PESENTI, Martino
PESENTI, Martino. – Figlio di Giacomo, nacque presumibilmente attorno al 1595 a Venezia.
Nel ritratto calcografico che correda i Capricci Stravaganti del 1647, inciso da Dario Varotari, si legge «Martinus Pesentius Venetus»: l’epiteto individuava di solito l’origine cittadina. Nella sua prima pubblicazione (1621) si dichiara «cieco», dal 1628 in poi «cieco a nativitate». Le notizie su di lui si ricavano principalmente dalle dediche (spesso firmate dall’editore Alessandro Vincenti) e dagli altri paratesti delle sue opere musicali a stampa.
Pesenti studiò con Giovan Battista Grillo, primo organista a S. Marco dal 1619 alla morte, 1622. Non si sa se sia mai stato impiegato come strumentista o cantore; la cecità e dunque l’impossibilità di leggere la musica durante il servizio liturgico fanno ritenere improbabile ch’egli possa aver tenuto incarichi stabili di organista o cantore in chiese parrocchiali, confraternite od ordini religiosi (nel 1628 il patriarca Giovanni Tiepolo intimò ai responsabili dei luoghi di culto di Venezia di «non […] permettere che in tali musiche cantino o suonino li ciechi, come con molto scandalo e poca edificazione si è finora introdotto»; cfr. Quaranta, 1998, p. 412). Si spiega così perché tra il 1621 e il 1647, a fronte di ben 15 edizioni di musiche vocali profane o strumentali, Pesenti abbia pubblicato una sola raccolta di musica da chiesa (Missae tribus vocibus canendae, cum sacris cantionibus, Venezia 1643, dedicata alla Vergine).
Non sono documentati impieghi continuativi presso protettori nobili o di ceto cittadino; ma nell’avvertenza pubblicata nel libro IV di Correnti, gagliarde e balletti (Venezia 1645) Pesenti dichiara che a partire dal 1621 e sino al 1634 aveva avuto un’imprecisata «servitù» con Nicolò de’ Rossi, residente cesareo a Venezia: per molti anni aveva suonato e accordato un suo clavicembalo «diatonico, cromatico et henarmonico» fabbricato nel 1601 dal cembalaro veneziano Vito Trasuntino. Si può congetturare che Pesenti impartisse lezioni di strumenti da tasto; i proventi dell’attività musicale saranno comunque stati modesti. Nondimeno il 27 settembre 1640 il compositore effettuò, mediante lo strumento creditizio del livello, un prestito di 1000 ducati a membri del clero secolare cittadino, ottenendo un interesse annuo del 5,5% e ricevendo in garanzia un immobile di proprietà ecclesiastica sito in contrada S. Marina. E dal testamento risulta ch’egli poté investire in titoli di debito pubblico emessi dalla zecca veneziana altri 200 ducatoni (ossia circa 260 ducati ordinari): la cifra complessiva data a prestito e investita era quindi piuttosto cospicua. Pesenti avrà forse goduto di beni o rendite ottenuti in eredità o in donazione.
Nel 1641 il musicista, secondo la sua stessa testimonianza, venne colpito da una «paralisi», ma tornò presto a comporre: nel 1643 licenziò le citate Missae e nel 1645 il citato Libro IV di Correnti. Il 6 gennaio 1645 dettò testamento al notaio Claudio Paulini (lo stesso che ebbe per clienti Claudio Monteverdi e Francesco Cavalli): oltre a una serie di lasciti in denaro a parenti, amici e conoscenti per complessivi 110 ducati, dispose che gli interessi derivanti dal prestito e dall’investimento summenzionati andassero a finanziare due mansionerie finalizzate alla celebrazione settimanale di una messa in proprio suffragio in S. Giovanni Decollato (dove chiese di essere sepolto) e dell’ufficio dei defunti nella medesima chiesa da parte della congregazione di S. Cassiano; a Giovanni Antonio Ferri, titolare di tale congregazione, donò il prezioso clavicembalo cromatico-enarmonico ideato e progettato da Gioseffo Zarlino (cfr. Istitutioni harmoniche, Venezia, F. dei Franceschi, 15733, pp. 163-165) e costruito da Domenico da Pesaro nel 1548: Pesenti ne era venuto in possesso nel 1641.
Martino Pesenti morì a Venezia nel 1647: il testamento fu «pubblicato viso cadavere» il 22 agosto.
Fu compositore assai ferace sia nel genere della musica vocale profana sia in quello della musica per strumento da tasto: in tutto pubblicò presso lo stampatore veneziano Alessandro Vincenti 16 libri di musica, numerati dall’opera IX in sù; un libro di Ultime musicali e canore fatiche uscì postumo nel 1648. Sono cinque libri di madrigali concertati (da due a sei voci, opp. I, 1621; IV, 1627; V, 1628; IX, 1638; XI, 1641), un libro di «capricci» e madrigali a due e tre voci (XVI, 1647), due raccolte di canzonette (XIII o XIV, 1641-43, perduto, cit. in Mischiati, 1984, pp. 190, 216; op. post., 1648), tre libri di arie a voce sola (III, 1627; VII, 1633; VIII, 1636), un libro di«correnti da cantarsi […] e suonarsi» (X, 1639), quattro libri di correnti, gagliarde e balletti per clavicembalo e altri strumenti (II, 1625; VI, 1630; XII, 1641; XV, 1645), il citato libro di messe e mottetti concertati (privo di numero, 1643). Pesenti fu dunque, dopo Carlo Milanuzzi (23 opere tra il 1619 e il 1647), il compositore più produttivo sul mercato editoriale tra quanti ne ebbe Venezia nel quarto-quinto decennio del Seicento. Tale vena compositiva, unita a una ragguardevole qualità media, risulta tanto più sorprendente se si considera la grave menomazione di cui egli soffriva: la pratica compositiva anche allora necessitava della sistematica lettura ed esecuzione di partiture proprie e altrui, e della capacità di concepire e stendere in forma scritta le proprie composizioni, dagli abbozzi alla stesura finale, operazioni che a un musicista cieco erano precluse. Sia per la lettura sia per la notazione Pesenti si sarà valso di allievi o collaboratori, ma risulta che avesse anche escogitato un sistema per comporre almeno in parte in modo autonomo: «componeva […] non con la carta, ma con una tavola che la teneva esposta su il muro, dove vi erano le righe della musica sollevate a modo di bassorilievo, quali poteva toccare e conoscere con le mani, sopra di che lui metteva le note o figure della musica, che le formava di cera» (cfr. Pitoni, [1713]).
Tra i dedicatari dei libri a stampa di Pesenti parecchi furono attivi a Venezia e appartennero al ceto dei cittadini: Giovan Maria Giunti, della famiglia degli stampatori fiorentino-veneziani (1621); la cantante Angela Franceschi in Saler, moglie di un funzionario della zecca cittadina (1636); i mercanti Gasparo Chechel (1639) e Pietro Paolo Campana (1647); l’avvocato Francesco Pozzo (1641); il letterato Domenico Vincenti, forse un congiunto dello stampatore Alessandro (1641); il notaio Claudio Paulini (1645; op. postuma, 1648). I fratelli Giovan Battista e Bernardo Vertova (1630) erano invece nobili bergamaschi; Pietro Morosini (1633) appartenne forse a un ramo minore dell’importante famiglia patrizia. Le dediche indirizzate nel 1628 all’arciduca d’Austria Leopoldo V d’Asburgo e nel 1638 ad Antonio Rabatta, nobile friulano nominato in quell’anno ambasciatore imperiale a Venezia, andranno ricondotte alla già menzionata consuetudine di Pesenti col residente cesareo de’ Rossi.
Nonostante l’ostacolo della cecità Pesenti dimostrò sottigliezza e originalità nelle scelte dei testi poetici da musicare. In linea con la vasta fortuna dei versi di Giovan Battista Marino presso i compositori di musica vocale profana nel primo Seicento, circa un quarto delle liriche di autore identificato intonate nei libri di madrigali di Pesenti sono tratte dalle Rime e dalla Lira; le accompagnano, soprattutto nelle opere apparse negli anni Trenta, testi di poeti attivi a Venezia come Alessandro Gatti, Francesco Contarini, Nicolò Crasso, Giovan Battista Leoni e Orsatto Giustiniani, e di marinisti minori come il tarantino Antonio Bruni, il bolognese Ridolfo Campeggi e il mesagnese Gianfrancesco Maia Materdona. Nelle raccolte madrigalistiche degli anni Quaranta si assiste a un rinnovamento delle scelte: si diradano i testi mariniani, compaiono rime del pesarese Pier Francesco Paoli, del bolognese Girolamo Preti e di Pietro Petracci, il curatore della Ghirlanda dell’aurora (1609), antologia poetica prediletta dai musicisti.
Tra le scelte poetiche più raffinate spiccano: un sonetto e un madrigale dell’attrice poetessa Isabella Andreini (nel Terzo libro di madrigali, 1628); uno dei pochi stralci dell’Adone del Marino messi in musica (l’ottava Sostien, diletta mia, ch’a mio diletto, VIII, 135; in una collettanea di Arie del 1634); la canzonetta Ecco pur ch’a voi ritorno, dal second’atto dell’Orfeo di Striggio e Monteverdi («Ballo sopra gagliarda di cinque passi», nel Quarto libro di madrigali, 1638); la canzonetta di soggetto morale Non ha, non ha più loco / nel mio petto il tuo foco di Giulio Rospigliosi, certamente tratta dalle Musiche varie e morali di Domenico Mazzocchi (Roma 1640; nelle Ultime fatiche, 1648).
Pesenti va considerato, dopo Monteverdi e accanto a Giovanni Rovetta, tra i più significativi compositori di madrigali concertati in area veneta tra la metà del terzo e il quinto decennio del Seicento. Muovendo dall’esempio del Settimo libro monteverdiano (1619) e dei madrigali di Alessandro Grandi (1615 e 1622), Pesenti seppe creare un proprio stile compositivo, nel quale si distinguono l’elegante ariosità del melos, l’estrosa varietas, l’imitazione musicalmente vivida delle parole, l’inventiva nell’assetto formale, che alterna sezioni differenziate sotto il profilo melodico, ritmico e contrappuntistico. Nei due libri di Arie pervenuti (II, 1633; III, 1636) Pesenti sfrutta un vasto spettro di soluzioni retorico-espressive e formali, dal ductus melodico scorrevole e versatile delle più semplici arie strofiche (spesso bipartite, con una prima sezione di stile recitativo e una sezione finale in tempo ternario) sino agli impianti più complessi delle arie multisezionali, come la «cantata» Quanto t’inganni, Amor, quanto t’inganni (partitura in facsimile in Italian secular songs, pp. 258-271), che si può considerare – accanto ad analoghe composizioni di Grandi, Rovetta, Berti, Milanuzzi e Sances – tra i migliori esempi della cantata veneziana degli albori. Nelle cinque stanze della composizione vengono impiegati vari procedimenti: la variazione strofica su un basso ricorrente, con uso di ritornelli strumentali; la commistione stilistica di recitativo espressivo e aria; il lirico melodizzare della voce su basso ostinato in tempo ternario.
La musica strumentale di Pesenti, raccolta in quattro libri di Correnti alla francese «per sonar nel clavicembalo et altri stromenti» apparsi tra il 1625 e il 1645), non contempla le forme tradizionali cinquecentesche più elevate (ricercare, canzone, toccata) bensì le più snelle tipologie compositive derivate da forme di danza (corrente, gagliarda, balletto) ed è caratterizzata da una vivace inventiva melodico-ritmica, oltre che da frequenti dissonanze e ritardi, «none, settime, tritoni, semiquinte» che, suonate «a battuta presta, rendono vaghezza ed affetto contrario alla natura loro» (così nel Libro I delle Correnti). Più dichiaratamente sperimentale rispetto ai precedenti è il Libro IV di Correnti, gagliarde e balletti «diatonici, trasportati, parte cromatici e parte henarmonici» (1645): le trenta brevi composizioni sono dapprima presentate nella versione diatonica, indi vengono trasposte in differenti ‘tonalità’ per diesis e per bemolle.
L’opera di Pesenti conobbe una certa fortuna anche oltralpe, in particolare in Germania e Inghilterra. Lo testimoniano la presenza di 14 correnti e una gagliarda in due manoscritti in intavolatura tedesca oggi nella Biblioteca Nazionale di Torino (mss. Foà 6, 7); e la menzione di un esemplare delle Missae del 1643 negli inventari della Bibliotheca Rhedigeriana di Breslavia e di una copia del Libro I dei Madrigali in un inventario del 1655 della biblioteca dei Fugger. Un madrigale di Pesenti venne ‘contraffatto’ con testo latino nel Dritter Theil geistlicher Concerten und Harmonien (Lipsia 1642) a cura dell’organista breslaviense Ambrosius Profe. Sette sue edizioni a stampa, di cui tre perdute, figurano in cataloghi librari apparsi ad Augusta (1613-1628) e Utrecht (1639). Alcuni madrigali tratti dai libri a stampa figurano in almeno quattro manoscritti redatti in Inghilterra nella seconda metà del Seicento, tra di essi una partitura copiata attorno al 1675 dal compositore John Blow (Oxford, Christ Church, Mus.14).
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