Ficino, Marsilio
Umanista e filosofo (Figline Valdarno 1433 - Careggi 1499), dedicò la sua opera di studioso principalmente al rinnovamento degli studi platonici e fu centro di quell'Accademia platonica, nata per impulso di Cosimo de' Medici, che sotto Lorenzo il Magnifico conobbe il suo momento di maggiore fioritura.
La costruzione di un nuovo sistema neoplatonico prende le mosse dalla rinnovata lettura di Platone e dei filosofi della tarda antichità: alla traduzione dal greco dei dialoghi platonici affrontata nel 1463 segue la traduzione dei libri ermetici, di Giamblico, Proclo, Porfirio, Prisciano e infine dello Pseudo-Dionigi; a queste si aggiungono i notevoli commenti delle opere platoniche come quello del Convito, che l'autore stesso tradusse in italiano perché la " salutifera manna " del pensiero platonico fosse agevolmente accessibile a un pubblico più vasto. Tale opera di restaurazione del platonismo, intesa come ritrovamento, nell'antichità, di una sapienza eterna e universale che il cristianesimo avrebbe compiutamente svelata, culmina con la Theologia platonica pubblicata nel 1482; ma una lunga serie di opuscoli, di trattati e di lettere rivela, nella fondamentale tendenza neoplatonica, in cui confluiscono notevoli motivi ermetici e orfici, la persistenza d'interessi naturalistici, astrologici e medici.
Sebbene i punti cardinali del sistema neoplatonico ficiniano fossero il concetto della " docta religio " celata nelle forme più varie della cultura di ogni tempo e la propensione umanistica a fare dell'uomo la " copula mundi ", il centro di quella scala che da Dio degrada fino alla materia, rappresentato dal Cristo, tuttavia l'interpretazione essenzialmente religiosa del platonismo da parte del F. trova le sue sorgenti nella tradizione mistica che da Dionigi Areopagita, da Agostino, attraverso Duns Scoto conduce a s. Bonaventura. Predomina infatti, nella filosofia ficiniana, il tema dell'itinerarium mentis in Deum, della graduale ascesa dell'anima fino alla visione divina, che solo la Grazia rende possibile attuare, così come ritornano insistentemente il motivo della luce quale simbolo della verità e della bontà divina, e quello ad esso strettamente connesso dell'amore e della bellezza quali mete e fondamenti della vita dell'anima.
In questa prospettiva si spiega l'incontro del F. col testo di D., il quale non solo offriva l'esempio del poeta-teologo caro alla concezione ficiniana, ma pareva aderire, specie negli ultimi canti del Paradiso, a un'esperienza spirituale di tipo neoplatonico. E platonico definiva D. il F. per la teoria dell'amore nel De Amore (Opera, Basilea 1576, 1355), come nella linea del platonismo culminante nella svolta data appunto dal F. lo inseriranno i cinquecentisti (cfr. B. Varchi, Lezioni, Firenze 1550, 35). Tale rilancio del poeta fiorentino coincideva con una ripresa filologica che porterà nel 1480 al commento landiniano, salutato dal F. come l'auspicato ritrovamento e coronamento di D. da parte della sua patria (cfr. la lettera che segue alla prefazione del Landino nell'edizione del 1481). In realtà il F., nel promuovere una interpretazione neoplatonica dell'opera dantesca, non faceva che portare a compimento la riabilitazione del poeta promossa dagli umanisti, eliminando quei residui motivi di diffidenza verso l'aspetto scolastico e la forma ‛ volgare ' del poema.
La suggestione operata dal testo dantesco sul F. si potrà valutare in alcuni tratti dell'opera filosofica di quest'ultimo, incline a tradurre in immagini simboliche le divine verità. Ad es. nel cap. I del De Amore il rapporto fra la Grazia, l'amore, la visione e la felicità vien posto in modo assai simile a Pd XIV 40-42; nella Theologia platonica compare l'immagine della freccia che colpisce infallibilmente per indicare la Provvidenza divina (XIV 8; cfr. Pd VIII 103-105) e l'altra del divino agricola (ibid; cfr. Pd XII 71, XXVI 64-65)
Ma a parte questi occasionali incontri con la poesia dantesca, il F. si. occupò dell'opera di D. curando una traduzione della Monarchia per compiere la quale interruppe, fra il 1467 e il 1468, la traduzione dei dialoghi platonici. La scelta, tuttavia, non esulava dall' interpretazione neoplatonica dell'opera dantesca, in quanto il trattato politico veniva presentato come parte di un unitario disegno destinato a comprendere non solo il regno di coloro che hanno abbandonato la vita terrena, ma anche quello dei pellegrini ancora viventi sulla terra.
La traduzione della Monarchia veniva dedicata ad Antonio Manetti e Bernardo del Nero, il primo un dantista che si distigguerà per un famoso commento scientifico della Commedia e il secondo un seguace dei Medici, che in quegli anni intraprendeva la carriera politica e al quale il F. dedicherà ancora il De Amore e il De Christiana religione, richiamandolo alla considerazione che deve avere per la futura meta celeste un uomo dedito alla città terrena (Supplementum Ficinianum I 10-11). E tuttavia la prospettiva neoplatonica, entro cui veniva inserito il trattato politico, non esclude né la possibilità che il filosofo volesse venire incontro a un interesse vivo di Bernardo, che nel '56 aveva ricopiato una traduzione anonima della Monarchia, offrendo un volgarizzamento più autorevole, né una ragione d'ordine propriamente ideologico-politico in un momento di particolare attrito fra il papa e i Fiorentini minacciati di scomunica. E infatti, proponendo gli argomenti del trattato dantesco, il F. sottolineava quello secondo il quale " detto imperio dal sommo Iddio senza mezzo del papa dipende " (Suppl. Ficin. II 184).
Bibl. - A. Chastel, Art et humanisme à Florence au temps de Laurent le Magnifique, Parigi 1961, 106 ss.; A. Della Torre, Storia dell'Accademia platonica di Firenze, Firenze 1902; C. Dionisotti, D. nel Quattrocento, in Atti del congresso internaz. di studi danteschi, ibid 1965, 362 ss.; J. Festugiére, D. et M. Ficin, in Bulleti du Juhilé (sixième centenaire de la mort de D.), Parigi 1922, 535-543; E. Garin, La filosofia, Milano 1947, 287-326; P.O. Kristeller, Il pensiero filosofico di M.F., Firenze 1953; Supplementum Ficinianum, Marsilii Ficini Florentini opuscola inedita et dispersa, a c. di P.O. Kristeller, ibid 1937; R. Marcel, Marsile Ficin, Parigi 1958, 325-334. La traduzione ficiniana della Monarchia, edita per la prima volta a Firenze nel 1839, è stata in seguito riprodotta in Tutte le opere di D., a c. di F. Chiappelli, Milano 1965, 789-838.