PETRI, Mario
PETRI (Pezzetta), Mario. – Basso-baritono, nacque a Perugia il 21 gennaio 1922, da Attilio, commerciante di carbone, e da Terzilia Fucelli, abitanti in via de’ Priori.
A scuola dimostrò attitudine per la musica; a 17 anni si trasferì a Roma. Si mantenne cantando nei night clubs e facendo il pugile, soprannominato ‘ciclone’ per il fisico prestante e il carattere indomito. Studiò con il maestro Cusmic (probabilmente il dalmata Marin Kuzmić) e debuttò all’Auditorium RAI di Roma il 27 settembre 1947nell’Arlesiana di Francesco Cilea (Metifio) e nella Lucia di Lammermoor di Donizetti (Raimondo). Iniziò un’intensa carriera sulle principali ribalte italiane (rare le sue presenze all’estero, nel 1952 a Rio de Janeiro, nel 1954 e 1955 a Bilbao, all’Aja e ad Amsterdam, nel 1956 a Buenos Aires), in un incessante susseguirsi di debutti. Si produsse in parti serie di basso profondo, Fiesco (Simon Boccanegra, teatro Donizetti di Bergamo e RAI di Roma, 1951), Seneca (L’incoronazione di Poppea, La Scala e RAI di Milano, 1953), e di basso-cantante, Filippo II (Don Carlo, Bellini di Catania, 1956), Padre guardiano (La forza del destino, Arena di Verona, 1953), Mefistofele (Faust, Villa Floridiana, Napoli, 1949; poi Municipal, Rio de Janeiro, e Coliseo Albia, Bilbao, 1954), Oroveso (Norma, ibid., 1954), Zaccaria, (Nabucco, Bellini di Catania 1955), ma anche di buffo, Don Magnifico (La Cenerentola, Scala, 1954; teatro di Corte a Napoli, 1959), Mustafà (L’Italiana in Algeri, Scala, 1953; l’Aja e Amsterdam, 1955; RAI-TV di Milano, 1957), Basilio (Il barbiere di Siviglia, Verdi di Trieste, 1956), e di baritono, Jack Rance (La fanciulla del West, RAI di Roma, 1956). Il repertorio di Petri spaziava dal Seicento (Plutone nell’Orfeo di Monteverdi, teatro Comunale di Firenze, 1949; Il Giudizio universale di Giuseppe Cavallo all’Argentina di Roma, 1950) al Settecento (Händel: Claudio nell’Agrippina, RAI di Milano, 1953, e Tolomeo nel Giulio Cesare, Opera di Roma, 1955, e Scala, 1956; Cherubini: Creonte nella Medea di Cherubini, Comunale di Firenze, 1953, con Maria Callas), dall’Ottocento italiano (compresi spartiti di rara esecuzione: Pagano nei Lombardi alla prima Crociata di Verdi, RAI di Milano, 1951; Padre Cristoforo nei Promessi sposi di Petrella, S. Carlo di Napoli, 1950; l’Aio nel Conte Ory, Orbazzano nel Tancredi, Conte Asdrubale nella Pietra del paragone e Gualtiero nel Gugliemo Tell per il Maggio Fiorentino del 1952 dedicato a Rossini) a quello tedesco (Daland nel Vascello fantasma, S. Carlo, 1949, e teatro Verdi di Firenze, 1954; Hermann nel Tannhäuser, Carlo Felice di Genova, 1952) e russo (il Messaggero in Kascei l’immortaledi Rimskij-Korsakov, S. Carlo, 1950; Ivan Kovanskij e Dositeo in Kovancina, Massimo di Cagliari, 1950, e Bellini di Catania, 1953; Pimen in Boris Godunov di Musorgskij, Opera di Roma, 1949; Tomskij nella Dama di picche di Čajkovskij, Comunale di Firenze 1952).
Petri affrontò anche l’opera del Novecento: Stravinskij (Creonte nell’Oedipus rex, Scala, 1948; RAI di Roma, 1952), Pizzetti (Baroccio in Vanna Lupa, Comunale di Firenze, 1949; Re Hanoch nello Straniero, Opera di Roma, 1955, e Massimo di Cagliari, 1956; Agamennone in Ifigenia, RAI di Milano, 1955); Bartók (Il castello del duca Barbablù, S. Carlo, 1951; Milano, RAI, 1953; Scala, 1954), Dukas (Arianna e Barbablùdi Paul Dukas, RAI di Torino, 1956), Boito (Simon Mago in Nerone, S. Carlo, 1957), Peragallo (Leopoldo nella Parrucca dell’Imperatore, teatro Caio Melisso, Spoleto, 1958), Menotti (Donato in Maria Golovin, Scala, 1958). Si aggiungeva con costante regolarità la produzione sinfonico-corale, il Requiem di Donizetti, la Missa in Si minore di Bach, la Missa solemnis e la Nona di Beethoven, il Messia di Händel, le Beatitudini di César Franck ecc.
Herbert von Karajan lo volle alla Scala come protagonistanel Don Giovanni del 1951, ripreso nel 1953 (il successo gli valse l’invito ai festival di Glyndebourne e di Edimburgo), Conte nelle Nozze di Figaro del 1954, Pistola nel Falstaff del 1957 (nello stesso anno lo cantò al Festival di Salisburgo e alla Staatsoper di Vienna), Sarastro nel Flauto magico e Arkel nel Pelléas et Mélisande alla RAI di Roma nel 1953 e nel 1954.
Dopo una burrascosa e chiacchierata relazione con il mezzosoprano Giulietta Simionato, il 2 ottobre 1954 sposò a Roma Leda Rivarolo, prima ballerina dell’Opera di Roma: dal matrimonio nacquero David, pittore e restauratore a Città della Pieve, e Romana, scrittrice, che ha pubblicato un libro sul padre dal titolo Le serenate del Ciclone.
Nel 1959 intraprese la carriera di attore cinematografico, girando in cinque anni 18 pellicole di ambientazione mitologica, storica e avventurosa, in parti caratteristiche di cattivo. Risalgono al 1960 La regina dei Tartari (Timur), regìa di Sergio Grieco; al 1961 Drakut il vendicatore (Atanas) di Luigi Capuano, La schiava di Roma (Lisircos) di Grieco, Capitani di ventura (il capitano Hans) di Angelo Dorigo, Ercole alla conquista di Atlantide (Zantas) di Vittorio Cottafavi; al 1962 Giulio Cesare contro i pirati (Nicomede) e Il capitano di ferro (Gualtiero di Rauschwitz) di Grieco, L’ira di Achille (Agamennone) di Marino Girolami, Il colpo segreto di d’Artagnan (Porthos) di Siro Marcellini; al 1963 Il boia di Venezia (il boia) di Capuano, Il segno di Zorro (Capitan Martin) di Mario Caiano, Goliath, noto anche come L’eroe di Babilonia (Zairo, re di Persia) di Marcellini; al 1964 Totò contro il pirata nero (il pirata Nero) di Fernando Cerchio, Sansone e il tesoro degli Incas (Jerry Damon) di Piero Pierotti, Sandokan alla riscossa (Sir Charles Brook) e Sandokan contro il leopardo di Sarawak (idem) di Capuano, Ercole contro i tiranni di Babilonia (re Phaleg) di Domenico Paolella; al 1965 Golia alla conquista di Bagdad (Yssour) di Paolella. Si dedicò con successo anche alla musica leggera: con Lola vendette più di un milione di dischi.
Nel 1965 ritornò sulle scene, anche se con un ritmo ridotto che andò scemando dopo il 1970. Si accostò a parti per baritono: Faraone nel Mosè (Basilica di S. Maria degli Angeli, Roma, 1968), Don Carlo nell’Ernani (teatro de la Zarzuela, Madrid, 1968), Gianciotto nella Francesca da Rimini di Rachmaninov (RAI di Roma, 1969), Rodrigo nel Don Carlo (La Fenice, Venezia, 1969), Francesco Moor nei Masnadieri (RAI di Torino, 1971), Scarpia nella Tosca (Caracalla, Roma, 1973), Macbeth nell’opera omonima, diretto da Riccardo Muti (Firenze, Comunale, 1975). Affrontò parti di basso cantante della produzione del primo Ottocento, il Duca Alfonso nella Lucrezia Borgia (Napoli, S. Carlo, 1966), Assur nella Semiramide (RAI di Roma, 1968), Capellio nei Capuleti e i Montecchi, diretto da Claudio Abbado (Scala, 1966, poi in tournée all’Aja, Amsterdam, Rotterdam e Utrecht). Continuò a praticare un repertorio eterogeneo, dalla Didone abbandonata di Niccolò Piccinni (Jarba; RAI di Napoli, 1969), al Don Giovanni (Città del Messico, 1966; Grand Théâtre, Ginevra, 1967), al Castello di Barbablù (Comunale, Firenze, 1968), alla Clitennestra di Pizzetti (Agamennone; Scala e S. Carlo, 1965; Opera di Roma, 1969), all’Oedipus rex (Opera di Roma, 1971), all’Idiota di Luciano Chailly (Ragozin; RAI di Milano, 1971), alternando parti serie e buffe, come Mustafà nell’Italiana in Algeri (RAI di Torino, 1968, con Marilyn Horne), e debuttando nel ruolo eponimo del Falstaff (RAI di Roma, 1969). Chiuse la carriera nel 1979 con Il matrimonio segreto di Cimarosa (Don Geronimo, Teatro Verdi, Pisa).
Morì a causa di un ictus il 26 gennaio 1985 a Città della Pieve, in Umbria, dove la famiglia si era trasferita da Roma.
Nel panorama del teatro lirico del secondo dopoguerra Mario Petri è un singolare esempio di cantante-attore, che, forte di un’indubbia musicalità e di una vivace personalità, sfruttando le sue particolari doti sceniche, ha saputo affrontare con importanti risultati un repertorio eterogeneo e amplissimo. Petri ha così compensato i limiti di una vocalità che, pur pregevole, non avrebbe potuto rivaleggiare con quella dei bassi e dei baritoni dotati di voci più importanti e di un più completo dominio tecnico. Ha dato vita a interpretazioni riuscite, soprattutto quella di Don Giovanni, memorabile per l’incisivo ritratto del personaggio ottenuto attraverso il trucco, gli sguardi, i gesti, il portamento, la scolpitura della parola, il fraseggio vivo e partecipato, come è possibile osservare nella versione televisiva realizzata nell’aprile 1960 negli Studi RAI-TV di Roma.
Fonti e Bibl.: Enc. della musica, V, Milano 1972, p. 22; Enc. Bompiani, Musica, XIII, Milano 1985, p. 465; R. Celletti, Il teatro d’opera in disco: 1950-1987, Milano 1988, pp. 125, 148, 178, 432, 514, 730, 1015; K.J. Kutsch - L. Riemens, Großes Sängerlexikon, IV, Bern-München 1997, p. 2719; E. Gara, Orfeo minore. Viaggio nel mondo dell’opera, a cura di M. Boagno, Parma 1996, pp. 319, 341; E. Giudici, L’opera in CD e video, Milano 20073, ad ind.