Martino di Braga, santo
Nato nella Pannonia al principio del sec. VI, dopo aver visitato la Terrasanta, si diresse in Europa, e nella Galizia svolse la sua attività religiosa.
Fondò a Dumio, presso Braga, un monastero di cui divenne abate; nel 557 fu creato vescovo di quella città. Partecipò al primo sinodo di Braga; successivamente ne fu vescovo, promovendo quivi, nel 572, il secondo concilio, nel quale furono risolte parecchie questioni di fede. Aiutato dalla conversione al cattolicesimo del re Cararico, diresse tutto il suo zelo a convertire dall'arianesimo gli Svevi, che fin dal secolo precedente si erano insediati nella Galizia facendo di Braga la capitale del loro regno: per tale opera venne celebrato da Venanzio Fortunato come apostolo della Galizia. Morì intorno al 580.
Scrisse parecchie opere ascetico-morali e filosofiche, alcune delle quali ricavate da Seneca, che ebbero molta diffusione nel Medioevo, per lo più sotto il nome del filosofo latino.
D. cita, senza nominarne l'autore, un passo del De Quattuor virtutibus (il cui vero titolo era Formula vitae honestae) in Cv III VIII 12 (Onde ciò fare ne comanda lo Libro de le quattro vertù cardinali: " Lo tuo riso sia sanza cachinno "), e un altro passo dello stesso libro, con il nome di Seneca, in Mn II V 3 (Propter quod bene Seneca de lege cum in libro De quatuor virtutibus " legem vinculum " dicat " humanae sotietatis "). Sono probabilmente una reminiscenza dello stesso libro i vv. 124-126 di If XVI, e, secondo un'indicazione di Pietro Alighieri, si ricollegherebbe con quel trattato anche la figurazione della Prudenza in Pg XXIX 132, e quindi anche Cv IV XXVII 5.
Bibl. - M. Manitius, Geschichte des lateinische Litteratur des Mittelalters, I, Monaco 1911, 109-113; M. Schanz, Geschichte des römische Litteratur, IV 2, ibid. 1920, 623-627; U. Moricca, Storia della letteratura latina cristiana, III 2, Torino 1934, 1488-1508; P. Toynbee, D. e Seneca ‛ morale ', in Ricerche e note dantesche, trad. ital., II, Bologna 1904, 59 ss.; S. Debenedetti, D. e Seneca filosofo, in " Studi d. " VI (1923) 21-22.