MARIOTTO di Cristofano
MARIOTTO di Cristofano. – Nacque a Castel San Giovanni, l’attuale San Giovanni Valdarno, intorno al 1395, come si deduce dai documenti catastali che lo riguardano.
Nel panorama artistico fiorentino del primo Quattrocento il linguaggio pittorico di M. è affine a quello di Lorenzo di Bicci, Giovanni Toscani e Arcangelo di Cola da Camerino, ma la notorietà di M. si deve al suo legame parentale con il conterraneo Masaccio: nel 1421 sposò Caterina, figlia di Tedesco di Maestro Feo, secondo marito di monna Jacopa, madre di Masaccio, con la quale però Caterina non aveva vincoli di sangue, essendo il frutto del precedente matrimonio di Tedesco.
È stato supposto che M. si fosse trasferito ancora giovane da San Giovanni Valdarno ad Arezzo, poiché si pensava di riconoscerlo in un omonimo pittore ricordato fra gli uomini abili alle armi di quella città nel 1413, da identificarsi però con Mariotto di Cristofano di Giovanni di Tura, figlio d’arte e padre di monna Agnese, ricordata in un documento testamentario del 1507 (Degli Azzi). L’assenza della denuncia della famiglia di M. nell’estimo di Castel San Giovanni del 1412 ha fatto ipotizzare invece che M. si fosse già trasferito a Firenze agli inizi del Quattrocento (Frosinini, 1987, p. 445).
Non è possibile stabilire per via documentaria quando M. arrivò a Firenze. Probabilmente la sua famiglia non vi si trasferì mai, visto che sua madre risiedeva ancora nel 1427 a San Giovanni Valdarno. È più probabile, allora, che M. sia giunto più tardi in città, forse intorno alla metà del secondo decennio del secolo o comunque non molto prima del 1419, epoca alla quale risale la prima notizia certa della sua presenza a Firenze. In quell’anno entrò a far parte della compagnia dei pittori, nella quale fu registrato come «Mariotto di Cristofano da Castello Sancto Giovanni» (Jacobsen, p. 296).
Non è noto se la sua formazione si sia svolta nel paese di origine o più plausibilmente a Firenze. Diverse sono infatti le opinioni sul rapporto di Masaccio con Mariotto.
Secondo Boskovits (2002, p. 53), M. avrebbe contribuito a insegnare a Masaccio i primi rudimenti dell’arte; per Frosinini (1987, p. 447) invece, vista la poca differenza di età tra i due artisti, il contatto sarebbe avvenuto più tardi e a Firenze, quando entrambi si erano ormai formati indipendentemente. È possibile che M. abbia svolto il suo apprendistato in qualche affermata bottega fiorentina, presso un laboratorio affidabile e di tradizione come poteva essere quello di Lorenzo di Bicci, al quale si è cercato di collegare anche gli esordi del giovane Masaccio (ibid., p. 446).
Il 10 genn. 1419 (1418 nello stile fiorentino) M. si immatricolò all’arte dei legnaioli come «Mariotto di Cristofano Chorsi chofanaio». Dai registri risultano pagamenti a quest’arte fino al 1433. È possibile che M. abbia lavorato ancora giovanetto nella bottega del nonno di Masaccio, Mone di Andreuccio, fabbricante di manufatti in legno a San Giovanni Valdarno (ibid., p. 446).
A Firenze M. risiedeva in una casa di proprietà dei Castellani, che erano originari del Valdarno, fra San Giovanni e Reggello, dove avevano numerosi possedimenti. È plausibile, dunque, che nella fase iniziale della loro carriera M. e Masaccio abbiano trovato aiuto e protezione in Firenze, presso questa importante famiglia guelfa.
All’8 apr. 1419 risale la prima notizia sull’attività artistica di M.: la commissione da parte di Leonardo Rustici di un affresco, perduto, raffigurante S. Giovanni Gualberto, per la chiesa di S. Remigio a Firenze, nel quartiere di S. Croce. Al 1422-25 si riferiscono alcuni documenti relativi all’eredità di Tedesco di Maestro Feo, della quale fu beneficiario anche Mariotto.
La prima fase della sua attività è documentata dalla Madonna dell’Umiltà celeste con i ss. Giovanni Battista e Giacomo, già sul mercato antiquario tedesco e collocabile ancora entro il secondo decennio, dove sono evidenti gli influssi di Gherardo di Jacopo detto lo Starnina e Lorenzo Monaco (Boskovits, 2002, p. 60).
Sempre in questi anni si colloca il trittico di S. Maria a Preci, vicino Norcia, trafugato nel 1971, raffigurante la Madonna fra i ss. Benedetto, Pietro, Giovanni Battista e Antonio Abate, che mostra una concezione semplificata e scarna della «sacra conversazione» popolata di personaggi con fisionomie caratterizzate. Allo stesso periodo dovrebbe risalire anche L’Annunciazione della pieve di S. Pietro a Cascia, concepita secondo formule compositive ancora tardogotiche (Id., 1969). Quest’opera, che probabilmente si lega alla Confraternita dell’Annunziata, fu realizzata intorno agli stessi anni in cui Masaccio dipinse il trittico per la vicina chiesa di S. Giovenale.
Nella Madonna in trono fra i ss. Giovanni Battista, Pietro, Paolo, Antonio Abate, Michele Arcangelo, Bartolomeo, Onofrio e Lorenzo, ora a Roma al Museo del Palazzo di Venezia, ritenuta da Boskovits (1969) coeva di quella di Cascia, M. mostra una pittura più fusa e un’attenzione alla definizione dei dettagli decorativi che raramente si ritrovano negli anni più tardi. Fra il 1420 e il 1425 dovrebbe porsi il Christus Patiens tra la Vergine e s. Lucia, già sull’altare destro della chiesa di S. Lucia a San Giovanni Valdarno e ora nel Museo della basilica di S. Maria delle Grazie nella stessa cittadina, dove il suo linguaggio sempre più sintetico, sembra avere assimilato la lezione rinascimentale, traducendola però in forme disegnative, prive della carica espressiva e dei contenuti plastici e prospettici proposti da Masaccio.
La predella, dove sono raffigurati S. Michele Arcangelo, un Episodio di s. Silvestro papa e S. Ivo che si rivolge alla folla, non sembra pertinente all’opera e fu forse aggiunta in un secondo momento da un altro autore.
Prossimo a quest’ultima opera è il Feiertagschristus affrescato nella basilica di S. Miniato al Monte a Firenze, ovvero il Cristo Portacroce ferito dagli strumenti di lavoro e accompagnato dalla scritta che impone di riposare nei giorni di festa, nel rispetto dei comandamenti: un soggetto assai raro in ambito italiano e maggiormente diffuso nell’Europa settentrionale (Cohn, p. 67). Di qualche anno successivo alla metà del secondo decennio è il polittico raffigurante la Pietà tra i ss. Giovanni Gualberto, Nicola, Giacomo Maggiore e Bernardo degli Uberti, ora nella chiesa delle Ss. Flora e Lucilla a Carda di Castel Focognano e in origine nell’abbazia benedettina di S. Trinita in Alpe a Talla, che evidenzia un’impostazione esemplata su modelli trecenteschi.
Dalla presenza dei due santi vallombrosani si evince che l’opera fu realizzata in occasione del passaggio del monastero a questo Ordine, avvenuto nel 1425. Le due piccole figure delle sante Flora e Lucilla nello scomparto centrale furono aggiunte nel XVI secolo, quando il dipinto fu trasferito nella chiesa attuale (Maetzke).
Nel 1425 M. prese in affitto, insieme con il cognato Gabriello di Piero, una casa a San Giovanni Valdarno sulla via Maestra. Dalla sua prima portata al catasto risulta che due anni dopo risiedeva a Firenze nel quartiere di S. Croce, nel «popolo» di S. Pier Scheraggio, nella casa appartenente ai Castellani; a questi anni si riferiscono ulteriori atti privati relativi a contratti, testamenti e debiti.
Al gennaio 1429 (1430 nello stile fiorentino) risale la sua seconda portata al catasto, dalla quale risulta che aveva tre figlie. Dall’elenco dei debitori si apprende che aveva eseguito lavori artistici non specificati per il banchiere Niccolò Bellacci. Nello stesso anno fu incaricato di rifinire e dipingere il tabernacolo marmoreo dell’altare del battistero fiorentino. Dalla sua dichiarazione del 1433 risultano incrementati i suoi beni a San Giovanni Valdarno, mentre ancora al 1435 si riferisce un lodo a composizione circa la dote della madre di Masaccio.
Nel 1437 M. acquistò per 140 fiorini, dalle pinzochere dell’ospedale di S. Paolo, una casa nel popolo di S. Pier Scheraggio. Parte del costo della casa fu decurtata in ragione di lavori artistici fatti all’ospedale.
A quegli anni dovrebbe risalire un’opera dall’attribuzione controversa: l’Adorazione dei magi della chiesa di S. Felicita in Firenze, traduzione semplificata e dialettale di soluzioni tratte dall’ultimo Lorenzo Monaco e da un dipinto colto e raffinato come l’Adorazione eseguita da Gentile di Niccolò di Giovanni di Massi (Gentile da Fabriano) nel 1423 per Palla Strozzi, già in S. Trinita e ora agli Uffizi (Fiorelli Malesci). Sempre nello stesso decennio si colloca l’Annunciazione di ubicazione sconosciuta, pubblicata da Fremantle (1975), che precede quella della collezione Lanz di Amsterdam, datata da Boskovits (1969, p. 5) alla seconda metà del quinto decennio e derivata dall’analoga raffigurazione dipinta da Beato Angelico (Guido di Pietro) per Cortona (ora nel Museo diocesano).
Due anni dopo il 1442, epoca a cui risale una nuova portata al catasto, si registra un pagamento dall’ospedale di S. Matteo, per modifiche fatte a una tavola di «Nostra Donna ovvero tabernacholo». È sicuramente M. quel «Mariotto dipintore» che nel 1442 tenne in affitto una bottega di proprietà dei fratelli Carducci, situata in borgo Ss. Apostoli, la via dove nel Quattrocento era la massima concentrazione di botteghe di «forzerinai e cofanai», fra le quali quella di Giovanni di ser Giovanni detto lo Scheggia e di Marco del Buono (Bernacchioni, 1992, p. 211).
Il 6 dic. 1445 fu commissionata a M. dall’ospedale di S. Matteo una tavola d’altare dipinta su due facce con la Resurrezione e la Madonna e santi, destinata al settore femminile. Il dipinto fu portato a termine l’8 sett. 1447, mentre la predella fu realizzata da un pittore di nome Berto, per 7 fiorini. Alcuni pagamenti furono riscossi anche da Domenico, figlio di Mariotto.
La predella è perduta, ma l’opera principale fu identificata da Cohn con le Nozze mistiche di s. Caterina fra Dorotea, Agnese, Maria Maddalena, Elisabetta e la Resurrezione, rispettivamente la n. 3162 e 3164 della Galleria dell’Accademia di Firenze, già attribuite da Procacci al cosiddetto Maestro dello Sposalizio, al quale questo studioso riferiva anche un altro dipinto della stessa mano, conservato nella medesima galleria con episodi della Vita della Vergine, il n. 8508, proveniente dalla chiesa parrocchiale di S. Andrea a Doccia (Pontassieve; Procacci, 1936, p. 39). Quest’opera, solitamente datata agli anni Quaranta, fu consegnata dalla parrocchia nel 1856 alla Galleria dell’Accademia.
La commissione consentì a Cohn di identificare la personalità artistica di M., fino ad allora nota solo attraverso i documenti raccolti da Procacci.
Un anno dopo la sua penultima dichiarazione catastale del 1446-47, la figlia Piera sposò Domenico di Stefano, fabbricante di immagini di cera.
All’attività tarda di M., precisamente al sesto decennio, risalgono la Visitazione mutila e una figura di santo martire nella chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta a Loro Ciuffenna, poco distante da San Giovanni Valdarno, attribuite a M. da Frosinini (1989, pp. 521-523). Questi affreschi sono sicuramente da collegare all’altare intitolato alla Visitazione di s. Elisabetta, ricordato negli inventari della chiesa.
La carriera di M. si chiude con la Madonna fra i ss. Antonio Abate, Lorenzo, Giovanni Battista, Jacopo e i donatori, ora nel Museo di S. Maria delle Grazie a San Giovanni Valdarno, proveniente dalla chiesa di S. Lorenzo della stessa città.
Il dipinto è accompagnato in basso da una iscrizione che lo dichiara eseguito il 10 ag. del 1453 (Cohn, p. 67). L’opera, che rappresenta emblematicamente l’involuzione del suo linguaggio artistico nell’ultima fase, mostra esiti formali estremamente ingenui ed è priva di quella consueta perizia tecnica, tanto da far supporre l’intervento di un collaboratore.
L’attività di M. è attestata anche dalla sua ultima dichiarazione catastale, del 1451, mentre la notizia pubblicata da Milanesi ricorda come «Mariotto di Cristofano dipintore da Firenze» fu incaricato il 26 apr. 1454 di dipingere uno stendardo di panno con la figura della Vergine, per il prezzo di 2 fiorini, destinato alla Compagnia di disciplinati della chiesa di S. Maria degli Angeli a San Gimignano.
È l’ultima informazione sull’attività di M., che dovette morire di lì a poco, comunque entro il 1457, come si deduce da un ulteriore documento fiscale, risalente a quell’anno, redatto dal figlio ed erede Francesco.
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