RIGONI STERN, Mario
RIGONI STERN, Mario. – Terzogenito di sette figli – sei maschi e una femmina –, nacque il 1° novembre 1921, al numero 5 di via Ortigara, ad Asiago, da Giobattista, commerciante, e da Anna Vescovi, discendente di una prestigiosa famiglia di avvocati e notai.
La Grande Guerra era finita appena tre anni prima, Asiago e l’altipiano portavano i segni di battaglie e distruzioni. La strada stessa aveva preso il nome da una cima dove era stata combattuta una delle battaglie più cruente.
Predilesse fin da bambino i giochi all’aperto, sia nella bella stagione sia nei lunghi inverni nevosi. Imparò presto a sciare, e si formò anche grazie ai libri d’avventura che gli piaceva sfogliare davanti al focolare.
Cresciuto, come tanti giovani di allora, nel mito della Grande Guerra e anche dell’alpinismo eroico, nell’autunno del 1938 sottoscrisse la domanda per un corso di aspirante alpino-rocciatore, anche per alleviare le difficoltà economiche della famiglia. Una volta ammesso, dopo un breve addestramento ad Aosta, compì un lungo raid sci-alpinistico attraverso Val Formazza, Valle di Champorcher e Valle di Cogne, alla fine del quale solo lui e altri tre ragazzi superarono la selezione.
Dopo il 10 giugno 1940 e la dichiarazione di guerra alla Francia, Rigoni Stern, con i gradi di caporal maggiore, combatté sul fronte delle Alpi: una guerra breve, di soli quindici giorni, con un bilancio di ben 631 morti, più di duemila feriti e molti congelati.
Rigoni Stern cominciò a registrare giorno per giorno gli avvenimenti in un taccuino: un’abitudine che conservò sempre in guerra (salvo durante la ritirata di Russia) e che gli tornò utile nel rievocare quegli avvenimenti.
A metà novembre del 1940 Rigoni Stern raggiunse con la divisione Tridentina l’Albania, dove era da poco iniziata l’aggressione dell’Italia alla Grecia, presto trasformatasi in una disastrosa ritirata, e il 1° dicembre venne nominato sergente. La guerra si concluse nell’aprile dell’anno successivo, dopo l’intervento tedesco che costrinse la Grecia alla resa.
Il 13 gennaio 1942 – partito per la Russia con il battaglione Cervino, uno dei più efficienti del nostro esercito – partecipò ad alcune rapide incursioni contro le linee avversarie. Fatto ritorno in Italia in aprile, a maggio si fidanzò con Anna Maria Rigoni Haus, una ragazza di Asiago, abile cacciatrice, che divenne la compagna della sua vita.
Di nuovo in Russia con la divisione Tridentina in luglio, il 1° settembre partecipò alla battaglia di Kotowskij, uno scontro durissimo nel corso del quale il suo battaglione Vestone perse più uomini che durante l’intero conflitto. Per il suo comportamento in battaglia fu insignito con la medaglia d’argento al valore.
Nel dicembre del 1942 la grande controffensiva russa costrinse i tedeschi e i loro alleati a una lunga ritirata. Il sergente maggiore Rigoni Stern lasciò il suo caposaldo sul Don il 17 gennaio 1943: una tragica marcia nella neve di due settimane, nel disperato tentativo di sottrarsi all’accerchiamento, tra continui combattimenti e immani sofferenze nel gelo della steppa, fino a rompere l’ultimo ostacolo per uscire dalla sacca, Nikolajevka. Lì, nella battaglia più sanguinosa, perse alcuni tra i suoi migliori amici e commilitoni.
Dopo l’8 settembre 1943 Rigoni Stern, preso prigioniero come tanti soldati italiani, rifiutò di aderire alla Repubblica sociale italiana (RSI) e venne inviato nei campi di concentramento tedeschi, dove trascorse venti mesi di dura prigionia.
Rientrato ad Asiago il 9 maggio 1945, a piedi e dopo molte peripezie, debole, malato e con l’animo esacerbato, gli occorsero molti mesi per riprendersi.
Successivamente, trovato un impiego al Catasto di Asiago, si unì in matrimonio con Anna e cominciò a scrivere le sue memorie di Russia.
Un amico scultore, Giovanni Paganin, lo mise in contatto con Elio Vittorini e, dopo un lungo lavoro di rifinitura, la casa editrice Einaudi pubblicò Il sergente nella neve (Torino 1953): al successo immediato e inatteso seguì, nel settembre di quell’anno, anche il premio Viareggio per la migliore opera prima.
Il secondo libro, Il bosco degli urogalli, uscì, sempre per Einaudi, otto anni dopo. Nel frattempo Rigoni Stern aveva scritto racconti, visto crescere tre figli (Alberico, Gianni e Ignazio) e aveva dato alla sua vita un ritmo regolare, tra il lavoro e le escursioni in montagna, a volte per andare a caccia. Nel 1962, decise di costruirsi una piccola casa sul limitare del bosco, in una delle contrade a nord di Asiago, dove visse fino alla fine dei suoi giorni.
Nel 1967, per le edizioni Ferro di Milano, curò una raccolta di scritti sulle due guerre mondiali, La guerra della naja alpina, inserendo testi di autori molto noti, come Fritz Weber, Paolo Monelli, Carlo Emilio Gadda, Curzio Malaparte, ma anche alcuni inediti di particolare qualità letteraria e interesse storico. La raccolta comprende anche Tra fango e tormente, la prima versione di Quota Albania.
Una grave crisi cardiaca e l’entrata in vigore di una legge sul computo degli anni di servizio agli ex combattenti furono all’origine del suo pensionamento anticipato, nel 1970.
Da questo momento Rigoni Stern poté dedicarsi a tempo pieno al ‘mestiere di scrivere’, ma anche a coltivare l’orto, allevare api, incontrare i lettori, leggere. Ebbe anche maggiori occasioni per confrontarsi con amici scrittori per i quali avvertiva una particolare sintonia etica, su tutti Primo Levi e Nuto Revelli, con i quali condivideva le sofferenze subite e superate durante la guerra, un narrare nitido e comunicativo, la fede nella giustizia, nella libertà e nell’umana solidarietà.
Nel 1971 uscì a Torino, ancora per Einaudi, come le successive opere, Quota Albania, in cui raccontava la guerra sul fronte italo-francese e su quello greco-albanese: Rigoni Stern rimase particolarmente legato a questo libro che giudicava tra i suoi migliori, pur senza avere ottenuto un successo significativo. Nell’ottobre di quell’anno tornò per la prima volta in Russia, e fu uno dei primi italiani a poterlo fare. I ricordi e le immagini dei luoghi percorsi trent’anni prima, lo emozionarono profondamente: da quell’esperienza generò, due anni dopo, la raccolta di racconti Ritorno sul Don (Torino 1973), con le impressioni di quel viaggio, ma anche storie di guerra come Nella steppa di Kotowskij e Bepi, un richiamato del ’13, e di resistenza alla dittatura come Un ragazzo delle nostre contrade e La segheria abbandonata.
Dopo numerosi articoli giornalistici scritti per Il Giorno fra gli anni Sessanta e Settanta, nel 1977 iniziò una lunga collaborazione con La Stampa; molti racconti apparsi sul quotidiano torinese entrarono nei suoi libri: Il ciliegio sul tetto, apparso sulla Stampa, nel 1978 divenne, per esempio, il primo capitolo di Storia di Tönle (Torino 1978), che si aggiudicò il premio Campiello.
Si tratta dell’opera apparentemente meno autobiografica dello scrittore, anche perché la vicenda narrata inizia a metà Ottocento e termina durante la Grande Guerra; in realtà il protagonista, un contrabbandiere, pastore e venditore di stampe, che ama la libertà e rifugge dai confini, riflette lo stesso autore.
Dopo un’altra raccolta di racconti, Uomini, boschi e api (Torino 1980), comparsi in precedenza sulla Stampa e su Tuttolibri, Rigoni Stern tornò a pubblicare una storia lunga, L’anno della vittoria (Torino 1985), che rievoca il ritorno dei profughi in altipiano, dopo le distruzioni e gli sconvolgimenti della prima guerra mondiale e la rinascita di quei paesi. Seguirono Amore di confine (Torino 1986), una delle sue migliori antologie di racconti, e Il magico kolobok e altri scritti (Torino 1989; poi anche in versione illustrata da Tino Aime, artista legato ad alcuni temi cari allo scrittore), per le Edizioni della Stampa che riunì, come già con Primo Levi, Massimo Mila e altri autori, una serie di articoli apparsi nel quotidiano. In Arboreto salvatico (Torino 1991) raccolse brevi testi che prendono spunto ciascuno da un albero del suo giardino, seguendo poi la via dei ricordi e delle riflessioni. Le stagioni di Giacomo (Torino 1995), in cui prende vita Asiago negli anni Trenta, in limine alla seconda guerra mondiale, chiuse la trilogia dell’altipiano, dopo Storia di Tönle, che aveva seguito il passaggio dall’Ottocento al Novecento del protagonista, e L’anno della vittoria, che aveva raccontato il ritorno dei profughi nel dicembre del 1918.
L’11 maggio 1998, in occasione della laurea honoris causa in scienze forestali e ambientali conferitagli dall’Università di Padova, tenne una lectio magistralis sulla ricostruzione dei boschi dell’altipiano dopo la Grande Guerra.
Sentieri sotto la neve (Torino 1998), confermò Rigoni Stern come grande autore di racconti e senza riferimenti o analogie nel panorama letterario italiano.
Grazie allo stimolo dell’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in occasione degli ottant’anni dalla fine della Grande Guerra, Rigoni Stern iniziò a raccogliere testi e immagini per un’ampia antologia di autori e testimoni di quel conflitto. L’opera, 1915-1918. La guerra sugli Altipiani, uscì poi per Neri Pozza (Vicenza 2001).
Se Inverni lontani (Torino 1999) fu tra i suoi racconti di maggiore ispirazione poetica e resa letteraria, Tra due guerre (Torino 2000) ne compendiò diversi tra cui quelli usciti nel Magico kolobok pubblicati sulla Stampa. L’ultima partita a carte (Torino 2001) rievoca gli anni trascorsi da soldato prima e durante la guerra: gli iniziali sogni di avventure tra le vette, di affermazione sociale e sentimentale, poi, durante la guerra e la prigionia, le tante dolorose disillusioni.
Il Meridiano Mondadori (Storie dall’Altipiano, a cura di E. Affinati, Milano 2003) raccolse la quasi totalità delle sue opere e costituì una grande soddisfazione per Rigoni Stern.
Proposto per il premio Nobel e per senatore a vita, la figura di Mario Rigoni Stern si andò via via consolidando quale riferimento morale di un’Italia sobria e dignitosa, civile e democratica.
Nel 2004 venne pubblicata Aspettando l’alba (Torino), una raccolta di importanti testi inediti e di altri rielaborati. Spiccano il racconto omonimo Quasi una tregua, sui giorni della prigionia, e soprattutto Un Natale del 1945, forse la più apprezzata tra le sue storie brevi. Sempre in quell’anno Marco Paolini realizzò l’opera teatrale Il sergente, ispirata al libro di Rigoni Stern, che in quattro anni di rappresentazioni riscosse un grande successo di pubblico e di critica.
Infine, sempre per Einaudi, uscirono la raccolta I racconti di guerra (a cura di F. Portinari, Torino 2006) e la sua ultima opera, Stagioni (Torino 2006); fu Roberto Cerati, allora presidente e ultimo fra gli storici dirigenti della casa editrice, cui il libro è dedicato, che lo convinse a scriverla: il testo segue le quattro stagioni componendo per ciascuna di esse storie diverse, tenute insieme sul filo della memoria.
Il 13 marzo 2007 Rigoni Stern ricevette all’Università di Genova la laurea honoris causa in scienze politiche e tenne la sua lezione magistrale sull’emigrazione dal suo altipiano verso la Germania, alla fine dell’Ottocento. Proprio intorno a questo tema stava scrivendo da alcuni anni una storia purtroppo rimasta incompiuta.
Nel settembre di quell’anno apparve Dentro la memoria (a cura di G. Mendicino, Rozzano 2007), antologia di racconti mai editi da Einaudi. Sul finire del 2007, alcuni malesseri rivelarono i sintomi di un tumore cerebrale. Rigoni Stern decise di aspettare la fine con serenità, nella sua casa e tra i suoi cari.
Morì ad Asiago il 16 giugno 2008.
L’impegno a difesa della natura, contro ogni forma di avidità e di degrado, caratterizzò sia le sue opere sia il suo stile di vita. Una scrittura, chiara e comprensibile pur nella ricchezza di vocaboli, è stata in grado di ordinare ricordi e riflessioni con sensibilità poetica e tensione morale. Nei suoi libri trovano spazio memoria storica e narrazione biografica. Tra guerre e prigionia, boschi e montagne, si dipana un codice etico da conservare e difendere sempre e comunque, anche nei momenti più tragici.
Fonti e Bibl.: Necrologi in Corriere della sera (C. Magris - E. Paccagnini) e la Repubblica (P. Rumiz), 18 giugno 2008; Le Monde, 20 juin 2008 (R. de Ceccaty); G. Kezich La patria ripromessa. Addio a M. R. S., in L’Alpe, 2008, n. 18. Si vedano, oltre all’introduzione al Meridiano di E. Affinati (cit., pp. I-LXXXII): A. Zanzotto, Da quella neve lontana il fuoco di R. S., in Nuova Rivista europea, IV (1980), 18, pp. 89-93; P. Levi, Tönle l’invernatore, in La ricerca delle radici. Antologia personale, Torino 1981, pp. 215-220; A. Motta, M. R. S., Firenze 1983; M. Buzzi, Invito alla lettura di R. S., Milano 1985; M. Angelini, L’esemplificazione del concetto cassoliano di «sub-limine» e la denuncia antibellica nella narrativa di M. R. S., Avellino 1995; C. Ambroise, Civitas, in Montagnes imaginées, montagnes représentées, Grenoble 2000, pp. 303-318; F. Portinari, M. R. S.: i fili della memoria, in Confini. Quaderni del premio Chiara, sett. 2004; E. Gherib, Espace intime, espace commun: M. R. S. écrivain entre guerre et paix, Paris 2010; M. R. S. Il coraggio di dire no. Conversazioni e interviste 1963-2007, a cura di G. Mendicino, Torino 2013; S. Frigo, I luoghi di M. R. S., Venezia 2015; S. Di Benedetto, Guerra vs comunità: la “Trilogia dell’Altipiano” di M. R. S., in Annali della facoltà di studi umanistici dell’Università degli studi di Milano, 2016; G. Mendicino, M. R. S. Vita, guerre, libri, Ivrea 2016.