Marsia
Personaggio della mitologia classica. Satiro, nato nella città di Celene (cfr. Theb. II 666, IV 186), abitatore dei boschi della Frigia.
Avendo Minerva inventato il flauto e suonandolo la dea in un convito olimpico, venne derisa dagli altri dei per l'inelegante gonfiarsi delle sue gote; la dea volle allora vedersi riflessa nell'acqua, e quindi, indispettita, gettò via lo strumento. Lo raccolse M., che seppe trarne suoni dolcissimi, divenendo ben presto per ciò famosissimo. Montato in superbia, osò sfidare Apollo lasciando al dio di proporre le condizioni della gara, alla fine della quale il vinto sarebbe stato alla mercé del vincitore: Apollo accettò, e pretese che essi suonassero i loro rispettivi strumenti, cetra e flauto, tenendoli rovesciati. M. non poté trarre dal flauto i suoni desiderati, e le Muse aggiudicarono la vittoria ad Apollo. Il dio compì allora la sua vendetta legando M. a un albero e scorticandolo vivo; il misero corpo fu poi lasciato in preda alle tortore. La terribile punizione è descritta da Ovidio (Met. VI 382-400), il quale aggiunge che M. si sarebbe poi mutato in fiume, scorrente nella Frigia.
D. nel proemio alla terza cantica (Pd I 13-36) invoca il buono Appollo affinché gli entri nel petto e canti egli stesso: sì come quando Marsïa traesti / de la vagina de le membra sue (v. 20).
I commentatori moderni, concordi, chiosano: " con quella potenza che mostrasti nella gara con Marsia ", quasi non avvertendo l'evidente stonatura: che deriva - più ancora che dal ricordo della terribile punizione a proposito del dio buono - dal fatto che è ricordato lo scorticamento, non la gara (e il commentatore è perciò costretto a una chiosa che copra la diffrazione). In realtà quasi certamente D., più che allo scorticamento in sé e per sé, ha mirato al valore allegorico attribuitovi dai mitografi medievali: cioè - per dirla brevemente, con le parole di Pietro Alighieri - " apparentia tollitur a sapiente ". Il poeta dunque invoca il buono Appollo - lo Spirito Santo - affinché per mezzo del poeta-vate (Entra nel petto mio), egli stesso ispiri (spira tue) la verità, tolta del tutto ogni apparenza esteriore (cfr. Met. VI 390-391 " salientia viscera possis / et perlucentes numerare in pectore fibras "), a confusione dei presuntuosi ignoranti che potrebbero non prestar fede al divino poema.