PILATI, Mario
PILATI, Mario. – Nacque a Napoli il 16 ottobre 1903 da Antonio, rappresentante di commercio all’ingrosso, e da Pasqualina Pacella, terzogenito dopo i fratelli Clemente e Giuseppe e prima della sorella Elena.
Tredicenne, all’insaputa del padre che, contrastandone la vocazione artistica, lo aveva indirizzato a studi tecnici, ma complice la madre, cominciò a prendere lezioni private di armonia e contrappunto. Solo dopo aver percorso l’itinerario scolastico impostogli dal padre poté iscriversi prima al Liceo musicale di Napoli e poi al Conservatorio S. Pietro a Majella, dove studiò contrappunto e composizione con Antonio Savasta e si diplomò nel giugno 1923. Già nell’ambito scolastico dimostrò la fecondità e la versatilità di un precoce talento, presentando di persona – di volta in volta al pianoforte o sul podio direttoriale – nei saggi finali degli ultimi due anni un’ampia scelta di composizioni scritte fra il 1920 e il 1923: liriche per canto e pianoforte su testi di Carlo Altucci (Purificazione), di Gil Vicente e Pedro Soto de Rojas (Dos canciones españolas, pubblicate a Milano nel 1923) e di Sergio Corazzini (Dialogo di marionette), una Sonatina per flauto e pianoforte, una Sonata in un tempo per violino e pianoforte, un Minuetto e una Habanera per orchestra. Altrettanto precoce fu l’emergere della vocazione didattica, che gli valse una nota di merito dalla direzione e dal corpo insegnante del Conservatorio per aver svolto in quegli stessi anni «con grande amore e competenza» l’ufficio di ‘maestrino’, ossia d’istruttore dei condiscepoli più giovani (Napoli, Conservatorio di musica S. Pietro a Majella, Archivio storico, S. Pietro a Majella, Archivio didattico, Fascicoli alunni, matr. 251).
Vinto, nel 1924, un concorso bandito dal Civico liceo musicale di Cagliari, iniziò in quella sede l’attività d’insegnante di composizione, assolvendovi anche altri incarichi (bibliotecario e professore di storia della musica, di direzione d’orchestra, di armonia complementare); tuttavia, insofferente dell’isolamento, trascorso un biennio si dimise e s’insediò a Milano, dove visse da libero professionista impegnandosi su molti fronti: fu direttore d’orchestra, pianista accompagnatore, critico musicale (titolare della rubrica Lettera da Milano nella neonata Rassegna musicale, e anche frequente collaboratore del Bollettino bibliografico musicale e di Musica d’oggi), redattore per casa Ricordi di riduzioni per canto e pianoforte di partiture d’opera, e soprattutto insegnante.
Queste due ultime attività gli fornirono l’occasione di stringere fondamentali amicizie con Ildebrando Pizzetti, da lui eletto a centrale figura di riferimento per la propria concezione musicale, e con gli allievi – entrambi dallo stesso Pizzetti a lui indirizzati – Giacomo Saponaro e Gianandrea Gavazzeni, quest’ultimo poi anche suo privilegiato interlocutore in un fitto epistolario – pubblicato per ampi stralci da Laura Esposito Pilati (2007) – su quanto concerneva l’attività professionale di entrambi e, più in generale, sui casi della musica italiana contemporanea.
Intanto continuava a scorrere copiosa anche la sua vena di compositore. Nel biennio 1924-1926 aveva portato a termine una serie di sei Canzoni madrigalesche a 4, 5 e 6 voci su testi di Boccaccio, Petrarca e Dragonetto Bonifacio già iniziata nel penultimo anno di conservatorio; ad esse s’erano aggiunte varie musiche vocali (le liriche per canto e pianoforte Lettera amirosa, Mare, Lunella, Balladettes su testi di Salvatore Di Giacomo, Giovanni Pascoli, Gabriele d’Annunzio, Carlo Altucci; Tre canti napoletani e Due epigrammi napoletani poi trascritti per canto e orchestra ed eseguiti al Festival di musica contemporanea di Venezia del 1932; il salmo Ecce nunc benedicite Dominum per doppio coro a otto voci; il coro per voci femminili e orchestra A sera su testo di Antonio Fogazzaro, vincitore nel 1926 del Premio Bellini) e strumentali (i Tre pezzi per orchestra: Minuetto, Habanera e Furlana, e la Suite per archi e pianoforte che, tenuta a battesimo a Cagliari nel 1925, stampata nel 1927 e ripetutamente eseguita anche a Philadelphia e Boston nel 1928 e nel 1931, per prima richiamò sull’autore l’attenzione della critica nazionale e internazionale). Nel 1927 la sua notorietà fu definitivamente consolidata col conseguimento del premio istituito dalla mecenate statunitense Elizabeth Sprague Coolidge, assegnato quell’anno alla sua Sonata per flauto e pianoforte (frutto della rielaborazione e ampliamento della precedente Sonatina, così come il contemporaneo oratorio Il battesimo di Cristo, «episodio evangelico» per soli coro e orchestra rifatto sulla pianta d’un lavoro scolastico del 1923). Nel 1928 completò il Quintetto in Re per pianoforte e archi, da lui considerato la pietra miliare del suo percorso artistico: presto ampiamente diffuso, fu vincitore del premio Rispoli 1928 e poi scelto, insieme con la Rapsodia per orchestra di Virgilio Mortari, a rappresentare l’Italia nel Festival della International Society for contemporary music del 1931 a Oxford e Londra. Seguì una serie di composizioni tutte disposte nel solco della tradizione classica, ancorché animate da una forte, talora esuberante volontà comunicativa: la Sonata in Fa per violino e pianoforte, la Sonata in La per violoncello e pianoforte (entrambe nel 1929), il Quartetto in La per archi (1930-31), il Concerto in Do maggiore per orchestra (1933, stampato nel 1937 ed eseguito, su invito di Goffredo Petrassi, nel concerto d’apertura del Festival di Venezia del 1938).
Il 27 dicembre 1928 sposò Antonietta Margiotta; dal matrimonio nacquero le figlie Annamaria, Laura e Giovanna. Nel frattempo aveva anche ripreso la carriera didattica interrotta, portata poi a compimento con la consueta rapidità: vincitore nel 1930 del concorso per la cattedra di armonia e contrappunto bandito dal Conservatorio di Napoli (dov’ebbe fra gli allievi Saponaro, che lo aveva seguito da Milano, e Orazio Fiume), nel 1933 raggiunse l’apice vincendo il concorso per la cattedra di contrappunto, fuga e composizione a Palermo; qui rimase fino al 1938, quando, già inesorabilmente minato dal male che in pochi mesi lo avrebbe portato alla precocissima fine, chiese e ottenne di essere trasferito a Napoli. Il rientro nella città natale aveva prodotto un graduale allontanamento dalla ‘musica costruttiva’ (così da lui stesso definita) e una parallela, crescente attenzione verso modi, forme, colori tipici della tradizione musicale napoletana: un percorso che, cominciato nel 1930 con Preludio, aria e tarantella per violino e pianoforte (poi anche per orchestra), proseguì con Echi di Napoli: otto canzoni su vecchi testi popolari per canto e pianoforte (1933, poi anch’essi orchestrati) e con Tammurriata per violino e pianoforte (1936), e culminò nel progetto di Piedigrotta, «opera popolare napolitana» di Carlo Altucci, rimasta allo stato di frammento (ne fu terminato il solo primo atto, strumentazione compresa) ma tuttavia compiuta nel suo intento di «essere la voce della nazione napolitana ricreata e rivissuta nella nostra fantasia» (così all’Altucci in una lettera dell’11 gennaio 1935; cfr. Mayrhofer, 2007, p. 253). Attorno a questo filone continuarono comunque numerose a vedere la luce musiche di vario genere, orchestrali, bandistiche, pianistiche, vocali da camera; tra esse merita una menzione speciale la singolare ninna nanna Alla culla per flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno, arpa, triangolo e archi: sua ultima pagina e quasi «misterioso lascito testamentario» (Margoni Tortora, 2012, p. 395; per un elenco completo si rinvia a L. Esposito Pilati, Catalogo).
Un altro importante progetto era destinato a restare interrotto, ossia la redazione di un trattato di contrappunto commessagli nel 1936 da Guido M. Gatti, che, dissenziente da Pilati per il suo orientamento tradizionalista, ne pregiava però la «singolare perizia tecnica e coscienza artistica» (1931). L’abbozzo rimasto mostra come Pilati si disponesse a dar forma organica ad annose riflessioni, già fermate in appunti (cfr. Margoni Tortora, 2008, p. 226-232), circa la necessità di modificare profondamente il metodo d’insegnamento, informandolo a un «criterio storico» che, in contrasto con l’impostazione artificiosa e anacronistica dei vecchi trattati, facesse coincidere, in sostanza, lo studio della composizione delle forme musicali con lo studio dell’evoluzione storica delle forme stesse, nella convinzione che solo l’acquisita coscienza della «ininterrotta continuità della Storia» (e la fede nella «virtù germinale della tradizione», che da essa discendeva; cfr. Pilati, 1929) avrebbe consentito all’allievo di apportare un proprio significativo contributo al progresso dell’arte e di raggiungere quelle posizioni di «nuovissimo e insospettato avanguardismo» che Pilati, dopo il Concerto in Do maggiore, orgogliosamente rivendicava per sé nel panorama della musica contemporanea italiana (lettera a Gavazzeni del 31 ottobre 1937; cfr. Esposito Pilati, 2007, pp. 359 s.). Posizioni che, peraltro, andarono sempre immuni da qualsiasi forma di faziosità o settarismo: significativa, in tal senso, la sua condanna del famigerato ‘manifesto antimodernista’ diffuso da Alceo Toni attraverso Il Corriere della sera e La Stampa del 17 dicembre 1932: documento del quale – non senza apertamente dichiarare la sua delusione per la firma che Pizzetti si era «fatta sfuggire» – deplorava il «tono predicatorio» e, più in generale, la povertà di una sostanza concettuale che sarebbe stata tanto più necessaria in quella battaglia ingaggiata contro un «nemico intelligente» (così a Gavazzeni il 29 dicembre 1932 e poi, sullo strascico di quella polemica, il 26 gennaio 1938; cfr. Esposito Pilati, 2007, pp. 338 s., 360 s.).
Morì a Napoli il 10 dicembre 1938.
Fonti e Bibl.: M. Castelnuovo-Tedesco, M. P. Suite per archi e pianoforte, in La Rassegna musicale, I (1928), p. 327; G. Rossi-Doria, Lettera da Roma, ibid., p. 435; M. Pilati, Giovanni Tebaldini, in Bollettino bibliografico musicale, IV, (1929), 11, p. 19; G. Rossi Doria, Lettera da Roma. Prima Mostra Nazionale di Musica, in La Rassegna musicale, III (1930), p. 324; M. Castelnuovo-Tedesco, M. P. Preludio, Aria e Tarantella per violino e pianoforte, ibid., p. 429; G.M. Gatti, Lettera da Oxford. Nono festival SIMC, ibid., IV (1931), pp. 299 s.; Id., Alcuni aspetti della situazione musicale in Italia, I, ibid., V (1932), pp. 45 s.; A. Longo, M. P., in S. Pietro a Majella. Bollettino del R. Conservatorio di Musica - Napoli, II (1938-39), n. 3, pp. 12-16; G. Gavazzeni, Ricordo di M. P., in Musica d’oggi, XVII (1939), pp. 10-13, poi in Id., Il suono è stanco, Bergamo 1950, pp. 301-306; Id., Disegno di M. P., in La Rassegna musicale, XII (1939), p. 58; Id., P. (M.), Quartetto in La, in Musica d’oggi, XXIV (1942), pp. 204 s.; R. Zanetti, La musica italiana nel Novecento, Busto Arsizio 1985, pp. 952-954; R. Di Benedetto, Giacomo Saponaro, in Nuova Rivista musicale italiana, XXVII (1992), pp. 334-338; F.A. Saponaro, La Sonata di P.: un naufrago recuperato, in Syrinx, XXV (1995), pp. 30-33; L. Esposito Pilati, Ritratto di M. P., in Orazio Fiume 1908-1976, a cura di I. Maffei, Bari 2003, pp. 239-264; A. Ziino, Antonio Savasta e i suoi allievi tra Napoli e Palermo: le ragioni di una «scuola», in Alfredo Sangiorgi, a cura di R. Insolia - A. Marcellino, Lucca 2003, pp. 17-19; M. Poggesi, M. P. e l’ombra del regime, in Arte, musica e spettacolo. Annali del Dipartimento di storia delle arti e dello spettacolo, V (2004), pp. 25-35; M. P. e la musica del Novecento a Napoli fra le due guerre, a cura di R. Di Benedetto, Napoli 2007 (in particolare M. Mayrhofer, ‘Piedigrotta’ di M. P.: abbozzi e studi preparatori, pp. 247-279; L. Esposito Pilati, Un maestro fraterno. Le lettere a Gianandrea Gavazzeni, pp. 309-365); D. Margoni Tortora, M. P. e la scuola di composizione in Italia (e a Napoli) agli inizi del Novecento, in Studi musicali, XXXVII (2008), pp. 201-249; A. Bardi, Mario Castelnuovo-Tedesco amico dei musicisti napoletani, in Musica e musicisti a Napoli nel primo Novecento, a cura di P. Di Martino - D. Margoni Tortora, Napoli 2012, pp. 241-244, 248-253; V. Bernardoni, Le ‘canzoni napoletane’ di Ilbebrando Pizzetti, ibid., pp. 216-218; D. Candela, Il carteggio Longo-P. (con riferimento a Castelnuovo Tedesco), ibid., pp. 445-460; V. Lambiase, La Sonata per flauto e pianoforte di M. P.: intorno a un nuovo documento acquisito dal Fondo pilatiano del Conservatorio S. Pietro a Majella, ibid., pp. 417-444; D. Margoni Tortora, La linea P.: «la lontananza nostalgica utopica futura» di un compositore napoletano d’inizio secolo, ibid., pp. 393-416; L. Esposito Pilati, Catalogo delle opere di M. P., http://www.mariopilati.net/old/catalogo.html (2 giugno 2015).