TCHOU, Mario
– Nacque a Roma il 26 giugno 1924 da Yin, diplomatico dell’ambasciata cinese in Italia, e da Evelyn Wang.
Ottenuta la maturità classica nel 1942, frequentò la facoltà di ingegneria dell’Università di Roma. Nel 1945 si trasferì negli Stati Uniti, dove due anni dopo conseguì un bachelor of electrical engineering alla Catholic University di Washington e nel 1949 ottenne un master in fisica al Polytechnic Institute di Brooklin. Nello stesso anno sposò Mariangela Siracusa, che studiava alla Columbia University. Fu in quell’ateneo che – giovanissimo – divenne assistant professor di ingegneria elettronica nel 1952, assumendo poco dopo anche la direzione di un laboratorio del settore.
Nel giugno del 1954 vi fu l’incontro che avrebbe cambiato la sua vita: quello con Adriano Olivetti. Con grande lungimiranza Olivetti si era persuaso che l’elettronica fosse un settore di sviluppo cruciale e nel 1952 aveva aperto a New York la Olivetti corporation of America con un laboratorio a New Canaan nel Connecticut – dove viveva suo fratello Dino –, senza però ottenere i risultati sperati. Convintosi della necessità di aprire un laboratorio in Italia, nel corso di una visita negli Stati Uniti volle conoscere Tchou, che gli era stato segnalato da un collaboratore come un eccellente esperto di calcolatori elettronici. Per entrambi l’incontro fu a tal punto positivo, che prima della fine dell’anno il giovane ingegnere fece ritorno in Italia.
L’idea era di creare un laboratorio di elettronica a Ivrea, sede dell’azienda, ma frattanto le province e i comuni di Pisa, Livorno e Lucca avevano stanziato 150 milioni di lire perché l’ateneo pisano potesse costruire un sincrotrone. La loro iniziativa non ebbe successo perché il progetto fu assegnato alla provincia di Roma e venne poi realizzato a Frascati. Su suggerimento di Enrico Fermi, l’Università di Pisa decise allora di destinare quei fondi alla costruzione di un calcolatore a fini scientifici, proponendo alla Olivetti di partecipare al progetto. Questa aderì e fu così che nel maggio del 1955 Tchou assunse la direzione del Centro studi della calcolatrice elettronica pisana. Separatosi dalla moglie, nello stesso anno sposò la pittrice Elisa Montessori, dalla quale avrebbe avuto due figlie, Nicoletta e Donata.
Appena pochi mesi dopo la Olivetti – pur non venendo meno ai propri impegni con l’ateneo pisano – rilanciò il progetto volto a creare un proprio laboratorio che realizzasse un calcolatore da immettere sul mercato. Sviluppare gli aspetti scientifici dell’elettronica, disse Olivetti alla fine dell’anno, era essenziale «poiché questa rapidamente condiziona nel bene e nel male l’ansia di progresso della civiltà di oggi» (Parolini, 2015, pp. 593 s.). Su queste basi nel 1956 fu aperta a Barbaricina, nei pressi di Pisa, la nuova sede del laboratorio di ricerche elettroniche dell’azienda, dove presero servizio circa quindici persone. Era stato Tchou a selezionarle nei mesi precedenti, scegliendole non solo e non tanto per le loro conoscenze nel settore, quanto perché giovani, brillanti e promettenti.
Nel suo lavoro Tchou dette prova, oltre che delle sue eccezionali competenze, anche di notevoli capacità manageriali e organizzative, mostrandosi in grado di costruire e intrattenere una rete di ottimi rapporti personali. Sin dall’inizio, fra le altre cose, mostrò che i dispositivi elettronici sviluppati nel suo laboratorio potevano avere importanti ricadute sui prodotti meccanici della Olivetti, realizzandone alcuni che vi furono applicati senza per questo riuscire a superare le diffidenze molto diffuse nell’azienda. Ma l’obiettivo primario del laboratorio era quello di costruire un computer. Anche se prudentemente Tchou preavvisò che sarebbero occorsi tre anni, è significativo che già nel 1957 il suo gruppo realizzasse un primo prototipo quasi per intero a valvole termoioniche: la Macchina Zero, poi denominata Elea 9001. Subito dopo iniziò la progettazione di un secondo computer anch’esso a valvole, l’Elea 9002, e per potenziare le scarse capacità di programmazione della macchina si puntò a sviluppare un apposito software.
Fu allora che Tchou fece la scelta strategica decisiva, optando per sostituire le valvole con i transistor, che emanavano minor calore ed erano più veloci, meno ingombranti e più duraturi. Il mercato italiano era però carente di transistor e diodi, cosicché convinse Roberto Olivetti, figlio di Adriano, a dar vita a un’apposita azienda per produrli. Assieme alla Società Telettra venne così costituita, sempre nel 1957, la Società generale semiconduttori, in cui nel 1960 sarebbe entrata anche l’americana Fairchild.
Contemporaneamente Tchou e Roberto Olivetti – che tentarono senza successo di concordare con altre aziende europee standard comuni per affrontare meglio la sfida dell’industria americana – proposero di trasferire il laboratorio in una località più adatta a una produzione non artigianale ma industriale, con un numero crescente di addetti. Così nel 1958 venne aperta una nuova sede a Borgolombardo, nei pressi di Milano, dove entro l’anno fu completata la prima versione dell’Elea 9003.
Il fatto che quella macchina fosse interamente transistorizzata ha indotto alcuni autori a considerarla come la prima al mondo costruita per intero con componenti allo stato solido (transistor, appunto, e diodi), ma in realtà non era così. Il fatto che negli stessi anni ne venissero realizzate altre negli Stati Uniti, tuttavia, non toglie niente al suo carattere innovativo. A tutti gli effetti l’Elea 9003 era un congegno all’avanguardia su scala mondiale e ciò è tanto più significativo in quanto in Italia non esistevano condizioni favorevoli lontanamente paragonabili a quelle che c’erano negli Stati Uniti.
Il mercato, in primo luogo, non era abbastanza ampio. Erano inoltre scarsi gli scambi e le integrazioni fra la ricerca scientifica universitaria e le aziende del settore. Le disponibilità finanziarie risultavano per giunta molto limitate, a fronte dell’esigenza di consistenti investimenti a lungo termine. Questo aspetto era infine aggravato dall’assenza di finanziamenti statali. Non a caso fu lo stesso Tchou a sottolinearlo in un’intervista, affermando di essere sì allo stesso livello della concorrenza sul piano qualitativo, ma aggiungendo: «Gli altri però ricevono aiuti enormi dallo Stato. Gli Stati Uniti stanziano somme ingenti per le ricerche elettroniche, specialmente a scopi militari. Anche la Gran Bretagna spende milioni di sterline. Lo sforzo della Olivetti è relativamente notevole, ma gli altri hanno un futuro più sicuro del nostro, essendo aiutati dallo Stato» (Coen, 1959).
L’Elea 9003 ebbe un notevole successo. Vi contribuirono anche il suo design, affidato da Adriano Olivetti a Ettore Sottsass, e più in generale lo ‘stile’ dell’azienda di Ivrea, capace di valorizzare l’innovazione con un’efficacissima attività promozionale-pubblicitaria. Presentata nel 1959 al presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, nello stesso anno l’Elea 9003 vinse il prestigioso premio Compasso d’oro. Il primo esemplare fu venduto alla Marzotto sempre nel 1959: troppo presto, a parere di Tchou, dato che la macchina non era ancora del tutto a punto, come confermò l’insorgere di vari problemi. Ma resta il fatto che dal 1960 al 1964 ne furono immesse sul mercato più di trenta, che informatizzarono importanti banche e industrie italiane, dal Monte dei Paschi di Siena alla Fiat, dall’ENI alla Lancia.
Nel 1960 con il suo team mise in cantiere un elaboratore di dimensioni, prestazioni e costi più contenuti, rivolto a un’utenza più vasta di enti di ricerca e medie aziende: l’Elea 6001, pronto nel 1961, che ebbe anch’esso successo vendendo un centinaio di esemplari, pur permanendo alcuni problemi relativi al software (il laboratorio mise a punto un linguaggio denominato Palgo, mentre gli utenti del 6001 richiedevano il Fortran).
Tutto sembrava insomma suscettibile di evolversi positivamente (nel 1959, sia pure al prezzo di un consistente indebitamento, era stata anche acquistata una concorrente americana nel campo delle macchine da scrivere, la Underwood) e le prospettive apparivano tanto incoraggianti da indurre la Olivetti ad affidare il progetto di una nuova sede a un grande architetto come Le Corbusier. Fu a questo punto che il 27 febbraio 1960 scomparve Adriano Olivetti e il 9 novembre 1961, a soli 37 anni, morì anche Tchou, a causa di un incidente automobilistico. Sulla sua tragica fine circolarono congetture secondo le quali egli sarebbe stato ucciso dai servizi segreti americani, peraltro del tutto prive di riscontri.
Quei due decessi appaiono piuttosto come una sorta di destino avverso, che mise bruscamente fine – con la sola eccezione della Programma 101 di Pier Giorgio Perotto, il primo desktop computer del mondo realizzato nel 1964 – all’innovativa esperienza dell’azienda nel campo degli elaboratori elettronici: il suo maggior sostenitore, Roberto Olivetti, non riuscì infatti ad assumerne la presidenza. Giuseppe Pero, che ottenne quella carica, garantì sì il suo appoggio al laboratorio e nel 1962 costituì una Divisione elettronica, ma anch’egli scomparve nel 1963. Nello stesso anno le azioni della Olivetti crollarono in borsa e le sue difficoltà finanziarie portarono all’ingresso di un gruppo d’intervento costituito da Fiat, Mediobanca, Pirelli e da altre società, che assunsero il controllo dell’azienda. Nel 1964 il nuovo management cedette il 75% della Divisione elettronica alla General electric, con la quale fu costituita la Olivetti General electric (OGE), da cui infine l’azienda di Ivrea uscì nel 1968. Allora, peraltro, la storia che aveva avuto in Adriano Olivetti e in Tchou i suoi protagonisti era finita da tempo.
Fonti e Bibl.: A. Coen, Come è nata anche in Italia una grande calcolatrice elettronica, in Paese sera, 18 novembre 1959; L. Soria, Informatica: un’occasione perduta. La Divisione dell’Olivetti nei primi anni del centro-sinistra, Torino 1979, cap. 2; L. Gallino, La scomparsa dell’Italia industriale, Torino 2003, capp. 1-3; G. Rao, La sfida al futuro di Adriano e Roberto Olivetti. Il laboratorio di ricerche elettroniche, M. T. e l’Elea 9003, in Mélanges de l’École française de Rome, CXV (2003), 2, pp. 643-678; Id., M. T. e l’Olivetti Elea 9003, in PRISTEM/Storia, 2006, n. 12-13, monografico: 50 anni di informatica in Italia, pp. 141-178; G. Parolini, Olivetti Elea 9003: between scientific research and computer business, in History of computing and education 3, a cura di J. Impagliazzo, New York 2008, pp. 37-53; J. De Tullio, Un ritratto di M. T., 2011, http://matematica.unibocconi.it/files/Un_ritratto_di_Mario_Tchou.pdf (3 maggio 2019); C. Bonfanti, Information technology in Italy: the origins and the early years (1954-1965), in Reflections on the history of computing: preserving memories and sharing stories, a cura di A. Tatnall, Heidelberg-New York 2012, pp. 320-347; J. De Tullio, M. T. e l’elettronica italiana, in MATEpristem Bocconi, 2013, http://matematica.unibocconi.it/articoli/mario-tchou-e-lelettronica-italiana (3 maggio 2019); G. Parolini, M. T. Ricerca e sviluppo per l’elettronica Olivetti, Milano 2015.