Lutero, Martino
Forma italianizz. del nome del teologo e riformatore religioso Martin Luther (Eisleben, 1483 - ivi 1546).
Nato in una famiglia di origini contadine, ma ambientatasi nella cittadina di Mansfeld (il padre, dapprima minatore, era imprenditore nel settore della lavorazione dei metalli), dopo aver studiato in Mansfeld, Magdeburgo, Eisenach, frequentò dal 1501 l’univ. di Erfurt, divenendo magister artium nel 1505. Abbandonati gli studi di diritto, cui il padre lo aveva indirizzato, nel 1505, in seguito a una crisi interiore, entrò nel convento degli agostiniani di Erfurt. Nel periodo del noviziato lesse soprattutto intensamente la Bibbia; ordinato sacerdote nel 1507, si dedicò agli studi teologici e filosofici, acquisendo nel 1509 i titoli di baccalaureus biblicus nell’univ. di Wittenberg, dove era stato chiamato nel 1508 per insegnare l’etica di Aristotele, e di baccalaureus sententiarius nell’univ. di Erfurt, dove lesse nel 1509 le Sententiae di Pietro Lombardo. Inviato a Roma nel 1510-11 per trattare con il generale dell’ordine la questione dei rapporti tra i vari conventi agostiniani, fu chiamato nell’autunno 1511 come prof. di Bibbia all’univ. di Wittenberg, dove fu nominato dottore in teologia nell’ottobre 1512. All’attività di docente, che mantenne fino alla morte, L. affiancò dal 1514 quella di predicatore nella chiesa della città e dal 1515 quella di vicario provinciale dell’ordine agostiniano. Negli anni 1517-18 si accese il suo conflitto con la Chiesa ed ebbe luogo la svolta riformatrice: contro le indulgenze riguardo ai peccati commessi concesse dalla Chiesa in cambio di denaro – un’indulgenza plenaria era stata dichiarata da Leone X nel 1515 – L. prese posizione inizialmente nelle prediche di Pasqua del 1517, poi il 31 ottobre dello stesso anno nelle lettere all’arcivescovo di Magonza e al vescovo del Brandeburgo cui allegò 95 tesi sulla questione, ben presto rese note. Scritte in latino, affinché potessero essere discusse in ambito accademico, le tesi si diffusero soprattutto dopo la stampa, alla fine del 1517, e la loro traduzione in tedesco. Nel corso del 1518, attraverso i sermoni, le lezioni sulla lettera paolina agli Ebrei, la Disputatio di Heidelberg, L. intensificò la sua battaglia a favore della giustificazione per sola fede. Nell’estate 1518, anche a causa dell’accusa dei domenicani sassoni, si aprì a Roma il processo contro di lui: Federico il Savio, che aveva fondato nel 1502 l’univ. di Wittenberg, ottenne che L., piuttosto che recarsi a Roma, come gli era stato ingiunto l’8 agosto, si incontrasse ad Augusta con il legato papale cardinale Gaetano – ciò che avvenne tra il 12 e il 14 ottobre. L’incontro approfondì la divergenza: mentre L. richiese la convocazione di un concilio per dirimere la questione delle indulgenze, Gaetano richiese a Federico il Savio, che la rifiutò, la consegna di Lutero. A causa dell’imminente elezione dell’imperatore, che rendeva necessario per il papato un accordo con l’elettore Federico il Savio, venne tentata una mediazione. Tra il 27 giugno e il 15 luglio 1519 si svolse la Disputatio di Lipsia tra Johann Eck e L. sull’autorità della Chiesa e dei concili da essa convocati, nella quale L. difese Hus e il suo concetto della comunità cristiana. Ciò provocò prese di posizione di teologi, umanisti, governanti nei confronti di L.: Melantone si schierò decisamente dalla sua parte, Erasmo da Rotterdam si dichiarò benevolmente neutrale, il duca Giorgio di Sassonia divenne suo avversario. Mentre, tra il 1518 e il 1520, venivano elaborati i punti che avrebbero separato la Riforma dalla Chiesa di Roma (abbandono della scolastica come presupposto della teologia, etica fondata sulla fede, esaltazione dell’impegno mondano, sacerdozio di tutti i credenti, riduzione dei sacramenti al Battesimo e alla Cena), lo scontro si riaccese: nell’ottobre 1520 L. ricevette la bolla papale Exsurge Domine in cui gli si ingiungeva di ritrattare 41 sue proposizioni, pena la scomunica; il 10 dicembre 1520, alla scadenza del tempo concessogli, bruciò la bolla e, insieme a essa, i testi del diritto canonico; il 3 gennaio 1521 venne scomunicato. Invitato alla dieta imperiale di Worms da Carlo V, rifiutò davanti a lui il 18 aprile 1521 la ritrattazione, dichiarando come giudice solo la sua coscienza legata alla Scrittura. Con l’editto di Worms del 26 aprile dello stesso anno Carlo V mise al bando L. e i suoi seguaci. Rientrando da Worms a Wittenberg, L., protetto da Federico il Savio, che ne simulò il rapimento, venne condotto nel castello di Wartburg, dove rimase per circa un anno e dove compose scritti esegetici e prediche e avviò la traduzione in tedesco della Bibbia (nel 1534 si ebbe la pubblicazione della traduzione dell’intera Bibbia, riveduta fino al 1546). Il 1521 fu anche l’anno in cui venne avviata la realizzazione (in un primo tempo a Wittenberg) del programma della Riforma sia sul piano del sacerdozio, a proposito del quale L. si espresse nello stesso anno in De votis monasticis, sia sul piano liturgico. Poiché l’introduzione di audaci innovazioni nel culto (iconoclastia, la Cena da intendersi solo come simbolo), promossa da Andrea Carlostadio, prof. nell’univ. di Wittenberg, aveva suscitato disordini, L. fu costretto a intervenire, tornando nella città nel marzo 1522 e moderando il movimento riformistico. Altri avversari, che in parte concordavano con le sue dottrine, si profilavano all’orizzonte: negli anni 1523-25 L. si oppose a Thomas Müntzer (sostenitore di una radicale teologia mistica, capo di una ribellione di contadini nella Turingia, che terminò in una sanguinosa repressione) poiché critico nei confronti di una utilizzazione politica del Vangelo e nemico della violenza e del disordine sociale; nel 1525 pubblicò contro Erasmo il trattato De servo arbitrio in cui affidava solo alla grazia divina la salvezza dell’uomo; soprattutto tra il 1526 e il 1528 si impegnò in una controversia con i teologi Zwingli, G. Ecolampadio, M. Bucero, K. Schwenckfeld a proposito dell’interpretazione della Cena, affermando il valore reale, e non spirituale o soggettivo, dei mezzi di grazia. Quest’ultima controversia si sarebbe prolungata fino al 1543 portando a una separazione della Chiesa riformata svizzera da quella tedesca. Nel 1525 L. sposò una ex monaca, Catarina von Bora (1499 - 1552), da cui ebbe sei figli. A partire dal 1522, a Wittenberg, L. si dedicò all’organizzazione della Chiesa intervenendo nella scelta dei pastori e nelle questioni inerenti il servizio liturgico, le scuole per i fedeli, i rapporti con le autorità civili, componendo anche preghiere, canti, catechismi. Non solo come riformatore religioso, fin dal 1521, ma anche come decano della Facoltà teologica della città, incarico che assunse dal 1535, fu impegnato nella trasmissione della teologia evangelica alle generazioni seguenti e nella diffusione di essa in altre regioni, non solo di lingua tedesca (ebbe contatti con Enrico VII d’Inghilterra, Cristiano III di Danimarca, Gustavo Vasa di Svezia, oltre che con ambienti riformatori in Boemia, Romania, Ungheria, Venezia). Ma fin dal 1521 la difesa della Riforma si era compiuta anche con strumenti squisitamente politici. Al riguardo, i principi tedeschi si divisero in due campi avversi: il fatto che L. nel 1521 non riconoscesse un diritto di resistenza dei principi aderenti alla Riforma nei confronti dell’imperatore e propendesse per una pacificazione, non impedì la formazione di un partito ‘protestante’ alla dieta di Spira del 1529. Nel 1530, alla dieta di Augusta, fallito un nuovo tentativo di conciliazione, i principi tedeschi evangelici si unirono religiosamente in una Confessio augustana redatta da Melantone; nel 1531 si formò una loro unità militare contro i cattolici nella Lega di Smalcalda sotto la guida di Filippo d’Assia, che lo stesso L. approvò. Soltanto la pace di Augusta, stipulata nel 1555, mise fine alle ostilità, confermando la divisione religiosa della Germania. L., prendendo atto della rottura ormai insanabile e della volontà della Chiesa di Roma di contrastare la Riforma spingendo l’imperatore alla guerra, rinnovò nel 1545 la sua polemica con lo scritto Wider das Papstum zu Rom vom Teufel gestiftet (trad. it. Contro il papato a Roma fondato dal diavolo).
Nella esegesi di testi biblici svolta nei suoi corsi anteriori al 1518 (1513-15: Salmi; 1515-16: lettera ai Romani; 1516-17: lettera ai Galati), L. preannuncia i principali temi affrontati negli scritti successivi, i più importanti dei quali sono: Von den guten Werken (trad. it. Sulle buone opere); Von dem Papstum zu Rom (trad. it. Sul papato a Roma); An den christlichen Adel deutscher Nation (trad. it. Ai nobili cristiani della nazione tedesca); De captivitate babylonica ecclesiae praeludium (trad. it. Preludio sulla cattività babilonica della Chiesa); De libertate christiana (trad. it. Sulla libertà cristiana), apparsi tutti nel 1520, e inoltre Von weltlicher Obrigkeit (trad. it. Sull’autorità secolare), del 1523, e Vom Abendmahl Christi (trad. it. Sulla cena di Cristo), del 1528. Oggetti della teologia sono per L. non più, come per la scolastica, l’uomo, il mondo e Dio in quanto compresi nella loro essenza dalla ragione umana, considerata in grado di elevarsi alle supreme verità metafisiche, ma esclusivamente l’uomo, colpevole e incapace di salvarsi con le sue forze, e Dio che giustifica e salva. Il Cristo salvatore è visto come il centro della Sacra Scrittura accolta come autorevole in quanto tale: al solus Christus e alla sola fides corrisponde la sola scriptura. La Bibbia va interpretata secondo il suo proprio spirito, il quale si trova solo all’interno di essa. Secondo L., la Bibbia ha in Cristo sia claritas sia unitas, perché da un lato, come testo, contiene una chiara verità che porta chiarezza nel cuore umano, dall’altro unifica tutte le sue narrazioni e prescrizioni nel Vangelo: la legge del Pentateuco e dei Profeti, che dà consapevolezza della colpa, prefigura l’amore del Nuovo Testamento. Solo alla luce della Sacra Scrittura va interpretata la tradizione, dai padri della Chiesa ai concili, e solo da essa traggono validità i dogmi, i simboli, i riti della Chiesa. L. afferma contro la teologia naturale, che sopravvaluta i poteri della ragione, e contro i critici della teologia naturale, che ritengono impossibile per l’uomo conoscere Dio, la theologia crucis: il Cristo che è stato crocifisso ed è risorto è il deus revelatus. Attraverso la fede giungiamo a Dio e lo definiamo come amore: l’attributo fondamentale dell’essere divino, considerato in sé stesso, è però l’assoluta libertà. Anche il Dio creatore è conosciuto solo attraverso il Dio che si rivela: la creazione si lega alla redenzione. In Cristo vediamo anche l’uomo come immagine di Dio, sebbene l’uomo non abbia perduto la sua ratio dopo la caduta. La grazia soltanto libera l’uomo dal peccato che, eredità del peccato originale, rimane in lui come male radicale. E il peccato implica la morte: la vita futura, come anche la libertà, si apre solo a chi ha fede, è cioè sotto il dominio dello spirito. Prima delle opere vi è per L. la persona credente, sola, con la sua conscientia, davanti a un Dio redentore. Riguardo alla cristologia, L. sottolinea la reale stretta unità della natura umana e della natura divina in Cristo, il ruolo di conciliatore che questi svolge tra Dio e l’uomo peccatore, il compimento della legge attuato mediante la sua espiazione al posto dell’uomo la quale implica anche la liberazione dalla legge stessa. Il Cristo, che redime l’anima con amore, rendendo giustizia, fa sì che l’uomo divenga giusto per Dio, rimanendo però nello stesso tempo in sé stesso e davanti alla legge peccatore. La fede, dono divino, è cognitio Christi e fiducia, ossia adesione del cuore a tale cognitio: da essa solo sorgono l’amore e la speranza. La fede non separa lo «spirito» (Geist) dalla «lettera» (Buchstaben): ignorare la Scrittura come parola divina o la Chiesa come creatura verbi divini o i sacramenti come segni della promessa divina conduce o al disprezzo della ‘lettera’, proprio dei mistici, o al disprezzo dello ‘spirito’, proprio delle potenze mondane. Separati non sono neppure la fede e le opere: se l’uomo non è cooperator di Dio nella giustificazione, lo è nelle opere, frutti della fede nel triplice ordine della ecclesia, oeconomia e politia. Se i primi due ordini sono dati già con la creazione, il terzo nasce con il peccato originale allo scopo di impedire il male mediante il potere civile: la politia si separa dalla ecclesia, ma rimane da questa limitata in quanto rivolta al Regno di Dio. Quest’ultimo acquista per L. un aspetto escatologico, oltremondano, come Regno delle anime beate: i corpi avranno resurrezione alla fine dei tempi. L’edizione critica dell’opera completa di L., avviata a Weimar nel 1883, è tuttora in corso.
Biografia