SCORSESE, Martin
Regista e produttore statunitense, nato a New York il 17novembre 1942. È stato tra gli artefici della svolta epocale che ha dato inizio alla Nuova Hollywood negli anni Sessanta e si è affermato in quarant’anni di carriera come uno dei maestri del cinema contemporaneo. Il suo modo nervoso e icastico di girare, l’invenzione sapiente di strutture narrative complesse, la capacità di dirigere grandi attori inserendoli nel suo mondo inconfondibile fatto di passione, violenza, tragicità, paesaggi urbani, ossessioni visive, ricostruzioni di spazi e ambienti storici accesi di coloriture a volte realistiche e a volte allucinanti, hanno dato forma al suo immaginario cinematografico. Vincitore, tra gli altri premi, della Palma d’oro al Festival di Cannes per Taxi driver (1976) e del premio per la miglior regia nel 1986 per After hours (1985; Fuori orario), ha ottenuto l’Oscar per la regia nel 2006 con The departed (The departed - Il bene e il male).
Due temi in particolare sono emersi nei film di S. degli anni Duemila: da un lato, la genealogia del coacervo storico che ha dato origine agli States, la grande ‘fabbrica’ di immaginario che coincide con il sogno americano; dall’altro, una certa tendenza onirica e visionaria da sempre insita nel suo cinema. Ne è derivata una netta tendenza al parossismo del montaggio, degli effetti visivi, dell’irraggiamento di punti di fuga ottici, fino a sperimentare in modo geniale la tecnologia del 3D.
In questi anni ha inoltre iniziato un rapporto artistico privilegiato con Leonardo DiCaprio (v.) che ha sostituito quello stabilito nei decenni precedenti con Robert De Niro. Il sodalizio ha preso l’avvio con Gangs of New York (2002), epica visione storica delle radici di New York nel 19° sec., con le sue guerre per bande composte dalle varie provenienze etniche. Girato, come i vecchi kolossal, negli studi di Cinecittà, il film ha consentito a S. di realizzare una fastosa costruzione visiva, sperimentando l’artificio delle riprese insieme alla grande fisicità delle scene di massa. L’ambizione del sogno e il suo fallimento, il riflettersi del gigantismo di un Paese nello specchio dell’onnipotenza dell’industria cinematografica e i frantumi provocati dalla caduta che segue l’eccesso, vengono raccontati da S. in The aviator (2004), biografia del tycoon di Hollywood Howard Hughes e racconto della sua ‘sfida al cielo’ simbolizzata dalla mania per il volo che si traduce nei ‘voli dell’immaginazione’ della sua attività di produttore destinato a diventare leggenda. Il film, tra i più ambiziosi di S., nei suoi costi stratosferici, nella sua magniloquenza sembra riflettere una scommessa alla Orson Welles e, come Citizen Kane (1941; Quarto potere), ricostruisce la solitudine di un uomo, i suoi incubi e le sue manie compulsive. Ma è con The departed, remake dell’hongkonghiano Mou gaan dou (2002, noto con il titolo Infernal affairs) di Andrew Lau e Alan Mak, che S. è tornato a raccontare, con gli stilemi esasperati del gangster movie, la violenza urbana e a dirigere, in un duello di recitazione oltre che di sfida criminale, due attori giovani: DiCaprio e Matt Damon, oltre a una vecchia star come Jack Nicholson.
Con un dittico che si riallaccia al fantastico e alla memoria cinematografica, alle fantasmagorie dello spazio e del tempo, S. ha poi sperimentato i mezzi e i moduli narrativi rinnovati dall’avvento del digitale: Hugo Cabret (2011), dal romanzo di Brian Selznick, torna alle radici delle fantasie di Georges Méliès e quasi ‘reinventa’, con uno stupefacente uso della stereoscopia, il cinema stesso, raccontandone, attraverso gli occhi di un bambino e quelli di un automa, l’incantamento, gli splendori e le miserie in una Parigi reinventata in studio con sapore pittorico impressionista. Mentre è al cinema espressionista, alle ossessioni per il soprannaturale e l’ipnosi di quella stagione, che rinvia invece Shutter Island (2010), dove in una labirintica isola la mente di un poliziotto viene irretita in un labirinto di follia dove si mescolano tempi, ricordi, spazi vissuti e immaginati, permettendo a S. di ricercare una struttura narrativa vertiginosa e frammentaria. Con The wolf of Wall Street (2013), dal libro di Jordan Belfort, S. ha poi portato al parrossismo e al delirio il racconto del sogno americano, in cui il sesso sfrenato, la sete di denaro, le droghe più impensate, disegnano una costellazione di pulsioni inarrestabili che trascinano l’ascesa e la caduta di un giocatore di borsa venuto su dal nulla. Nel 2015 S. ha iniziato la realizzazione di un progetto accarezzato da tempo: The silence, epopea in costume sui missionari gesuiti in Cina nel 17° secolo. Intanto nel 2010 con Boardwalk empire (Boardwalk empire - L’impero del crimine ), come produttore e regista della puntata pilota, S. ha fatto la sua incursione nel mondo, sempre più interessante, dei serial televisivi, e in quello stesso anno ha ricevuto un Golden Globe alla carriera.