Ficino, Marsilio
Filosofo (Figline Valdarno, Firenze, 1433- Careggi, Firenze, 1499).
Si ritiene che F. compisse i primi studi a Firenze e li continuasse a Pisa (1449-51), nel periodo di sospensione dello Studio fiorentino. A Firenze, dove poi riprese gli studi, ebbe come primo maestro di filosofia Nicolò Tignosi da Foligno. Già da allora F. preferiva alle opere aristoteliche gli scritti platonici; e al platonismo si dedicò interamente quando Cosimo de’ Medici gli accordò, con la sua protezione, anche i mezzi per compiere tali studi. Poco tempo dopo iniziò anche lo studio del greco, del quale s’impadronì ben presto; avuta in dono da Cosimo de’ Medici la villa di Careggi, vi alternava il lavoro di traduzione degli scritti platonici ed ermetici alle conversazioni di argomento filosofico, politico, letterario con gli amici: questo cenacolo fu detto Accademia platonica fiorentina (➔). Sono gli anni più fecondi di Ficino. Dopo la congiura dei Pazzi, l’odio politico contro Savonarola (prima da lui riconosciuto profeta, quindi denunciato come Anticristo) turbò la sua vita di studioso, mentre sempre più ambiguo si faceva il suo atteggiamento, spesso di ossequio verso i potenti, fossero questi i Medici o i loro avversari.
Tra i primi scritti di F. figurano De virtutibus moralibus (1457), De quattuor sectis philosophorum (1457), De voluptate (1457-58); presto iniziò il lavoro di traduttore: gli inni attribuiti a Orfeo, quelli attribuiti a Omero, la Teogonia di Esiodo, gli inni di Proclo; seguirono le versioni del Corpus hermeticum, dei dialoghi di Platone (alcuni dei quali commentati: famoso il commento al Simposio), e infine le Enneadi di Plotino (versione realizzata per esortazione di Pico della Mirandola): furono queste versioni platoniche a dischiudere alla cultura europea un patrimonio fino allora sconosciuto nella sua complessità. Ma l’opera più personale di Ficino è la Theologia platonica de animorum immortalitate (prima stesura 1469-74, in seguito rimaneggiata), cui seguirono, dopo l’ordinazione sacerdotale (1473), il De christiana religione (1474) e il De amore (1474). Altri suoi scritti: De raptu Pauli (1476), Consiglio contro la pestilentia (1479), De vita libri tres (1489), De sole et lumine (1493); degli ultimi anni è l’incompleto commento a s. Paolo (1497).
La speculazione di F. si muove nell’ambito della tradizione neoplatonica; ma il ‘platonismo’, appare a F. come una filosofia divinamente ispirata in cui si riassume tutta la tradizione speculativa orientale e greca; essa si viene quindi a inserire in una prospettiva più ampia, quella di una pia philosophia o «filosofia religiosa», che è il segno della presenza del Verbo nella storia, e in cui rientrano Zoroastro e Mosè, il favoloso Ermete Trismegisto e Platone, i pitagorici e i neoplatonici; trova infine il proprio coronamento nel cristianesimo. F. stesso sottolinea la sua fedeltà alla tradizione platonica antica e medievale che si presenta come alternativa al naturalismo aristotelico e soprattutto averroistico: la filosofia è per F. liberazione dal mondo sensibile e ‘fuga’ verso il principio del Vero, cioè Dio, che si manifesta nel suo Verbo. Sono Platone e Plotino a ispirare i motivi centrali della filosofia ficiniana: dalla simbologia della luce alla dottrina di Dio, del Logos, dell’anima del mondo, fino a quella del ‘ritorno’ dell’uomo a Dio, attraverso un processo di ‘semplificazione’ che porta (per l’assidua assistenza di Dio) alla progressiva contemplazione dell’Uno in un ultimo atto d’amore. Dottrina particolarmente importante questa, che afferma il primato dell’amore sul conoscere (cui corrisponde in Dio il primato del bene sull’essere) e si congiunge alla dottrina platonica della bellezza: la bellezza diviene manifestazione di Dio nel mondo, l’amore il nesso dell’Universo, e il rapporto Uno-molteplice si scandisce secondo i temi della bellezza, dell’amore, della dilettazione (di qui una gamma vastissima di motivi svolti poi dalla trattatistica cinquecentesca). Ovviamente F. interpreta il platonismo attraverso gli scritti dionisiani (il cui autore riteneva ancora essere Dionigi discepolo di s. Paolo e fonte autentica del neoplatonismo) e attraverso quelli di Agostino: elabora cioè un platonismo già cristianizzato e assimilato dalla tradizione teologica patristica e dall’agostinismo medievale. Risente l’influenza anche di altri autori, come Avicenna, Tommaso d’Aquino e lo stesso Aristotele, che appariva a F., secondo l’interpretazione avicennistica, sostanzialmente coincidere con gli insegnamenti platonici quanto alla discussa dottrina dell’immortalità dell’anima: ma è sempre il platonismo a costituire il fondo comune delle varie suggestioni che confluiscono in una prospettiva di sapientia per cui il filosofo (e anzitutto Platone) si fa sacerdote e la filosofia religione. L’importanza e l’influenza vastissima di F. nella cultura europea è tutta in questa prospettiva che indicava ai contemporanei un platonismo come «filosofia religiosa» in cui rientrano l’antica tradizione religiosa pagana ed ebraica, la filosofia greca e cristiana; non quindi in particolari dottrine, poiché, analizzata nei dettagli, l’opera di F. mostra immediatamente le sue fonti. All’aristotelismo della scolastica (soprattutto della tarda scolastica), all’averroismo e in particolare agli esiti naturalistici della tradizione aristotelica, F., attraverso la vastissima sua opera di traduttore e commentatore, attraverso i suoi scritti originali, anzitutto la Theologia platonica, contrapponeva rinnovandola una tradizione filosofica e religiosa antichissima che nel cristianesimo aveva trovato il suo coronamento.