CANAL, Martino
Del C. non si conosce la data di nascita, né resta di lui memoria in alcun documento; ciò che se ne sa si estrae dalla sua cronaca. Il nome e tutto lo spirito dell'opera lo palesano veneziano, e così la lingua, per quanto è dato di vedere dagli elementi che s'infiltrano nel suo francese. Con le tradizioni veneziane egli mostra familiarità di lunga data; ed è fuori d'ogni dubbio che risiedesse a Venezia tra il 1267 e il 1275, anni fra i quali cade la composizione della cronaca. Da un passo dell'opera si può argomentare che egli occupasse un posto, forse di scrivano e in ogni caso non molto elevato, presso la "Tavola da Mar", sorta di dogana marittima; se non si tratta di quest'ufficio, l'ipotesi dell'appartenenza a un'altra magistratura si presenta egualmente come valida, perché congruente sia con i caratteri culturali dello scrittore, sia con la collocazione tradizionale, quanto a professione, dei cronisti veneziani. Fu forse in rapporto diretto col doge Ranieri Zeno, cui è riservata parte considerevole nel racconto anche per fatti antecedenti la sua elezione. Gli episodi del quali il C. fu testimone oculare, rari e di scarso rilievo, si riferiscono tutti alla vita cittadina veneziana negli anni stessi della composizione della cronaca. Morì dopo il settembre 1275, data alla quale le Estoires siinterrompono.
La sola opera conosciuta del C. è una cronaca di Venezia, in lingua francese, dalle origini al 1275, che il primo editore intitolò arbitrariamente Cronique des Veniciens e che meglio, in assenza di indicazioni nel manoscritto e mettendo a partito un passo dell'opera, si può denominare Les estoires de Venise. Un'analisi interna permette di rilevare facilmente che la parte maggiore della cronaca fu scritta di getto tra il 1267 e circa il maggio del 1268; a questa data, quando il C. aveva pressoché raggiunto i fatti dei suoi giorni, la composizione sembra abbia avuto un arresto, probabilmente in concomitanza con la scomparsa dello Zeno; certo quanto poi segue, a parte due gruppi di capitoli, dedicati rispettivamente alla descrizione delle feste annuali veneziane e alla sfilata delle arti in onore del nuovo doge, Lorenzo Tiepolo, appare discontinuo e improntato a minor convinzione: e quando la cronaca s'interrompe, l'esito si direbbe da tempo scontato. L'interruzione, dunque, non sembra causata dalla morte dello scrittore, ma da ragioni inerenti alla genesi stessa dell'opera.
La narrazione è divisa in due parti, ciascuna introdotta da un prologo; nonostante l'interruzione, la seconda è lievemente più estesa, e quindi l'insieme risulta asimmetrico. Pur se l'incompiutezza vieta considerazioni strutturali complessive, l'opera non sembra nata con un disegno interamente definito, ma aperta verso il futuro, di pari passo con gli eventi; tuttavia lo schema è ben diverso da quello annalistico, ed anzi è in questo che risiede la maggiore originalità delle Estoires. La prima parte si conclude già negli anni dello scrittore, con la distruzione dei da Romano (1259); il taglio, cioè, è decisamente sbilanciato verso il presente, e difatti l'ottica dello scrittore non è di chi registri con distacco gli eventi del passato, ma di chi abbia idee ben precise sullo svolgimento delle vicende in corso, sia fuori che dentro Venezia.
È soprattutto a partire dal racconto degli eventi della quarta crociata che il C. adotta una misura nuova; la sua attenzione si accentra particolarmente, oltre che sulla quarta crociata, sulla guerra di Ferrara (1240), sulla lotta della coalizione guelfa contro Ezzelino e Alberico da Romano e poi, nella seconda parte, sulla guerra dichiarata o coperta tra Venezia e Genova per il predominio coloniale nell'Oriente mediterraneo. Questi avvenimenti, nella prospettiva del cronista, sono tutti collegati tra loro, poiché da poco (1261) Costantinopoli è caduta nelle mani di Michele Paleologo e dei Genovesi, e Venezia, nell'intento di recuperare la posizione perduta, deve giocare le sue carte al tavolo delle maggiori autorità, tra le quali in particolare la Curia romana. Il C. giunge a inglobare nella cronaca la "Partitio Romanie" (lo stato del codice lascia peraltro adito a un sospetto di interpolazione), ossia il documento stipulato all'indomani dell'imprevisto esito della crociata: la carta decisiva, che aveva conferito al doge il titolo di "dominatore della quarta parte e mezza di tutto l'impero di Romania". Ora quel dominio era da poco compromesso, e, a rimuovere l'accusa allora mossa ai Veneziani di aver deviato la spedizione secondo i loro interessi, il C. bada a prospettare gli eventi come una manifestazione continua della pietà cristiana dei Veneziani, ribaltando addirittura sul pontefice le responsabilità più gravi. Tutta la cronaca, del resto, è tagliata secondo la fondamentale esigenza di scagionare Venezia dalle varie accuse che allora le si muovevano. Per quanto riguarda il fronte interno, il C. sembra intento a perseguire un ideale di rafforzamento delle istituzioni e di conciliazione sociale; dai cenni che gli sfuggono, egli appare timoroso di sconvolgimenti, minacciati forse dal contraccolpo subito dall'economia veneziana con la perdita di Costantinopoli.
Si possono additare fonti precise solo per la parte iniziale della cronaca, a carattere leggendario, e non senza qualche dubbio. Dal cosiddetto Chronicon Altinate sembrano derivare i brani sulle origini troiane delle città tra l'Adda e la Pannonia, sulla calata di Attila e la distruzione d'Aquileia e d'altre città, sulla fuga degli abitanti nelle isole lagunari, la fondazione dei primi centri e l'eminenza di Rialto e il racconto, particolarmente articolato, della calata in laguna di un esercito franco agli ordini di Carlo Magno e della sua fine miseranda; dall'Altinate deriva forse anche il catalogo dei dogi. L'impresa dalmatica di Ordelaffo Faliero (1115) e gli avvenimenti costantinopolitani del 1171. Possono derivare dagli Annales Venetici Breves;alle altre leggende marciane, "praedestinatio" veneziana, "translatio" della salma, "apparitio" del santo per rivelare la sede dimenticata delle sue reliquie, svolte con varia estensione in passi separati della cronaca, si possono allegare antecedenti latini, soprattutto per la prima. Ma per tutto il tratto duecentesco, il più sviluppato e più importante, la possibilità di indicare fonti sicure viene a mancare. Verosimile, ma difficile da dimostrare con precisi riscontri, è la conoscenza, da parte del C., della Conqueste de Constantinople del Villehardouin per quanto riguarda gli eventi della quarta crociata, dei Cronica di Rolandino per ciò che concerne la lotta contro i da Romano; l'influsso stilistico del primo di questi testi sembra d'altra parte effettivamente in atto. Viceversa per tanti altri fatti il C. è egli stesso la fonte più ricca e s'è pensato allora, specie per quelli che coinvolgono la figura dello Zeno, ad autorevoli testimonianze orali. Che il cronista fosse in grado di documentarsi accedendo agli archivi del Comune parrebbe sicuro; anzi, la presenza di numerosi spazi bianchi nel manoscritto, in corrispondenza di nomi o di date, lascia credere a un'intenzione del C. di approfondire questo lavoro. D'altra parte, egli non solo inserì la "Partitio Romanie", ma anche il testo di un privilegio concesso per il regno di Gerusalemme da Baldovino II nel 1125; là dove il C. allude alla sua presenza, in un certo giorno del 1275, nella sede della tavola da Mar, egli narra di aver ricevuto dai visdomini di quella istituzione la procedura della nuova elezione dogale; il resoconto sia dell'elezione di Lorenzo Tiepolo nel 1268 sia di quella di Iacopo Contarini nel 1275 è effettuato con la competenza e la minuzia di chi registra tutte le tornate elettorali e i nomi dei membri eletti di volta in volta.
Nel suo complesso, la testimonianza del C. è molto importante per quanto riguarda il periodo dal dogado di Iacopo Tiepolo in poi; sembra che di qui, attraverso le riprese di Andrea Dandolo, derivino essenzialmente anche le narrazioni posteriori. Certo il C. parteggia per la sua città in termini così carichi da farli sembrare controproducenti; tuttavia il confronto con la narrazione del continuatore del Caffaro, tanto più scabro e sommario, conferma spesso quei dati, a volte ove meno ci si attenderebbe. Inoltre per una quantità di elementi particolari il C. offre dati di prima mano, come per quanto riguarda le tecniche di guerra navale, l'armamento delle galee, l'organizzazione di uno spionaggio marittimo; ma soprattutto meritano fama le pagine che egli dedicò alla descrizione della città, del centro civile e monumentale, delle solennità, del cerimoniale, dei costumi. Anche i resoconti di tornei e giostre d'impronta cavalleresca sono preziosi e aggiungono buoni complementi al materiale più noto circa la cultura e il costume francesizzante nel Veneto due-trecentesco.
Per quanto riguarda la cultura del C., il fatto più notevole consiste nell'adozione del francese. All'altezza cronologica delle Estoires non esiste ancora nessuna opera in volgare veneziano e un solo documento volgare le supera in antichità; cioè, la rottura con la tradizione latina non avviene nel nome del volgare locale, non è dettata da esigenze di comunicazione con un pubblico strettamente veneziano. Anzi, il C. giustifica espressamente la sua scelta sulla base del duplice primato del francese, la diffusione e la piacevolezza: il suo pubblico è in particolare quello dell'Oriente mediterraneo francofono, sede degli interessi mercantili vitali per Venezia. Lingua significa cultura, prosastica e poetica: i moduli espressivi del C. hanno continuo riscontro nella tradizione oitanica, così come la preghiera a s. Marco risente nel linguaggio, oltre che nello schema, di diffusi archetipi francesi. Se il C. si apparenta con la cultura franco-italiana, egli opera a quel livello cronologico più alto in cui l'uso della lingua d'oil appare meno "specializzato" in generi strettamente letterari e più espanso. Nell'insieme, il C. compì una brillante operazione di scelta su direttrice politica, e l'analisi linguistica lo mostra in possesso del suo strumento: in termini non perfetti ma più saldi di quanto non si riscontri per nessun altro scrittore "franco-italiano".
Fra le ragioni giustificative dell'opera addotte nei prologhi, il C. insiste sulla capacità della storiografia di perpetuare il ricordo degli eventi; davanti a sé egli ha il futuro di Venezia, e ai Veneziani a venire, cittadini della più bella città del mondo, intende tramandare la memoria delle gloriose imprese dei loro antenati. Da questo punto di vista, la cronaca del C. si può interpretare storicamente come l'epos della civiltà veneziana in uno dei momenti più alti della sua storia, al di là dello stato di crisi che ne costituisce forse la genesi immediata. E tuttavia, quando la cronaca del C. fu edita, nel 1845, da L. F. Polidori per volontà dei direttori dell'Archivio storico italiano, era un inedito non solo dal punto di vista dell'arte della stampa; le Estoires furono verosimilmente incamerate subito negli archivi comunali e non ebbero mai circolazione. Il manoscritto Riccardiano 1919, che solo tramanda la cronaca, è una copia cui attesero quattro amanuensi e almeno un colorista: copia non lussuosa, ma in buona pergamena, degna di un ambiente ufficiale; il testo, ad eccezione di un breve tratto finale, dovuto all'ultimo copista, è in condizioni di correttezza pressoché assoluta; anche quegli spazi bianchi in corrispondenza di nomi o dati sembrano rispettare le condizioni originarie del lavoro. Poiché non è prudente risalire più addietro dei primi decenni del Trecento, e spingersi cioè a identificare nel codice una copia sorvegliata dall'autore, l'ipotesi più calibrata dovrebbe essere quella di una attenta trascrizione d'autografo.
L'opera del C. venne letta e messa a frutto nell'inedita cronica di Marco (su cui confronta E. Paladin, Osserv. sulla inedita cronaca veneziana di Marco(sec. XIII ex.-XIV in.), in Atti d. Ist. ven. di sc., lettere e arti, CXXVIII [1969-70], pp. 429-61) che operò ai primi del Trecento; poi, con ogni probabilità, il doge-cronista Andrea Dandolo si servì continuativamente dell'elaborato del C., togliendone quanto riteneva essenziale per la narrazione sua, e non risparmiando critiche implicite. Ci sono indizi abbastanza solidi per ritenere che anche l'autore della Giustiniana avesse sott'occhio il testo delle Estoires: poi su di queste scende il silenzio, appena intaccato da alcune postille, rade ed enigmatiche, ai margini del manoscritto. La causa di questa mancata diffusione è stata attribuita alla comparsa dell'opera sintetizzatrice del Dandolo, che segnò l'"archiviazione" delle cronache anteriori; ma tra il 1275 e gli anni del lavoro del Dandolo intercorre un mezzo secolo, e l'"archiviazione" delle Estoires coincide con l'abbandono della penna da parte, del C.: appaiono pertanto più verosimili, anche se non comprovabili, le tesi che vedono o nel mutamento d'indirizzo politico perseguito dai dogi successivi allo Zeno o nella stessa ingenuità politica del C. le ragioni che indussero all'accantonamento della sua fatica.
Bibl.: E. Simonsfeld, Andrea Dandolo e le sue opere storiche, in Archivio veneto, XIV (1877), pp. 49-249(contiene importanti note sul C.); E. Bongioannini, Sulla Cronaca dei Veneziani di M. da C., Torino 1897;P. Catel, Studi sulla lingua della "Cronique des Veniciens", in Rendiconti [di Lettere] dell'Ist. lombardo di sc. e lettere, s. 3, II (1937-38), pp. 305-48; IV (1939-1940), pp. 39-63; A.Monteverdi, Lingua e letteratura a Venezia nel secolo di Marco Polo, in La civiltà veneziana nel secolo di Marco Polo, Firenze 1955, pp. 19-35 (ora in Cento e Duecento, Roma 1971, pp. 137-55);G. Fasoli, La "Cronique des Veniciens" di M. da C., in Studi medievali, s. 3, II (1961), pp. 42-74; A.Limentani, Note sullo stile epico-romanzesco di M. da C., in Cultura neolatina, XXI (1961), pp. 220-28;Id., Tradizione letteraria e funzione pubblicista nella preghiera a san Marco di M. da C., ibid., XXIV (1964), pp. 142-96;Id., "Martino" e "Marino" nell'onomastica veneziana (a proposito del cronista M. da C.), in Rivista di cultura classica e medioevale, VII (1965), pp. 614-27;A. Pertusi, Maistre M. da C. interprete cortese delle crociate e dell'ambiente veneziano del sec. XIII, in Venezia dalla prima crociata alla conquista di Costantinopoli del 1204, Firenze 1965, pp. 105-35;Id., Quaedam Regalia Insignia,Ricerche sulle insegne del potere ducale a Venezia durante il Medioevo, in Studi veneziani, VII (1965), pp. 74 ss.; A.Carile, Partitio Terrarum Imperii Romanie, ibid., pp. 185-189;A. Limentani, Cinque note su M. da C., in Atti d. Ist. veneto di sc.lett. e arti, cl. sc. morali lett. art., CXXIV (1965-66), pp. 257-81;Id., Approssimazioni alla biografia di un cronistaduecentesco: M. da C. e gli Ziani, in Studi in onore di I. Siciliano, Firenze 1966, pp. 657-75;Id., M. da C., la basilica di San Marco e le arti figurative, in Mélanges offerts à R. Crozet, Poitiers 1966, pp. 1177-90;Id., Elementi di vita marinara veneziana nel lessico di M. da C., in Boll. dell'Atlante linguistico mediterraneo, VIII-IX (1966-67), pp. 93-111;G. Cracco, Società e Stato nel Medioevo veneziano (secc. XII-XIV), Firenze 1967, pp. 265-90 e passim;A.Carile, La cronachistica venez. (secc. XIII-XVI) di fronte alla spartizione della Romania nel 1204, Firenze 1969, pp. 177 s., e passim; A. Limentani, M. da C. e l'Orientemediterraneo, in Venezia e il Levante, II, Firenze 1974.È stata pubblicata, a cura di A. Limentani, una nuova edizione delle Estoires (Firenze 1973)volta a sostituire quella che L. F. Polidori pubblicò nell'Archivio stor. italiano, VIII (1845), pp. IX-XXX, 231-706.