MARTINO di Bartolomeo
MARTINO di Bartolomeo. – Figlio dell’orafo Bartolomeo di Biagio, come chiarito da Milanesi (p. 31), dovette nascere a Siena tra il 1365 e il 1370. Non si conosce la sua formazione artistica, e il primo documento che riguarda la sua attività è l’iscrizione al «Breve dei pittori senesi» del 1389.
Questa data è relativa all’inizio dell’estensione del documento sul quale ogni anno venivano semplicemente aggiunti i nomi dei nuovi iscritti, pertanto, visto che M. figura già dopo i primi cinquanta, è molto probabile che la sua iscrizione all’albo sia posteriore di qualche anno.
Ben presto M. dovette trasferirsi a Pisa, dove risulta residente nel 1393 e dove si era recato forse al seguito del più anziano Taddeo di Bartolo, che per Pisa aveva già eseguito diverse opere, assistito da una bottega ampia e molto ben organizzata. Infatti lo stile e la tecnica pittorica di M. nelle prime opere note mostrano una tale vicinanza alla pittura di Taddeo che il discepolato presso costui, o per lo meno una non breve contiguità con la sua bottega, è cosa ampiamente accettata dalla critica.
Un momento importante per la formazione di M. dovette comunque essere legato alla partecipazione allo scriptorium che eseguì cinque ricchissimi corali per il duomo di Lucca (Lucca, Museo della cattedrale, nn. 1, 7, 8, 9, 10).
L’impegnativa campagna dovette iniziare sicuramente dopo che fu avviata la riedificazione interna della chiesa di S. Martino, quindi dopo il 1379, e dovette protrarsi per alcuni anni. Sulla conclusione della decorazione dei corali i pareri degli studiosi non sono unanimi: alcuni propendono per una data intorno al 1388 (Cristiani Testi, p. 13); altri, per una posteriore al 1391 (Bellosi, p. 57). Anche relativamente alla figura dell’eventuale capobottega dello scriptorium la critica ha avuto sostanzialmente due posizioni: la prima, che poneva questa anonima figura all’interno di un’esperienza senese assai prossima a quella di Lippo Vanni e della sua attività miniatoria; la seconda, che attribuiva quel ruolo a Spinello Aretino, fatto che giustificherebbe la buona conoscenza dello stile di questo, che M. esibisce fin dalle prime prove pisane.
La prima data certa relativa all’attività pisana di M. è il 1398, quando terminava la realizzazione del vasto ciclo di affreschi, eseguito integralmente di sua mano, come recita la frase apposta accanto alla data e alla firma, nella chiesa di S. Giovanni Battista a Cascina, nel contado di Pisa.
Non sono molte le notizie documentarie relative alla costruzione della chiesa di Cascina, sede dell’Ordine dei gerosolimitani. Tuttavia quel che emerge è che essa fu pensata come vero e proprio contenitore di quegli affreschi, voluti da Bartolo Palmieri, il cavaliere, effigiato da M. all’interno dell’oratorio, membro di una prestigiosa e influente famiglia pisana, il quale aveva ricoperto cariche pubbliche a Siena dal 1382 almeno fino al 1391 (Stefanini, 1923, pp. 5-12). Iconograficamente pensati all’interno dello Studio domenicano pisano, come mostrano lo svolgimento delle storie del Vecchio e del Nuovo Testamento e, ancor più, la rappresentazione della complessa Cosmografia teologica, gli affreschi di Cascina sono l’opera di più ampio respiro di M., che sia stata conservata, in cui egli mostra una certa libertà di narrazione e di scelta di referenti pittorici, quasi mai presente nelle tavole e nei polittici, ma che dovette privilegiare nei dipinti murali.
A Pisa, dove era ormai piuttosto noto, M. aveva intanto avviato una bottega con Giovanni di Pietro da Napoli, con il quale all’inizio doveva trovarsi in posizione di subordinazione se, come attesta il contratto di allogazione del 1402, per la tavola dell’altare maggiore dello spedale di S. Chiara (conservata a Pisa, Museo nazionale di S. Matteo), per esplicita volontà del committente, M. avrebbe dovuto eseguire solo parti accessorie e carpenteria, non le «figure». Tale puntualizzazione appare ancora più oscura se si tiene conto che lo stile di Giovanni di Pietro, più secco e metallico, rimase a lungo in forte debito rispetto a quello invece più elegante e ricercato di M.: l’unico motivo plausibile è che M. fosse più giovane del collega.
Una evidente attenzione da parte di M. per la pittura di Spinello Aretino emerge con chiarezza nel polittico a mezze figure eseguito per lo spedale dei Trovatelli (conservato anch’esso a Pisa nel Museo nazionale di S. Matteo), datato 1403 e firmato dal solo M., in cui il rapporto operativo tra i due soci appare totalmente capovolto, rispetto all’anno precedente, e solo modesti interventi possono essere riferiti a Giovanni di Pietro. Sempre frutto del sodalizio tra i due, ma con maggiore impegno da parte di M., in particolare nelle trovate iconografiche e nei morbidi modellati, sono il polittico a mezze figure della chiesa di S. Domenico e la pala con il Matrimonio mistico di s. Caterina, datata 1404 e proveniente dal convento di S. Domenico (entrambi a Pisa, sempre nel Museo nazionale di S. Matteo). Il sodalizio tra i due pittori dovette interrompersi nel 1405; e quello stesso anno M., nonostante ricevesse ancora un pagamento da parte dello spedale di S. Chiara, dovette rientrare, forse definitivamente, a Siena, dove sposò Caterina di Domenico Pascucci con cui ebbe molti figli: l’ultimo, nel 1427.
A Siena M. risulta subito impegnato nelle grandi campagne decorative del duomo decise dall’Opera, dopo il definitivo abbandono dei lavori per l’ampliamento della chiesa.
Lavorò agli affreschi dell’altare di S. Crescenzio, dove raffigurò la Traslazione del corpo del santo, la Decollazione e il Ritrovamento del corpo (Lusini, p. 233). Nel 1406 fu incaricato di affrescare le cappelle di S. Savino e di S. Nicola dove raffigurò un Inferno che si sarebbe dovuto leggere insieme con il Giudizio universale di Taddeo di Bartolo (cappella di S. Antonio) e con il Paradiso della cappella della Madonna delle Grazie; ma il complesso ciclo è oggi integralmente perduto.
Nel 1407 ricevette l’incarico forse più importante della sua carriera: la raffigurazione a fresco delle sedici Virtù, vero capolavoro di grazia disegnativa e ricerca cromatica, nelle volte della nuova sala del palazzo pubblico di Siena, detta sala di Balia, in cui era contemporaneamente attivo Spinello Aretino. In quello e nell’anno successivo, eseguì anche i perduti affreschi per le volte della cappella di palazzo e per quelle della sala del Concistoro.
Nel 1408 eseguì il polittico che recava al centro la delicata ed elegante Madonna col Bambino proveniente da Asciano (Milano, collezione Fossati-Bellani); i pannelli laterali con figure di santi si trovano nella Pinacoteca nazionale di Siena.
Negli anni compresi tra il 1410 e il 1426, la sua attività per il Comune e per tutte le maggiori istituzioni cittadine fu davvero molto intensa e contraddistinta dai lavori più disparati: dalle perizie alle dorature, da affreschi a non meglio specificate «pitture».
Nel 1412, intanto, si era definitivamente rotto il rapporto con Taddeo di Bartolo, a seguito di una lite tra i due.
Raggiunta una notevole agiatezza economica, che lo vedeva sempre più impegnato in compravendite di case e terreni, M. ricoprì anche importanti cariche cittadine: in particolare, nel 1417, nel 1422 e nel 1432 fece parte del Consiglio generale e nel 1420 fu nominato castellano di Monte Agutolo (Carli, 1981).
Tra il 1410 e il 1412 era stato camerlengo dello spedale della Scala, per la cui sede nel 1419 dipinse l’affresco ancora visibile della Trinità con i santi.
Nel 1416 M. fu richiamato dall’Opera del duomo per colorire, indorare o «rinfrescare» sculture lignee.
Un documento del 1416 prevedeva il suo intervento su alcune sculture di Domenico di Niccolò; mentre altri successivi attestano la sua partecipazione a questo genere di lavori ancora nel 1419 e nel 1425. Il legame di M. con alcuni scultori è attestato anche da rapporti di fraterna amicizia: Domenico fu, di fatto, padrino della sua prima figlia Antonia, nel 1408, mentre Jacopo di Piero (Jacopo della Quercia) lo fu dei figli maschi Mattia e Bartolomeo Bastiano, rispettivamente nel 1417 e nel 1425 (Bacci, p. 345). Risale al 1426 l’esecuzione della policromia delle statue dell’Annunciazione di Jacopo della Quercia nella collegiata di San Gimignano, significativamente firmata da entrambi gli artisti.
Sempre nel terzo decennio del XV secolo M. dovette realizzare la pala d’altare per la cappella Brunacci in S. Agostino con Storie della vita di s. Stefano.
Il dipinto composto di sette pannelli (Francoforte, Städel Museum), che dovevano essere collocati intorno a una scomparsa tavola con la grande figura del santo, è una vera e propria citazione formale e tipologica della pala del Beato Agostino Novello di Simone Martini, la cui ripresa coincide con la tendenza arcaizzante che caratterizza l’ultima fase della produzione di M. (Montfort Molten, pp. 70-77).
Nel 1425 eseguì un polittico, andato perduto, per la chiesa di S. Antonio in Fontebranda (non più esistente), di cui gli eruditi senesi ricordavano la predella di particolare finezza prospettica e narrativa.
È possibile che in questi anni entrasse a lavorare nella bottega di M. il giovane Giovanni di Paolo, come attesterebbero le due tavolette a lui ascritte, raffiguranti santi a mezzo busto (Filadelfia, Museum of art), parti di una predella, che originariamente doveva comprendere altri due frammenti (York, Art Gallery), attribuiti a M. (Zeri).
Nel 1428 M. risulta ancora iscritto al «Breve dei pittori». I documenti tacciono poi fino al 1334, quando egli redasse il testamento in cui dichiarava erede unico il figlio Bartolomeo, fattosi monaco olivetano, e usufruttuaria la moglie se non si fosse risposata. Non si conoscono il luogo e la data di morte di M., che dovette avvenire prima del 26 apr. 1435 (Ciatti, p. 305).
Fonti e Bibl.: F. Bonaini, Memorie inedite intorno alla vita e ai dipinti di Francesco Traini ed altre opere di disegno dei secoli XI, XIV e XV, Pisa 1846, pp. 43-57; G. Milanesi, Documenti per la storia dell’arte senese, Siena 1854, I, pp. 44 s.; II, pp. 28-32, 35; V. Lusini, Il duomo di Siena, I, Siena 1911, pp. 233 s.; P. Stefanini, La chiesa di S. Giovanni Battista in Cascina, Pisa 1923; F. Mason Perkins, Su alcune pitture di M. di B., in Rass. d’arte senese, XVII (1924), pp. 5-12; P. Bacci, Francesco di Valdambrino, Siena 1936, pp. 353-355; P. Stefanini, La chiesa e i beni dei cavalieri di Malta in Cascina, in Arch. stor. di Malta, IX (1938), 1, pp. 19-35; E. Carli, Pittura pisana del Trecento, II, Milano 1961, pp. 29-31; A.R. Calderoni Masetti, I corali miniati, in E. Baracchini - A. Caleca, Il duomo di Lucca, Milano 1973, pp. 79-85; M.L. Cristiani Testi, Affreschi biblici di M. di B. in S. Giovanni Battista di Cascina, Pisa 1978; L. Bellosi, La mostra di Arezzo, in Prospettiva, 1975, n. 3, pp. 55-60; E. Carli, Il duomo di Siena, Genova 1979, pp. 83 s.; Id., Pittura senese del Trecento, Venezia 1981, ad ind.; M. Ciatti, M. di B., in Il gotico a Siena. Miniature, pitture, oreficerie, oggetti d’arte (catal., Siena), a cura di G. Chelazzi Dini, Firenze 1982, pp. 304-310; F. Zeri, Giovanni di Paolo e M. di B.: una proposta, in Paragone, XXXVII (1986), 435, pp. 6 s.; A. Caleca, in La pittura in Italia, Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, pp. 257 s., 264, 636 s.; C. Montfort Molten, The Sienese painter M. di B., dissertazione, University Microfilm International, Ann Arbor, MI, 1992; E. Carli, La pittura a Pisa dalle origini alla «bella maniera», Pisa 1994, pp. 107-109; R.H. Gaertringen, Italienische Gemälde im Städel 1330/1550, Mainz a.R. 2004, pp. 162-185; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 180 s.