1945, pp. 28, 49; E. Duprè Theseider, Roma dal Comune di popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Bologna 1952, pp. 505, 532, 553, 558-560; G. Marchetti Longhi, Gli Stefaneschi, Roma 1954, pp. 61-63; R. Montel, Un casale de la campagne romaine de la fin du XIVe siècle au début du XVIIe: le domaine de Porto d’après les archives du Chapitre de Saint-Pierre, in Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen-age, temps modernes, LXXXIII (1971), 1, pp. 42-44, 48 s.; M. Dykmans, Le cardinal Annibal de Ceccano (vers 1282-1350). Étude biographique et testament du 17 juin 1348, in Bulletin de l’Institut historique belge de Rome, XLIII (1973), pp. 145-344 (in partic. pp. 154 s., 255); S. Carocci, Baroni di Roma. Dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel Duecento e primo Trecento, Roma 1993, pp. 430 s.; G. Seibt, Anonimo romano. Scrivere la storia alle soglie del Rinascimento, Roma 2000, pp. 41 s., 114 s., 118, 123; S. Carocci - M. Vendittelli, Società ed economia (1050-1420), in Storia di Roma dall’antichità a oggi. Roma medievale, a cura di A. Vauchez, Roma-Bari 2001, p. 107; T. di Carpegna Falconieri, Cola di Rienzo, Roma 2002, p. 78.