TOZZI, Mario
Nacque il 30 ottobre 1895 a Isola di Fano, una frazione di Fossombrone, primogenito di Tommaso, medico condotto, e di Erminia Brunetti, entrambi di origini romagnole. Già alla fine di quell’anno la famiglia si trasferì a Suna di Verbania sul lago Maggiore, dove poi nacquero gli altri quattro figli, Corrado, Ottorino, Jole e Arnaldo.
Dopo la licenza tecnica, invece di accedere al corso di chimica dell’Istituto Lorenzo Cobianchi di Intra, nel 1912 ottenne l’iscrizione all’Accademia di belle arti a Bologna. Concluse gli studi con ottimi risultati e in soli tre anni, ed espose alle rassegne primaverili della locale Società Francesco Francia. In Accademia strinse un’amicizia duratura con Anton Maria Nardi e avrebbe poi ricordato i colleghi più grandi Giorgio Morandi, Osvaldo Licini e Severo Pozzati.
Nell’autunno del 1916 venne mobilitato tra Caserta, Modena e Torino, ma fu presto ricoverato per cattive condizioni di salute. Nell’autunno il fratello Ottorino fu dichiarato disperso e durante la guerra Mario perse anche il fratello Corrado. Nella primavera del 1918, dopo una breve formazione in telefonia, fu assegnato al 3o reggimento del genio telegrafisti: in qualità di sottotenente prestò servizio sulla linea del Piave, meritando poi una menzione d’onore e una medaglia di bronzo. La smobilitazione si protrasse fino alla fine del 1919, tra licenze e trasferimenti a Novara, Terlano, Ancona e Bologna, senza impedirgli di tornare a dipingere qualche 'impressione' e alcuni soggetti religiosi. Il 24 settembre Tozzi sposò a Parigi Marie-Thérèse Lemaire, che aveva conosciuto fin dal 1907 a Suna.
Solo all’inizio del 1920 il pittore poté stabilirsi a Parigi, presso l’abitazione dei Lemaire in rue de Rennes 44, sulla piazza di Saint Germain-des-Prés. Allo studio parigino Tozzi alternò d’estate quello nell’avita tenuta dei suoceri a Lignorelles, in Borgogna. Di una probabile parentesi fallimentare come cartellonista e dei primi contatti con gli altri artisti italiani nella capitale francese, come Pozzati (che fu padrino di battesimo della figlia Francesca, nata nel 1923), Licini e Filippo De Pisis, non rimangono evidenze documentarie.
Gli esordi parigini di Tozzi necessitano ancora di una ricostruzione dettagliata. Alla fine del 1920 inviò al Salon d’automne l’opera Nu à contre-jour (n. 2133 del relativo catalogo francese, non identificata), apprezzata dal critico François Thiébault-Sisson, che divenne già allora un suo sostenitore. Al Salon des Indépendants del 1921 espose due paesaggi con figure (À l’ombre des marronniers e Au soleil, nn. 3401-3402, non identificati), e a maggio Le repos (n. 1078, da identificare con il n. 21/1 in Pasquali, 1988) venne accettato al Salon de la Société nationale des beaux arts. Nel 1922 espose agli Indépendants Baigneuses, Le père Lenoir del 1920 (n. 20/9 in Pasquali, 1988) e Méditation (nn. 3520-3522), mentre al Salon nazionale, ai nn. 915-916 del catalogo, comparvero Sur le bord du lac (n. 21/3 in Pasquali, 1988) e il nudo Après la toilette, apprezzato da Sisson per la «solidità di costruzione, l’esattezza e il rigore del modellato» (Thiébault-Sisson, 1922, p. 4) e la composizione calibrata interamente sui grigi (l’opera può forse identificarsi con il n. 22/2 in Pasquali, 1988). Durante l’estate Tozzi tornò sul tema del nudo femminile realizzando il primo capolavoro, La toeletta del mattino (l’opera è oggi nota con il titolo Dopo il bagno: cfr. n. 22/1 in Pasquali, 1988). Unica opera inviata al Salon d’automne di quell’anno, il dipinto venne descritto da Thiébault-Sisson e attirò l’attenzione di Jeanne Doin su La Gazette des beaux arts in quanto originale rilettura di Ingres.
Questa prima affermazione di Tozzi seguiva la transizione da un postimpressionismo secessionista legato a esempi italiani e mitteleuropei (nel 1920 erano ancora palesi i riferimenti a Gaetano Previati nella Deposizione e a Ferdinand Hodler nel Bûcheron) a un classicismo aggiornato sui maggiori pittori francesi del momento: da André Derain, decisivo per i paesaggi e per l’impianto cézanniano delle nature morte, ad André Lhote per la sintesi postcubista nelle anatomie. Tozzi descrisse il nuovo modo di lavorare ad Antonio Massara, direttore del Museo del paesaggio di Pallanza: «Sono molto lungo, ora, a lavorare e a certi quadri consacro centinaia di sedute […]. Ora però ho preso la buona abitudine di fare parecchi disegni del motivo prima di attaccare la tela e mi sono accorto che tentenno meno […]. Dunque studio, finisco, ricerco la forma, ma non copio superficialmente quello che vedo» (lettera del 19 giugno 1921, in Pasquali, 1988, pp. 78 s.). Nel museo piemontese, alla fine dell’estate del 1923, Tozzi raccolse trentasette opere, molte delle quali già esposte a Parigi, per la sua prima mostra personale.
Anche tramite il catalogo della mostra e le riproduzioni dei suoi quadri più importanti, che gli permisero di conoscere Ugo Ojetti, i contatti con l’Italia si rafforzarono, e in un articolo su L’Italie nouvelle del febbraio 1924 Tozzi avanzò la proposta di un’esposizione d’arte italiana in Francia. I due capolavori del 1922 (Dopo il bagno e Toeletta del mattino) furono accettati alla XIV Biennale di Venezia, e a fine anno Tozzi fu coinvolto nella collettiva ideata da Ojetti presso la galleria Pesaro, grazie alla mediazione dell'amico pittore Gian Emilio Malerba. In entrambe le rassegne il pittore si pose così al centro delle giovani tendenze 'neoclassiche' della pittura italiana: Massimo Campigli, segnalando sulla stampa l’apertura al pubblico del suo studio di rue Balagny alla fine del 1925, lo avvicinò in questo senso a Felice Casorati, Ubaldo Oppi e Achille Funi.
Il definitivo inserimento nel sistema artistico nazionale avvenne però solo nel 1926, quando Tozzi si trasferì temporaneamente a Milano per partecipare alla I Mostra del Novecento italiano e alla Biennale veneziana, incontrando Margherita Sarfatti e Raffaello Giolli. Dal 1927 il pittore si unì alle formazioni novecentiste che di volta in volta esposero in Italia (alla galleria Scopinich di Milano, in febbraio) e in Europa (a Zurigo in primavera e ad Amsterdam in autunno, quando egli organizzò da Parigi gli invii di Giorgio De Chirico, De Pisis e Licini). L’attività espositiva e organizzativa di Tozzi rimase fitta su entrambi i fronti italiano e francese: dagli invii alla Mostra nazionale di Brera o alle mostre del sindacato lombardo, alla partecipazione al nuovo Salon de l’escalier, presso il teatro della Comédie des Champs Élysées, che recensì su Le arti plastiche, di cui era corrispondente; fino alle due personali allestite nel luglio del 1927 e nel gennaio del 1928 presso la Galerie Druet.
Nel febbraio del 1928 s’inaugurò all’Escalier la prima mostra degli italiens de Paris, radunati intorno alla rivendicazione di un carattere italiano distinto dall’école de Paris, che De Chirico aveva negato in un’intervista polemica comparsa su Comoedia alla fine dell'anno precedente. Oltre a quest’ultimo e al fratello Savinio, esclusi in questa prima occasione, il gruppo era composto da Tozzi, Gino Severini, Campigli, René Paresce e De Pisis, insieme al critico fautore del classicismo mediterraneo Waldemar George. Tozzi animò le iniziative dei sette fino al 1937, organizzando le importanti mostre alla Galerie Zak (aprile 1929) e alla galleria Milano nel gennaio del 1930. Il ruolo di promotore degli artisti residenti a Parigi gli venne riconosciuto anche con la curatela, insieme a Paresce, della discussa sala della Scuola di Parigi alla XVI Biennale di Venezia (1928), con opere di Marc Chagall, Max Ernst, Léonard Foujita, Moïse Kisling, Louis Marcoussis e altri.
Nell’affollatissima agenda espositiva di questi anni, sia sul fronte del Novecento italiano sia su quello parigino, spicca la prestigiosa personale tenuta da Tozzi nell’aprile del 1929 presso la Galerie Georges Bernheim, visitata e apprezzata anche da Pablo Picasso e replicata l’anno successivo. Alla mostra internazionale «Der schöne Mensch» di Darmstadt il suo capolavoro di due anni prima, Donna col mandolino (Femme pensive), fu acquistato dalla Kunsthalle di Mannheim. Nello stesso anno Tozzi introdusse in qualità di organizzatore anche la prima grande mostra del Novecento italiano a Parigi, comprendente ben trentacinque artisti, nei locali delle Edizioni Bonaparte.
Nel corso del 1930 Tozzi si distanziò dall’etichetta novecentista per affermarsi in piena autonomia e originalità, forte anche dell’ormai autorevole sostegno della critica: nel 1928 era uscita la prima piccola monografia su di lui a firma di Lionello Fiumi (per il quale il pittore illustrò nel 1931 il volume di liriche Survivances), e critici importanti come Waldemar George e Paul Fierens commentavano gli ultimi sviluppi dello stile di Tozzi. L’astrazione plastica, maturata in opere come L’atelier, inviato alla II Mostra del Novecento, si contaminava, sullo scorcio del decennio, con accostamenti di oggetti dal significato ermetico e con un recupero delle iconografie della metafisica dechirichiana (come in Solitude del 1931). Le estrose impaginazioni, per esempio del capolavoro del 1929 Mirage, pur alludendo a un dialogo con il surrealismo e con l’astrattismo, non si allontanavano dalle soluzioni di Severini e Campigli, e anche i soggetti più astrusamente intellettualistici rimanevano nell’ambito della figurazione.
Il sodalizio con George si espresse nella proposta della sala intitolata agli Appels d’Italie alla XVII Biennale di Venezia (1930), che suscitò ancora una volta polemiche sull’identità nazionale delle opere esposte. Tozzi faceva ormai parte del canone dell’arte moderna italiana, come dimostrarono anche la sua partecipazione a tutte le edizioni della Quadriennale romana e i suoi invii al premio Carnegie di Pittsburgh nel corso degli anni Trenta.
Nel 1931 una sua importante personale presso Jacques Bonjean coinvolse lo scrittore catalano Eugenio d’Ors, che nell’estate incontrò personalmente il pittore e in autunno avviò la stesura della più importante monografia dedicata a Tozzi, pubblicata per le edizioni delle Chroniques du Jour nel 1932 dopo i volumi su Picasso e Paul Cézanne. D’Ors vi allargava il confronto con l’opera di Carlo Carrà e De Chirico per costruire la traiettoria di un classicismo mediterraneo, alimentato da paralleli letterari e filosofici, la cui acme era rappresentata dal bello ideale delle opere di Tozzi.
Oltre ai numerosi impegni espositivi, dalle personali di successo nelle gallerie private parigine fino al ruolo di organizzatore per collettive istituzionali come «22 Artistes italiens modernes» da Bernheim nel 1932, Tozzi avviò in quell’anno la corrispondenza da Parigi per il prestigioso giornale genovese Il Secolo XIX.
A causa di un peggioramento delle condizioni di salute e di un’operazione delicata nella primavera del 1933, egli dovette rifiutare l’invito a realizzare un affresco alla V Triennale di Milano. L’intensa attività non subì comunque un arresto, e Tozzi seguì da vicino l’organizzazione dell’esposizione italiana presso la galleria Charpentier a settembre, confrontandosi attivamente con le prime iniziative del Sindacato degli artisti Italiani residenti a Parigi. Nel 1934 aprì la sua prima personale italiana, composta da sessantaquattro opere risalenti fino al 1921, che dalla galleria romana di Dario Sabatello si trasferì alla fiorentina Bellini, riscuotendo grande attenzione e successo di critica. In quei mesi Tozzi fu ricoverato per una grave emorragia allo stomaco, ma in autunno riprese a inviare opere a Parigi e negli Stati Uniti, e l’anno successivo all’importante II Quadriennale di Roma, dove la sala degli italiens de Paris guadagnò il gran premio per la pittura a Severini e il premio di 5000 lire a Tozzi.
Sempre nel 1935 si tenne al Museo del Jeu de Paume la grande mostra «Art italien des XIXe et XXe siècles»: il pittore, che era stato l’animatore di questo progetto almeno fin dal 1928 come dimostra il carteggio con Alberto Salietti (Pasquali, 1988, I, pp. 142 s.), fu il rappresentante del comitato organizzatore a Parigi e assicurò le presenze di Amedeo Modigliani e De Chirico, meritandosi l’assegnazione della Legion d’honneur.
Dalla fine del 1935 fino al 1944 Tozzi si trasferì a Roma, per seguire alcuni lavori di decorazione murale. I più importanti furono l’esecuzione dell’affresco del Paradiso perduto sulle pareti del palazzo di Giustizia a Milano, dal 1938, e la collaborazione dal 1939 con l’Esposizione universale romana E42, per la quale gli venne commissionato un pavimento decorato con un’allegoria della Scienza: la messa in opera dei bozzetti presentati da Tozzi si protrasse fino al 1943, e parte delle tarsie fu danneggiata nel 1945. Alla Biennale veneziana del 1942 l’artista decorò con l’affresco Il marinaio la rotonda d’ingresso del padiglione centrale. La sperimentazione tecnica di questi anni, per esempio con l’adozione di un’originale tempera all’uovo, lasciò traccia in un privato Quaderno di ricette compilato tra il 1937 e 1942.
Gli ultimi anni della guerra, sebbene non mancarono i riconoscimenti istituzionali come il premio di 10.000 lire assegnato a Tozzi dalla Reale Accademia d’Italia o la commissione di una grande Natività per il Comitato degli studi cristiani di Assisi, furono funestati da problemi di salute legati ai calcoli renali, e una grave crisi nella primavera del 1944 spinse il pittore a trasferirsi a Suna. Tra alcune personali a Milano e qualche partecipazione a collettive parigine e italiane, negli anni 1945-47 Tozzi entrò in contatto con il vercellese Silvino Borla, che divenne suo intimo amico e collezionista in un momento molto difficile del mercato dell'arte.
Confinato a Suna per le condizioni di salute, Tozzi ridusse sensibilmente gli invii e il lavoro in atelier dal 1949 al 1957. Intanto, nel 1951, uscì nella serie già classica dell’Arte moderna italiana diretta da Giovanni Scheiwiller per Hoepli la monografia su di lui a firma di Joseph-Marie Lo Duca, la cui pubblicazione era stata interrotta nel 1944. Le poche commissioni pubbliche di questi anni comprendono i due dipinti per il transatlantico Andrea Doria, naufragato nel 1952, e il progetto del Monumento ai caduti delle due guerre per la città di Suna.
Nel 1957 si avviarono i rapporti con Bruno Grossetti, che nel ventennio successivo, presso la sua galleria Annunciata di Milano, rilanciò la figura di Tozzi, finalmente uscito dal periodo critico della malattia, e il mercato delle sue opere. Una rinnovata produttività permise al pittore di moltiplicare le mostre personali in numerose gallerie private (Zanini a Roma, Verrocchio a Pescata, Bussola a Torino). Quasi ogni anno espose all’Annunciata, talvolta insieme agli altri 'sette di Parigi', e nel 1966 vi furono celebrati i suoi cinquant’anni di attività. Si rinnovarono così il dibattito critico intorno alla sua opera, ricco di nuove voci quali Marco Valsecchi, Luigi Carluccio, Carlo Ludovico Ragghianti ed Enzo Carli, e gli inviti fuori concorso alle rassegne nazionali per tutti gli anni Sessanta, dalla Quadriennale romana alla Biennale di Milano, al premio Campione d’Italia. Tozzi poté inoltre assistere alla storicizzazione della sua produzione d’anteguerra: nel 1967 alle sue opere fu riservato grande spazio alla mostra fiorentina di Ragghianti sull’«Arte moderna in Italia 1915-1935», e l’anno dopo egli scriveva direttamente a Massimo Carrà per dissentire dal posizionamento riservatogli all’interno della collana L’Arte moderna della casa editrice Fabbri.
L’ultima produzione tendeva a uno schematismo bidimensionale dedotto dalla pittura del Trecento e da Modigliani, ed era caratterizzata da stesure molto materiche e dal largo uso della spatola. La lavorazione in serie, come nel ciclo delle Fanciulle al mare del 1967, accelerò vistosamente i ritmi di lavoro: al solo anno 1970 il catalogo generale di Tozzi registra ben 143 opere.
Tornato a Parigi nel 1971 presso la figlia Francesca e i nipoti, il pittore soggiornò per lunghi periodi a Saint-Jean-du-Gard in Occitania. Nominato accademico di S. Luca nel 1973, celebrato da ben tre antologiche a Fossombrone, Firenze e Gallarate nel 1978, affascinò negli ultimi anni anche numerosi intellettuali, da Piero Chiara ad André Verdet e soprattutto a Pierre Restany: secondo l’autorevole critico del nouveau realisme l’ultima produzione del pittore poteva enuclearsi nel soggetto femminile, assunto a idolo e stimolo d’indagine intellettuale e formale. Il suo saggio La femme est l’oeuvre fu pubblicato soltanto nel 1981, dopo la morte del pittore avvenuta a Saint-Jean-du-Gard l’8 settembre 1979.
F. Thiébault-Sisson, Le Salon d’automne. La peinture II, in Le Temps, 5 novembre 1920; J. Doin, Le Salon d’automne, in Gazette des beaux-arts, s. 5, VI (1922), pp. 321-338; F. Thiébault-Sisson, Le Salon de la Société nationale, in Le Temps, 21 aprile 1922; M. T. Esposizione individuale di pittura (catal.), Pallanza 1923; Esposizione di venti artisti italiani (catal.), Milano 1924; L. Fiumi, Pittori italiani a Parigi, in L’Ambrosiano, 6 luglio 1927; M. Campigli, La mostra del pittore T., in La Nuova Italia, III (1928), 223, p. 3; L. Fiumi, M. T. L’homme et l’oeuvre, Parigi 1928; M. Tozzi, Per un’arte italiana, in La Fiera letteraria, V (1929), 5, p. 3; E. D’Ors, Peinture italienne d’aujourd’hui. M. T., Parigi 1930; W. George, Vers un nouveau classicisme. M. T., in La Revue mondiale, XXXI (1930), 195, pp. 197-199; M. Tozzi, Il Museo del Jeu de Paume, in Il Secolo XIX, gennaio 1933; Id., Giotto 1937. Il più vivo di tutti i pittori, in Il Quadrivio, V (1937), 15, p. 1; M. T., a cura di J. Lo Duca, Milano 1951; Mario Tozzi, a cura di M. Valsecchi, Venezia 1965; L. Carluccio, in Mario Tozzi. 50 anni di pittura (catal.), Milano 1966; M. Carrà, Classicità e idealismo, Milano 1967, passim; A. Verdet, M. T., Parigi 1975; E. Carli, M. T., Torino 1976; P. Restany, M. T. La femme est l’oeuvre, Parigi 1981; Catalogo ragionato generale dei dipinti di M. T., a cura di M. Pasquali, I-II, Milano 1988; M. Fagiolo dell’Arco - F. R. Morelli, M. T. “italien de Paris”, Roma 1990; M. T., 1895-1979, a cura di M. Pasquali, Milano 1995; Les Italiens de Paris: De Chirico e gli altri a Parigi nel 1930, a cura di M. Fagiolo dell’Arco, Milano 1998.