SFORZA, Mario
– Nacque tra il 1531 e il 1532 da Bosio II, conte di Santa Fiora, e dalla figlia del cardinale Alessandro Farnese, Costanza, probabilmente a Roma, in palazzo Farnese, ove ella dimorava.
Quarto di sei fratelli maschi, fu avviato alla carriera ecclesiastica, dopo l’elezione del nonno a pontefice (Paolo III). Ebbe nel 1542 il titolo commendatizio dell’abbazia di S. Pietro in Ciel d’Oro, a Pavia, e quello relativo all’abbazia di Tolla, nell’alta Val d’Arda, nel Piacentino, nel 1545.
A questa data, aveva già esordito nel mestiere delle armi, sua reale vocazione. Nel 1544, infatti, aveva partecipato alla battaglia di Serravalle Scrivia. Nell’occasione si schierò con le truppe filofrancesi guidate da Piero Strozzi.
Nel 1547 sposò Fulvia Conti, che portò in dote Segni, Valmontone e altri minori castelli laziali.
Nel settembre dello stesso anno, dopo l’assassinio dello zio, il duca di Parma Pier Luigi Farnese, entrò a presidio di Parma in nome del cugino Ottavio, intenzionato ad accedere immediatamente alla successione. Il papa appariva invece determinato a far rientrare sia Parma sia Piacenza (occupata dai soldati asburgici) nel dominio diretto della S. Sede. Sforza non perdette, però, il favore del nonno. Infatti, nel 1549, ricevette il comando di una delle compagnie di cavalleggeri istituite per mantenere l’ordine pubblico nelle province pontificie.
Nell’ultima parte delle guerre d’Italia, in particolare durante la guerra di Siena, si schierò decisamente con i ribelli senesi e la Francia. Ottenne buoni risultati sul piano militare, come la difesa di Montalcino tra marzo e giugno del 1552 e le scorrerie contro Buriano (presso Castiglione della Pescaia) e il Volterrano, nei primi mesi del 1553. Il re Enrico II lo ricompensò con il grado di colonnello e il titolo di cavaliere dell’Ordine di S. Michele. Tuttavia, nel luglio del 1554, dopo uno scontro presso Civitella in Val di Chiana (Arezzo), fu preso prigioniero insieme al fratello Carlo. Decise presto – e forse l’aveva premeditato – un netto rovesciamento di fronte. Così, nell’agosto del 1555, insieme al fratello Alessandro, chierico della Camera apostolica, recuperò e guidò il trasferimento a Napoli di due galere ormeggiate a Civitavecchia, appartenenti al fratello Carlo. L’atto suscitò il risentimento del pontefice sul trono, Paolo IV, fieramente nemico degli Asburgo, che il 31 agosto fece arrestare Guido Ascanio Sforza, cardinale Camerlengo e primo dei fratelli di Mario. Quest’ultimo, dopo un incontro personale con Bernardino de Mendoza viceré di Napoli, ricondusse le galere a Civitavecchia, insieme al fratello Alessandro.
Non sussistevano però le condizioni per un soddisfacente suo impiego presso gli spagnoli. Così, nel 1557, tornò al servizio del governo della Repubblica senese, allora riparata in Montalcino. Combatté intorno a Pienza nell’estate dello stesso anno. Ferito, si ritirò a Santa Fiora, il feudo di famiglia che faceva governare a suo nome fin dal 1549, di comune accordo con gli altri membri della famiglia.
Negli anni seguenti, rafforzò i legami con la corte medicea. Cosimo I lo impiegò ripetutamente come ambasciatore: nel 1565 lo inviò alla corte imperiale, insieme con Sigismondo Rossi e Leonardo De Nobili, allo scopo di presentare doni a Giovanna d’Asburgo, sorella dell’imperatore Massimiliano II e fidanzata del principe Francesco de’ Medici. Quindi, nel 1568, Sforza si recò in Spagna, a causa delle ufficiali condoglianze per la morte di Elisabetta di Valois, terza moglie di Filippo II.
Tornò poi alla vita militare attiva. Nel 1569, partecipò alla spedizione in Francia voluta da Pio V contro gli ugonotti. Partì come generale delle truppe inviate nella stessa occasione da Cosimo I. Fu poi nominato generale della cavalleria di tutto il contingente. Quindi, alla battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), comandò una delle galere della marina romana.
Restò sempre informato sul problema turco. Pompeo Floriani gli dedicò alcuni suoi testi, come il Discorso della Goletta e del forte di Tunisi e il Discorso intorno all’isola di Malta (Macerata, presso Sebastiano Martellini, rispettivamente 1574 e 1576).
Nel 1575 era al servizio del granduca, come generale della fanteria (con 1000 scudi di stipendio annui). Quindi, all’inizio di giugno del 1579, gli fu dato incarico di chiedere alla Repubblica di Venezia Bianca Cappello in sposa per il granduca Francesco de’ Medici. Fu ricompensato con la nomina a cavaliere dell’Ordine di S. Stefano (19 luglio 1579). Ma nella corte medicea, Mario era considerato un «cervellett[o]» (il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, Roma, 7 marzo 1581, in Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 5090, n. 92). Così, fu congedato nel luglio del 1581. Non recuperò mai il rapporto: ancora a distanza di anni, diceva che i Medici erano «homini che imbarch[an]o altrui, et poi gli lass[an]o sul buono» (il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, Roma, 30 marzo 1585, ibid., n. 33, c. 78r).
Tornato a Roma stabilmente, cercò impieghi negli ordinamenti militari di papa Gregorio XIII. Ma già nell’agosto del 1581, a causa della revisione del titolo di possesso feudale di Segni (feudo della moglie), si ritirò nei suoi feudi. Poteva contare su 14.000 scudi di entrata annui. Offrì i suoi servizi alla Repubblica veneziana, tramite l’ambasciatore a Roma Leonardo Donà, ma non ebbe risposta.
Infine, il 24 settembre 1583, fu nominato luogotenente del capitano generale di S. Chiesa, carica che dava 4000 scudi annui di stipendio. Nell’aprile 1584 entrò nella congregazione deputata al contrasto del fenomeno del banditismo, insieme ai cardinali Filippo Boncompagni e Giovan Battista Castagna, al figlio del papa, Giacomo Boncompagni, generale di S. Chiesa, e al governatore di Roma (Giovanni Francesco Biandrate di San Giorgio).
Nell’estate del 1584 fu impegnato in aperta campagna contro i fuorusciti. Combatté con successo soprattutto nelle Marche. Rientrò a Roma alla fine di ottobre del 1584, per soprintendere alla gestione delle milizie provinciali non professionali.
Verso la fase finale del pontificato Boncompagni mantenne stretti legami con il cardinal Alessandro Farnese: giunse al punto di sottoporgli liste di capitani «amici e servitori di V.S. Ill.ma et di casa nostra [...] ciascuno de quali in ogni occasione et ad un cenno solo faranno espeditissimamente una buona et honorata compagnia» (lettera del 27 giugno 1584, in Archivio di Stato di Parma, Archivio Farnesiano, Carteggio estero, Roma, b. 496, cc. n.n.).
Eletto papa Sisto V (24 aprile 1585), perse la carica di luogotenente generale. Ebbe però, nel 1586, il monopolio della produzione e delle vendita del vetriolo in tutto lo Stato della Chiesa. Le sue competenze lo portarono a redigere progetti per la repressione del banditismo, fra il 1586 e il 1587. L’anno seguente, dopo il naufragio di nuovi contatti con Venezia, si ritirò non volendo «mettersi d’alcuna servitù in tempo di pace» (Giovanni Gritti al Senato, Roma, 3 dicembre 1588, in Archivio di Stato di Venezia, Senato, Dispacci, Roma, 22, c. 393r). Le sue entrate erano calcolate in 30.000 scudi all’anno. Aveva anche acquistato la villa Rufinella di Frascati dal nipote, il cardinale Francesco Sforza.
Nella Sede vacante del 1590, fu incaricato dal S. Collegio di calmare la rabbia dei romani contro la memoria di Sisto V.
Morì all’inizio di gennaio del 1591, probabilmente a Roma, nel palazzo Riario alla Lungara, che aveva affittato dal 1587. Il suo testamento fu aperto il giorno 12 e le esequie furono celebrate il 24 gennaio 1591.
Fonti e Bibl.: N. Ratti, Della famiglia Sforza, I, Roma 1794, pp. 284-289; A. Cappelli, Una lettera del Conte di S. Fiora al Priore di Lombardia ed a M. S., in Bullettino senese di storia patria, X (1903), pp. 117-125; G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa, Roma 2003, ad ind.; V. Fraticelli, Fra apparenze e realtà: M. S., conte di Santa Fiora, e il banditismo del tardo Cinquecento, in Tracce: percorsi storici, culturali e ambientali per Santa Fiora, X (2005), pp. 83-105.