TALAMANCA, Mario
TALAMANCA, Mario. – Nacque a Roma il 24 febbraio 1928, figlio unico di Ernesto, funzionario del ministero dei Lavori pubblici e poi notaio, di origini palermitane, e di Giuseppina (Irma) Bellè, veneziana.
Frequentò il ginnasio presso l’istituto Massimo di Roma diretto dai gesuiti e rivelò presto una spiccata inclinazione per gli studi umanistici, che compì nella ricca biblioteca avita. Il padre avrebbe voluto avviarlo alla carriera di direttore d’orchestra, ma il giovane preferì seguire altre strade e s’iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma. Si laureò il 16 luglio 1951 con Vincenzo Arangio-Ruiz (ed Emilio Betti correlatore), discutendo una tesi destinata a divenire, con il titolo L’arra della compravendita in diritto greco e in diritto romano, la sua prima monografia (Milano 1953).
Collaborò assiduamente, sotto la guida di Arangio-Ruiz, Betti ed Edoardo Volterra, alla realizzazione di iniziative promosse dall’Istituto di diritto romano in un momento di rinnovato fervore degli studi romanistici, dopo la crisi legata alle vicende belliche. In tale stimolante ambiente, Talamanca sviluppò in molteplici direzioni la sua possente attitudine alla ricerca scientifica, intrecciando proficui rapporti con studiosi di tutto il mondo e componendo in breve tempo la seconda monografia, Contributi allo studio delle vendite all’asta nel mondo classico (Roma 1954). Seguì, due anni dopo, la terza, una imponente ricerca di impronta dogmatica dal titolo Studi sulla legittimazione passiva alla ‘hereditatis petitio’ (Milano 1956).
Dopo aver svolto per un certo periodo la pratica notarile, vinse il concorso in magistratura, esercitando l’ufficio dall’autunno del 1955 alla fine del 1958 nelle sedi di Sulmona e Milano. Nel medesimo lasso di tempo conseguì la libera docenza in diritto romano (1956), vinse il concorso a cattedra bandito dall’Università di Ferrara (1958), cui seguì, nello stesso anno, la chiamata presso la facoltà giuridica di Cagliari e la pubblicazione della quarta monografia, Ricerche in tema di ‘compromissum’ (Milano 1958).
L’11 luglio 1959 si unì in matrimonio con Giuliana Foti, dalla quale ebbe due figli, Marco e Valerio; testimoni di nozze furono Volterra e Giuseppe Branca.
Nel 1965 fu chiamato all’Università di Siena a ricoprire la cattedra di istituzioni di diritto romano, infine all’Università di Roma (1973), dove insegnò storia del diritto romano e dal 1985 istituzioni di diritto romano, fino al collocamento fuori ruolo nell’anno accademico 2000-01.
Profuse il suo impegno didattico anche in altre discipline, tra le quali diritti greci, esegesi delle fonti del diritto romano, fondamenti dei diritti europei, papirologia giuridica, anche in corsi di alta specializzazione tenuti sia presso La Sapienza – nella Scuola di perfezionamento in diritto romano e diritti dell’Oriente mediterraneo, nel Corso di perfezionamento in diritto romano (di cui fu direttore dal 1997 al 2003), nella Scuola di specializzazione per le professioni legali e in quella di diritto comparato su basi romanistiche – sia presso enti di formazione giuridica come la Luiss - Guido Carli, la Scuola del notariato Anselmo Anselmi, il Centro di studi romanistici Arangio-Ruiz dell’Università di Napoli. Dal 1984, dopo la morte di Volterra, assunse la direzione della celebre rivista Bullettino dell’Istituto di diritto romano, alla quale collaborava sin dagli inizi del 1971, dando un impulso straordinario al genere delle recensioni (nella rubrica Pubblicazioni pervenute alla Direzione), della cui stesura si occupò personalmente, in via esclusiva, per un decennio (1987-97).
La dedizione assoluta alla ricerca, l’estrema varietà d’interessi e la consumata esperienza in ogni campo del sapere giuridico antico e moderno, una curiosità innata per ogni ramo del diritto e una memoria e sensibilità filologica di eccezione caratterizzano la fisionomia intellettuale di uno studioso che, dalla seconda metà del secolo scorso, ha segnato indelebilmente la scienza giuridica (non solo quella romanistica), imperniandone il metodo sulla piena aderenza al dato testuale e sul costante rigore logico-argomentativo. Appare impossibile, in questa sede, la menzione completa di una produzione scientifica multiforme e vastissima: per l’elenco esaustivo delle opere si rinvia alle indicazioni fornite dagli autori citati al termine di questa voce.
Un terreno di ricerca caro a Talamanca sin dagli esordi fu quello delle obbligazioni – al quale dedicò un’ampia e raffinata disamina nella voce Obbligazioni (diritto romano) nell’Enciclopedia del diritto del 1979 – con particolare riguardo all’ambito contrattuale: alla societas riservò una voce densa e articolata nell’Enciclopedia del diritto del 1990, mentre si occupò a più riprese dei profili relativi alla ricostruzione teorico-sistematica della compravendita nel mondo romano in una serie cospicua di saggi, tra cui la voce Vendita (diritto romano) nell’Enciclopedia del diritto del 1993, assimilabile, per rigore e compattezza, a una monografia. Più tardi apparvero studi incentrati su determinati profili attinenti alla vendita, dai problemi di responsabilità e del rischio alla prassi dei mercati e agli effetti della risoluzione contrattuale negli orientamenti dei giuristi.
Ciò preludeva alla maturazione del progetto di indagine complessiva sulle linee del pensiero giurisprudenziale in tema di contratti, che si realizzò con la pubblicazione di poderosi contributi, tra cui La tipicità dei contratti romani fra ‘conventio’ e ‘stipulatio’ fino a Labeone (in ‘Contractus’ e ‘pactum’. Tipicità e libertà negoziale nell’esperienza tardo-repubblicana, a cura di F. Milazzo, Napoli-Roma 1990, pp. 35-108) e Freedom of contract in roman law (in Freedom of contract and constitutional law, a cura di A.M. Rabello - P. Sarcevic, Jerusalem 1998, pp. 285-306). Più recente è il saggio Inesistenza, nullità ed inefficacia dei negozi giuridici nell’esperienza romana (in Bullettino dell’Istituto di diritto romano, CI-CII (1998-1999), pubblicato nel 2005), pp. 1-39), in cui svolse un confronto magistrale tra il pensiero dei prudentes e le categorie concettuali di età moderna.
Talamanca si misurò anche con la complessa materia del diritto ereditario romano, nel cui ambito si occupò specialmente della revoca testamentaria, del concorso fra legato e manomissione, della liberatio legata e della interpretazione delle disposizioni mortis causa, fino al saggio su I clienti di Q. Cervidio Scevola (in Bullettino dell’Istituto di diritto romano, CIII-CIV (2000-2001), pubblicato nel 2009), pp. 483-701), in cui prese in esame, con la consueta acribia, delicati profili concernenti la materia successoria, parallelamente a una minuziosa indagine sulle origini geografiche, sociali e civiche dei clientes. Sul versante del diritto processuale, dopo alcuni contributi specifici, compose uno studio assai dettagliato per l’Enciclopedia del diritto del 1987, sotto la voce Processo civile (diritto romano), cui seguì una relazione di ampio respiro (tenuta al Convegno di Copanello del 1996), Il riordinamento augusteo del processo privato (in Gli ordinamenti giudiziari di Roma imperiale, a cura di F. Milazzo, Napoli 1999, pp. 63-260). In essa si schierò a favore delle opinioni di Moritz Wlassak, sottolineando come l’analisi delle procedure giudiziarie di Roma antica consentisse di mettere a fuoco il carattere fondativo e creativo del processo rispetto alla più ampia fenomenologia giuridica.
Dei giuristi romani si occupò in più occasioni, tendendo non solo a indagarne orientamenti e opere, bensì a ricostruire singole figure e metodi di lavoro, spesso confrontandosi in modo energico e incisivo con altri studiosi, come nel lungo saggio Per la storia della giurisprudenza romana (in Bullettino dell’Istituto di diritto romano, LXXX (1977), pp. 195-344). Un’esemplare lezione di metodo, in ordine ai rapporti tra il pensiero giurisprudenziale e la dimensione speculativa della filosofia antica, è presente nel contributo Lo schema ‘genus-species’ nelle sistematiche dei giuristi romani (in La filosofia greca e il diritto romano, II, Roma 1977, pp. 3-319) in cui espose – in contrasto deciso con altri indirizzi di pensiero – non solo l’impiego della divisio tra genus e species in Aristotele e nei Topica di Cicerone fino a Boezio, ma anche, minutamente, il modo in cui i giuristi romani se ne erano serviti. Seguirono densi contributi dedicati a singoli passi di giuristi, in cui si soffermò sui nessi con le strutture economico-sociali dell’epoca, sui rapporti fra oratoria e diritto, sulle forme dei responsa, talvolta proponendo sottili interventi critici sul testo, come accadde (sulle orme di Vittorio Scialoja) in Pomp. ‘sing. Ench.’ D. 1.2.2.13: ‘in melius’ od ‘in medium’ produci?, apparso nel 2006 nel Liber amicorum offerto a Juan Miquel.
L’effettiva rilevanza giuridica di alcuni parametri ‘valoriali’, non di rado presenti nella riflessione giurisprudenziale, fu oggetto di acuta disamina in alcuni saggi apparsi tra la fine del secolo scorso e l’inizio dell’attuale: si segnalano L’‘aequitas’ naturalis e Celso in Ulp. 26 ‘ad ed.’ D. 12.4.3.7 (in Bullettino dell’Istituto di diritto romano, XCVI-XCVII (1993-1994), pubblicato nel 1997), pp. 652-687), e ‘Vinculum aequitatis’ e ‘conventionis aequitas’ in Pap. 28 quaest. D. 46.3.95.4, composto per gli Scritti Franciosi (IV, Napoli 2007, pp. 2563-2602). Alla visione dell’aequitas come parametro non trascendente, bensì immanente all’esperienza giuridica, in funzione strumentale alla individuazione della risposta più adeguata al caso concreto da risolvere, si affianca un’analoga considerazione del ruolo svolto dalla buona fede, nel contributo per gli Atti del Convegno di studi in onore di Alberto Burdese (IV, Padova 2003, pp. 1-313), La ‘bona fides’ nei giuristi romani. ‘Leerformeln’ e valori dell’ordinamento, teso a provare l’intima fusione tra diritto e storia, quali momenti inscindibili e identitari di una medesima realtà. Altri filoni di ricerca riguardano il diritto pubblico – specie in ordine all’estensione della cittadinanza romana e all’organizzazione amministrativa delle province agli inizi del III secolo – e i diritti greci, con notevole attenzione alle fonti papirologiche.
Pur nell’inevitabile incompletezza della presente rassegna, non si può omettere di sottolineare l’interesse per la manualistica, specie di diritto privato. Nelle Istituzioni di diritto romano (Milano 1990) la solidità dell’impianto dogmatico si coniuga all’impegno assiduo nel rimarcare la storicità e relatività dell’esperienza giuridica antica, caratterizzata, nel pensiero dei prudentes, dalla ‘controversialità’: cosicché la conservazione delle tradizionali categorie concettuali e l’architettura sistematica non impediscono alla trattazione di presentarsi in forma problematica, privilegiando la casistica e prendendo le distanze, se e quando necessario, da nozioni e rappresentazioni proprie del diritto moderno. Sotto tale profilo, Talamanca ebbe modo di esporre le proprie convinzioni, contrarie a una prospettiva diacronica, su contenuti e metodi d’insegnamento delle discipline romanistiche in una serie di articoli, tra cui Istituzioni di diritto privato e tradizione romanistica (in una raccolta di saggi intitolata L’insegnamento del diritto privato, Milano 1987, pp. 25-34), Le «Istituzioni» fra diacronia e sistema (in Index, XVIII (1990), pp. 25-36), infine Il diritto romano fra modello istituzionale e metodologia casistica, pubblicato nello stesso anno della sua scomparsa (in Diritto romano, tradizione romanistica e formazione del diritto europeo, Padova 2008, pp. 331-362). A un altro manuale assai diffuso, i Lineamenti di storia del diritto romano (Milano 1979; 1989), partecipò – oltre ad assumerne la direzione – con la stesura di numerosi paragrafi. Quanto all’ambito storiografico, dedicò numerosi saggi a eminenti maestri come Volterra, Arangio-Ruiz, Theodor Mommsen, Otto Lenel e altri, fino al denso contributo La romanistica italiana fra Otto e Novecento (in Index, XXIII (1995), pp. 159-180). La poliedrica vocazione scientifica lo portò a trattare anche di diritto intermedio e moderno, specie sulla forma degli atti e su questioni testamentarie. Un cenno è da fare alla instancabile attività svolta come recensore di opere: in serrata dialettica con gli autori, i giudizi sui libri recensiti, formulati con vivissimo spirito critico e assoluto rigore, conducevano costantemente a un completo riesame di temi e problemi, in grado di offrire prospettive originali non solo sull’argomento di volta in volta oggetto d’indagine, ma anche su tutti i punti a esso collegati, cosicché alla valutazione analitica e penetrante dei contenuti si accompagnava sempre un’esemplare lezione di metodo.
Di carattere schivo, dotato di forte personalità e indipendenza di giudizio, attento a istanze e correnti di pensiero della cultura europea, Talamanca fu in polemica severa con gli indirizzi di studio tendenti a formulare idee e ipotesi sulla base di elementi ritenuti vaghi e approssimativi, forieri di ricostruzioni generalizzanti avulse dal necessario, totale rispetto per i dati testuali, con l’effetto inevitabile della destoricizzazione. Più portato all’analisi che alla sintesi (com’ebbe a dichiarare egli stesso), fu sua ferma convinzione che nessuna scienza storica fosse praticabile senza misurarsi costantemente con le fonti, come pure che non potesse esistere un diritto senza storia. Giudicò perciò la dogmatica e l’esegesi gli ineludibili strumenti adeguati a svolgere attività di ricerca: aprendo la via alla piena comprensione dei testi antichi, la dogmatica, adoperata anche in chiave argomentativa – pur con estrema cautela, per la lucida consapevolezza dei rischi di deformazione dell’oggetto indagato – costituiva a suo giudizio l’unico mezzo in grado di consentire all’esegesi di svolgere la sua funzione primaria, consistente nella corretta interpretazione delle fonti e nella individuazione delle connessioni logiche sottostanti. Assertore della necessità di fondare una scienza del diritto in cui fossero inscindibili la costruzione teorica e l’applicazione pratica, sostenne, da un lato, l’impossibilità di ridurre la storia giuridica a storia pura, dall’altro l’utilità della sistematica moderna nel rappresentare la realtà del diritto antico. Refrattario a qualsiasi visione retorica sul valore in sé della ricerca scientifica (di alcuni risultati della quale parlava talvolta con distaccata ironia), reputò l’impegno personale di studio come un dovere morale assoluto. Cosciente di essere custode di un prezioso patrimonio di tradizioni e valori da salvaguardare e tramandare, pur nel necessario rinnovamento delle prospettive, sul piano accademico ebbe una concezione affatto aristocratica della professione, animato dalla ferrea convinzione che La Sapienza dovesse offrire agli studenti una docenza particolarmente qualificata allo scopo di formare giuristi, rivendicando, in tal senso, un ruolo fondamentale alle discipline storico-giuridiche.
Nel 2005 gli fu riconosciuto il titolo di professore emerito. Ricoprì una serie di prestigiose cariche accademiche: fu, tra l’altro, preside della facoltà di giurisprudenza della Sapienza romana (1980-95) e presidente della Conferenza dei presidi (1985-95). Fu componente del Consiglio direttivo dell’Associazione internazionale per la ricerca storico-giuridica e comparatistica, presidente della Società italiana di storia del diritto (che aveva contribuito a fondare), condirettore generale dell’Enciclopedia del diritto (1985-93), coordinatore del dottorato di ricerca in diritto romano con sede in Catanzaro (1994-2003), nonché insignito di varie onorificenze, tra cui il premio Messori Roncaglia-Mari conferitogli dall’Accademia nazionale dei Lincei e la laurea honoris causa dalla Universidad nacional de educación a distançia di Madrid.
Morì improvvisamente a Roma, per una polmonite, l’11 giugno 2009, al ritorno da una conferenza tenuta qualche giorno prima alla facoltà giuridica di Pavia.
Fonti e Bibl.: L. Labruna et al., ‘...Da ich schaue der Sterne lichteren Schein...’: «Vincula iuris» per M. T., in Index, XXXII (2004), pp. 227-256; L. Capogrossi Colognesi, M. T., in Bullettino dell’Istituto di diritto romano, CV (2011), pp. 1-5; G. Finazzi, M. T. (1928-2009), in Studia et documenta historiae et iuris, LXXVII (2011), pp. 691-772; D. Mantovani, In memoriam M. T., in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, CXXVIII (2011), pp. 817-844; Ricordo di M. T., a cura di L. Capogrossi Colognesi - G. Finazzi, Napoli 2012; G. Finazzi, T., M., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), II, Bologna 2013, pp. 1925-1928.