VALENTINO, Mario . –
Nacque a Napoli nel 1927, figlio di Fortuna Pullo e di Vincenzo, uno dei più rinomati calzolai napoletani del tempo.
Nel laboratorio paterno, che impiegava numerosi operai specializzati, venivano realizzate a mano calzature di lusso destinate a una clientela d’élite che includeva, oltre a esponenti della nobiltà locale, rappresentanti della casa regnante e celebri donne dello spettacolo.
Pur dedicandosi agli studi classici, sin da giovanissimo, Valentino prese parte all’attività del padre. Conseguita la licenza liceale, e assolti gli obblighi di leva, decise di seguirne le orme in maniera autonoma e con l’aiuto finanziario della madre aprì nei primi anni Cinquanta un suo laboratorio a Materdei, allora un quartiere in espansione, dove gli fu più facile trovare degli spazi adeguati. La sua formazione gli consentì di fondere le indispensabili competenze tecnico-professionali che richiedeva il mestiere, retaggio della tradizione imprenditoriale familiare, con l’apertura mentale e la passione per il bello che gli provenivano, oltre che da una particolare sensibilità artistica, dagli studi effettuati. Alla costante ricerca di nuove forme e ispirazioni per le sue scarpe, Mario frequentò Parigi, consacrata capitale dell’alta moda internazionale. Lì effettuò un apprendistato nell’atelier di André Perugia (uno dei creatori di scarpe più fantasiosi di quegli anni) e poté sperimentare quella combinazione di materiali pregiati che sarebbe poi divenuta un tratto distintivo delle sue collezioni. Nel quotidiano confronto con il ‘maestro’ iniziò ad apprendere quanto la struttura di una scarpa da donna potesse spingersi verso forme audaci: pur dotandola di tacchi a spillo vertiginosi, doveva essere in grado di bilanciare il peso del corpo e di resistere alle continue sollecitazioni a cui era sottoposta. A quel tempo risale la sua prima collezione, che realizzò per Jacques Fath, maison per la quale negli anni Cinquanta crearono stilisti destinati a divenire a loro volta famosissimi. Le scarpe di Valentino cominciarono subito a distinguersi e a stupire per l’uso di colori decisi, che modificarono il modo classico di intendere la calzatura detta décolleté, solitamente realizzata in nero o in bianco e nero.
Nel 1952 Mario sposò Bianca Giannoni, una napoletana di padre toscano. Fin dall’inizio presente in azienda, fu lei a seguire negli anni successivi lo sviluppo del settore dedicato all’abbigliamento. Insieme ebbero tre figli – Gianni, Fortuna ed Enzo – che hanno proseguito lo sviluppo del brand.
Nel 1954 venne coinvolto tra Napoli e la capitale in una serie di eventi di promozione internazionale dell’alta moda italiana. A Roma – dove furono organizzate alcune sfilate per rafforzarne il ruolo nel contesto europeo della haute couture e ampliare il numero di stilisti italiani conosciuti all’estero – Mario Valentino fu invitato con i napoletani Fausto Sarli e Livio De Simone a mostrare il meglio della tradizione sartoriale campana. Il settore calzaturiero italiano tentava allora di proiettarsi sui mercati internazionali attraverso diverse manifestazioni, fra cui spiccò la Presentazione nazionale della moda della calzatura (organizzata sin dal 1948 dall’Ente autonomo Fiera di Bologna), una vetrina a cui Mario partecipò sempre puntualmente, sia per conto dell’azienda familiare sia per la propria, tanto da meritarsi nel 1971 il premio fedeltà. In quegli anni avvenne il suo incontro con David Evins, un disegnatore di scarpe molto noto sul mercato americano, piazza particolarmente sensibile già a metà Novecento al fascino del made in Italy; a cominciare proprio dal settore delle calzature e degli accessori in pelle, settori in cui i prodotti italiani presentavano un rapporto qualità/prezzo particolarmente favorevole per i clienti d’Oltreoceano. Fu in quegli anni che prese avvio il progetto degli imprenditori italiani di fondare sul binomio ‘bello e ben fatto’ le vendite dei loro prodotti sul mercato americano, aiutati non solo dalle riviste specializzate, ma anche dall’affermazione di numerose dive italiane fra le star di Hollywood, testimonial d’eccezione della moda italiana: non a caso nel 1955 Mario fornì le proprie calzature a Silvana Pampanini, che le indossò nei film di quella stagione.
Le creazioni di Valentino erano allora ancora prodotte soprattutto a mano e su misura, con pellami morbidi e vellutati (camosci, vitelli o capretti), acquistati nelle concerie avellinesi, ma anche in Toscana e in Spagna. I modelli proposti spaziavano dalle scarpe da pomeriggio a quelle da sera, dalle francesine ai sandali aperti, ma trovavano il loro punto di forza nei classici décolleté con tacchi esili, ma non altissimi.
Grazie all’indiscussa preziosità delle sue collezioni, ormai divenute leggenda, nel 1959 Valentino, destinato a divenire per tutti il ‘re della pelle’, fu chiamato a collaborare con la nota I. Miller, industria calzaturiera statunitense. Il suo marchio si avvaleva di una campagna pubblicitaria disegnata da Andy Warhol, veicolata sulle pagine del New York Times, più che dalle consuete riviste di settore, che contribuì a rendere immortali i celebri sandali con perle di corallo di Valentino. Oltre che al giovane Mario, il progetto delle calzature di Miller fu affidato alla creatività più spinta e competente di André Perugia e di David Evins, i suoi due ‘precettori’. Fu l’inizio di una collaborazione che lo vide pendolare per anni tra i quartieri di Napoli e l’America e che si concluse definitivamente nel 1966. Pur non perdendo i contatti con il mercato e i produttori Oltreoceano, da allora Mario decise di lavorare esclusivamente per il proprio marchio, identificato con le diciture ‘Mario Valentino’ oppure semplicemente ‘Valentino’, che da quel momento avrebbe prodotto calzature per uomo, donna e bambino.
Gli spazi produttivi furono ampliati, istallando anche nuovi macchinari e una piccola fonderia per realizzare in proprio anche quegli articoli di metalleria che caratterizzavano molte delle sue scarpe. Il salto definitivo alla dimensione industriale si ebbe nel 1971, con l’ulteriore ampliamento degli impianti e del numero dei dipendenti. L’azienda rimase tuttavia localizzata nel quartiere Stella Sanità, sotto la collina di Capodimonte, non solo per ragioni affettive, come la vicinanza al primo laboratorio, ma anche per ragioni strategiche, come la possibilità di intercettare una manodopera specializzata nella confezione di calzature e guanti da anni attiva in quella zona.
Il rapporto fra Mario Valentino e i grandi nomi della moda internazionale e italiana si fece sempre più stretto: le sue scarpe sfilarono ai piedi delle modelle nelle collezioni di alta moda di Fendi, André Laug, Rocco Barocco, Galitzine, Sarli, Tiziani, Lancetti, Tita Rossi, Silvano Malta. Contemporaneamente, l’azienda decise di includere l’abbigliamento fra i suoi prodotti: una diversificazione che apparve naturale per un uomo che fin dai suoi primi passi aveva pensato le sue scarpe anche in funzione dell’evoluzione della moda, consapevole della necessità di un continuo rinnovamento stilistico, nei materiali, nei colori, nei particolari, elementi tutti che dovevano rendere le sue collezioni ogni anno diverse e originali. Oltre alla collaborazione della moglie, nel disegno delle nuove collezioni furono coinvolti stilisti emergenti e creatori già affermati, interessati alle particolari competenze tecniche dell’azienda napoletana, come Paco Rabanne o André Courrèges.
Sempre attento alla necessità di comunicare e di promuovere i suoi prodotti, nel 1967 – e per l’intero decennio successivo – Valentino contribuì attivamente alla realizzazione della manifestazione MareModa Capri, un evento finalizzato alla promozione delle creazioni delle griffe italiane e degli artigiani campani destinate alla vita al mare e in vacanza. Nel 1975 fu insignito del Tiberio d’oro, il premio conferito a coloro che si distinguono per iniziative, attività e ricerche sull’isola di portata innovativa.
Nella fase cruciale del suo successo Valentino adottò una strategia imprenditoriale sempre più articolata, che agiva sulle collezioni, sulla promozione e sull’ampliamento dei canali di distribuzione con l’apertura di lussuosi showroom nelle aree centrali delle città italiane e straniere. Alla pionieristica esperienza romana di via Frattina, seguirono a metà degli anni Sessanta l’apertura di una boutique a Milano e di due a Napoli. Nel 1971 fu inaugurato un grande negozio sulla 57th Street di New York e l’anno seguente ne venne aperto uno Parigi.
Gli anni Ottanta videro la fase di massima espansione dell’azienda napoletana con una rete di punti vendita e di negozi in franchising in tutto il mondo, un successo sostenuto dall’affermazione del made in Italy, ma anche e soprattutto dalla capacità che il brand napoletano e il suo fondatore dimostrarono nel saper progettare e realizzare straordinarie collezioni di scarpe, abiti e accessori. I prodotti di Mario Valentino furono presenti con campagne pubblicitarie di grande raffinatezza, suggestione e originalità firmate dai famosi fotografi, che contribuirono a fare delle sue collezioni una vera e propria forma d’arte (alcuni suoi modelli sono oggi esposti nei musei), oltre che un tassello fondamentale della storia della moda a livello globale: da Franco Rubartelli ad Alfa Castaldi negli anni Settanta, da Helmut Newton a Robert Mapplethorpe, passando per Richard Avedon negli anni Ottanta, senza dimenticare Oliviero Toscani, solo per citare i nomi più noti a un ampio pubblico.
Il 2 giugno 1985 Valentino fu insignito del titolo di cavaliere del lavoro. Al momento della nomina dichiarò che non si considerava un industriale, anche se la sua azienda impiegava oramai più di cinquecento dipendenti, e che non voleva neanche diventarlo, rivendicando invece con orgoglio il suo essere espressione di una tradizione artigianale di grande importanza. Negli stessi anni iniziò il suo sodalizio con Eugenio Buontempo, imprenditore napoletano attivo nel campo delle costruzioni civili, industriali e marittime, e divenne promotore e poi vicepresidente dei Gruppi giovanili dell’industria, sodalizio che lo portò all’acquisto della Hélène Curtis e a investimenti diversificati nel settore della chimica, del turismo, delle comunicazioni e della navigazione.
Non meno importante fu il ruolo di Valentino come collezionista e mecenate. Appassionato lettore di classici, innamorato del bello in tutte le sue manifestazioni, quando il successo della sua azienda glielo consentì si trasformò in collezionista d’arte moderna (Gino Severini, Giacomo Balla, Giorgio De Chirico, Arnaldo Pomodoro, tra i suoi artisti preferiti) e di oggetti di design, tramutando la sua casa di palazzo Cellamare, e spesso anche i suoi negozi, in esposizioni permanenti di grande impatto. Da qui quasi inevitabile l’amicizia e il sodalizio con il gallerista Lucio Amelio, che portò a Napoli artisti come Joseph Beuys, Keith Haring, Robert Mapplethorpe e Andy Warhol. Proprio a quest’ultimo lo stilista napoletano chiese un dipinto della preziosa serie Diamond dust shoes (1980), poi collocato sulla parete di fondo del suo studio, a simbolo di quello che era stato ed era ancora il core business del brand campano. A testimonianza del legame con l’artista americano resta un suo ritratto conservato alla Galerie Tornabuoni Art di Parigi.
Appassionato difensore della sua città, Valentino s’impegnò inoltre per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio culturale napoletano: nel 1986, attraverso la fondazione Napoli Novantanove, sovvenzionò il restauro degli affreschi cinquecenteschi e dell’arazzo a ricamo del convento di S. Chiara; dopo poco investì nella mostra «Le porcellane dei Borbone di Napoli: Capodimonte e Real Fabbrica Ferdinandea (1743-1806)», realizzata nel Museo archeologico nazionale a cura della Soprintendenza ai Beni artistici e storici della Campania, e infine tra il 1988 e il 1989 sostenne la realizzazione del calendario dedicato alle mostre degli autori d’avanguardia (Warhol, Beuys, Mario Merz, Carlo Alfano, Joseph Kosuth, Michelangelo Pistoletto, Sol LeWitt, Giulio Paolini) allestite nel Museo di Capodimonte.
Quanto alla ‘Mario Valentino’, le parole chiave con cui leggere la storia imprenditoriale della sua azienda furono la sperimentazione costante, la comunicazione incisiva e la conquista dell’autonomia stilistica: le prime due si realizzarono negli anni attraverso lo sviluppo di tecniche innovative nella lavorazione dei pellami, nell’intreccio di questi ultimi con tessuti e materiali diversi (si pensi all’inserimento del plexiglass nei tacchi delle scarpe o l’utilizzo del PVC nella produzione della valigeria e delle borse) e con sfilate e campagne pubblicitarie sempre più innovative. La terza implicò l’emancipazione dai grandi stilisti di grido – che avevano contribuito nei decenni precedenti all’affermazione delle sue collezioni – e la decisione di servirsi esclusivamente di uno staff tecnico e creativo cresciuto all’interno dell’azienda.
Difficile esprimersi sulla bontà dei risultati a cui avrebbe potuto portare quest’ultimo progetto: la morte di Valentino il 2 febbraio 1991, avvenuta mentre il nostro Paese registrava una brusca inversione del ciclo economico espansivo che aveva caratterizzato gli anni Ottanta, e forse anche una eccessiva diversificazione delle partecipazioni industriali, minarono in parte la tenuta della società, che solo oggi, dopo una lunga fase di declino – aggravato dalla nuova crisi degli inizi degli anni Dieci del XXI secolo – sta lentamente, ma decisamente, riprendendo a crescere.
Fonti e Bibl.: Tra i numerosi articoli che la stampa nazionale e internazionale ha dedicato a Mario Valentino si veda A. Scotti, M. V.: la pelle come la seta, in IF Confezione italiana, 17-18 gennaio 1983; P. Soli, Incontro straordinario con M. V., in Anna, 24 novembre 1984; G. Ferré, M. V. 1977, in P. Soli, Il genio antipatico. Creatività e tecnologia della moda italiana 1951-1983, Milano 1984, pp. 315-322. Per ulteriori riferimenti sulla sua vita e sulla sua avventura imprenditoriale si rimanda alle notizie, documenti e alla bibliografia citata da O. Cirillo, M. V. Una storia fra moda design, e arte, Milano 2017.
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