PERAGALLO, Mario
PERAGALLO, Mario. – Nacque a Roma il 25 marzo 1910 da Cornelio, facoltoso uomo d’affari, e da Matilde Fioranti.
Entrambi i genitori, genovesi, avevano avuto figli da precedenti unioni (due, Alberto e Giovanni, i figli di primo letto di Cornelio; uno, Vittorio, di Matilde) ed erano appassionati di musica: il padre fu presidente dell’Accademia filarmonica romana dal 1944 al 1950, la madre si dilettava di canto.
Fu avviato allo studio della composizione con Vincenzo Di Donato e del pianoforte con Francesco Baiardi. Si distinse precocemente nella cerchia dei ‘Dorici’, il gruppo dei giovani compositori che gravitavano nell’orbita di Di Donato: il debutto avvenne con Adagio, per orchestra d’archi e arpa, nell’ambito della stagione concertistica 1925-26 dell’Accademia filarmonica romana (Di Donato ne era stato direttore artistico per le due precedenti stagioni e dal 1920 guidava la classe di Esercitazioni orchestrali); nella collezione Dorica, presso le edizioni De Santis di Roma, videro la luce le sue prime composizioni, a partire dal 1927; la Rassegna dorica, la rivista fondata dallo stesso Di Donato nel 1929, ne seguì e ne sostenne assiduamente tutta la prima fase della carriera.
Peragallo acquisì ampia notorietà soprattutto come autore di teatro musicale. Alla prima opera, Ginevra degli Almieri, cominciò a lavorare agli inizi degli anni Trenta, avvalendosi della collaborazione di un drammaturgo di fama e di consumata esperienza librettistica quale Giovacchino Forzano: questi riscrisse, rendendola funzionale alla nuova destinazione, la propria «leggenda fiorentina del secolo XIV in versi popolari», dallo stesso titolo, che era stata rappresentata per la prima volta al teatro Eden di Milano il 24 dicembre 1926 e pubblicata a Firenze l’anno successivo. Il melodramma, che debuttò al teatro Reale dell’Opera di Roma il 2 febbraio 1937 sotto la direzione di Tullio Serafin, riscosse un significativo successo di pubblico, lasciando tuttavia alquanto tiepida la critica. Analoghe reazioni suscitò il suo secondo lavoro drammatico, Lo stendardo di San Giorgio, su libretto ancora di Forzano, che andò in scena il 9 marzo 1941 al Carlo Felice di Genova.
Gli anni della seconda guerra mondiale coincisero con profondi cambiamenti nella vita personale e artistica di Peragallo. Dall’unione con Fiora Ginanni nacquero Giovanna (Perla) nel 1943, Orietta nel 1945 e Stefano nel 1947. Dopo un silenzio di circa cinque anni, nell’immediato dopoguerra Peragallo tornò a comporre su basi stilistiche e poetiche profondamente rinnovate. Primo frutto del cambiamento fu il madrigale scenico La collina, su testi tratti dalla Spoon River anthology di Edgar Lee Masters nella traduzione italiana di Fernanda Pivano. Accolto con vivo interesse al Festival di musica contemporanea di Venezia del 1947 (dove fu eseguito con scene e costumi, ma senza movimento scenico, il 27 e il 28 settembre, sotto la direzione di Antonio Pedrotti), nel maggio 1951 il madrigale ebbe la sua prima completa realizzazione scenica italiana, alla Scala di Milano, regista Giorgio Strehler, direttore Nino Sanzogno.
Avvicinatosi alla dodecafonia, Peragallo si impegnò personalmente nel divulgare l’opera di Arnold Schönberg: come segretario della neoistituita Sezione per la musica contemporanea dell’Accademia filarmonica romana, organizzò la tournée che, tra l’aprile e il maggio 1947, permise al pubblico di nove città italiane (Roma, Perugia, Genova, Torino, Milano, Venezia, Brescia, Bologna, Firenze) di ascoltare la recente Ode to Napoleon Buonaparte insieme a Pierrot lunaire, quest’ultimo non più eseguito in Italia dopo la storica tournée promossa dalla Corporazione delle nuove musiche nel 1924. Fu inoltre tra i partecipanti ai lavori del primo Congresso internazionale per la musica dodecafonica (Milano, maggio 1949).
Al teatro musicale tornò con La gita in campagna, un atto unico su un libretto che Alberto Moravia aveva tratto dal proprio racconto Andare verso il popolo. Rappresentato alla Scala il 25 marzo 1954 (direzione di Sanzogno, regia di Strehler, bozzetti di Renato Guttuso), suscitò scandalo, in particolare per l’inedita commistione dei registri espressivi (neorealistico, grottesco, satirico) e le novità della messinscena, giudicate provocatorie. La veemenza delle reazioni del pubblico indusse Peragallo a ritirare l’opera dopo la seconda recita, ma ciò non impedì che fosse ripresa più volte in Germania, quindi negli Stati Uniti e ancora in Italia.
Oltre che nel teatro, Peragallo ottenne risultati di particolare rilievo in ambito strumentale e corale, a partire dalla Musica per doppio quartetto d’archi, eseguita all’Accademia filarmonica romana il 19 aprile 1948, e dal Concerto per pianoforte e orchestra, interpretato da Arturo Benedetti Michelangeli alla Biennale veneziana del 1949. All’apice di questa fase si collocano il Concerto per violino e orchestra, composto tra il 1953 e il 1954 (vinse il Concorso internazionale bandito in occasione del Convegno internazionale di Musica contemporanea, tenutosi a Roma nell’aprile 1954) e In memoriam: Corale e Aria, presentato nel settembre 1955 al XVIII Festival internazionale di musica contemporanea di Venezia.
Tra il 1950 e il 1953 Peragallo fu direttore artistico dell’Accademia filarmonica romana. Fu tra i più attivi sostenitori della rinascita della Società italiana di musica contemporanea, le cui attività si erano interrotte allo scadere degli anni Trenta con il precipitare degli eventi politici internazionali e lo scoppio della guerra: ne fu segretario (dal 1950 al 1956), indi presidente (fino al 1960 e, dopo un breve intervallo in cui la presidenza passò a Roman Vlad, dal 1963 al 1985). Il trentennio scarso della sua presidenza fu caratterizzato da un’attività organizzativa complessivamente fervida, con stagioni concertistiche ricche delle novità internazionali più significative, non per questo dimentiche del Novecento storico. Coincise tuttavia, per quasi un ventennio, con un nuovo silenzio compositivo, durante il quale Peragallo si limitò a concepire alcuni progetti (tra i quali quello di una «sequenza drammatica in due tempi, venti azioni sceniche e due intermezzi», Mercato di stracci, da una sceneggiatura cinematografica di Dylan Thomas, di cui arrivò a stendere testo e didascalie sceniche). Alla composizione tornò sullo scorcio degli anni Settanta, sull’onda dell’emozione per la scomparsa (19 febbraio 1975) dell’amico Luigi Dallapiccola, con Emircal, per grande orchestra e nastro magnetico (il titolo è il retrogrado della parola lacrime): ultimata nell’aprile 1980, questa «sequenza in 12 episodi» fu eseguita al Maggio musicale fiorentino di quello stesso anno sotto la direzione di Luciano Berio.
Rimasto vedovo nel 1979, Peragallo si risposò oltre un decennio più tardi, con Anna Cudin.
Morì a Roma il 23 novembre 1996.
La sua attività compositiva si dispone lungo tre distinti archi cronologici, tra loro separati da ampie cesure. Gli esordi si inquadrano nel contesto di una melodicità di marca postverista, i cui modelli sono stati individuati in Zandonai e nell’ultimo Puccini.
Il rinnovamento postbellico investì più fronti, a partire da una nuova concezione del teatro. Con La collina, Peragallo abbandonò il modello operistico di tradizione italiana in favore di una struttura a sette pannelli solistici, incorniciati da un’introduzione e da un finale corali, il cui archetipo andrà ricercato nelle innovazioni drammaturgiche del Malipiero delle Sette canzoni. La scrittura è frutto di un radicale aggiornamento linguistico, che ripensa in modo originale i diversi insegnamenti del neoclassicismo europeo (Stravinskij, Hindemith, Poulenc), integrandoli con un uso alquanto libero e ‘per zone’ della scrittura dodecafonica, e che individua nelle risorse della scrittura contrappuntistica il terreno di ricerca elettivo.
Negli anni immediatamente successivi, l’interesse si concentrò sulla musica strumentale, ambito che gli permise di perlustrare in modo più approfondito e coerente le logiche della composizione con il sistema dei dodici suoni. Dopo l’omogeneo lirismo della Musica per doppio quartetto d’archi e la brillante incisività del Concerto per pianoforte, che non si sottrae a un certo decorativismo di genere, Peragallo si impose un maggiore rigore con la Fantasia per orchestra (1950). Se ne allontanò presto, tuttavia, avendo individuato la propria cifra stilistica in una scrittura che, nel perseguire chiari valori espressivi, integra l’aggiornamento e la coerenza dei materiali, derivati ora da un’unica serie dodecafonica, con l’uso di tecniche più tradizionali di costruzione su base tematica. Dopo la riuscita del Concerto per violino, con In memoriam: corale e aria, Peragallo contribuì al filone della ‘neocoralità’ novecentesca, coltivato in particolare da Dallapiccola e Goffredo Petrassi e giudicato da taluni l’apporto italiano di maggior interesse al panorama musicale internazionale coevo. In memoriam consiste in un dittico di due distinte composizioni, nate in momenti diversi. La prima parte, Corale, è la rielaborazione per coro e orchestra del suo De profundis per coro a cappella, composto nel 1952 in memoria del padre; nella seconda, Aria, Peragallo intona uno stralcio della lettera di condoglianze inviatagli da Dallapiccola in occasione della morte della madre. Fatta salva la comune impostazione, secondo la quale «il materiale seriale è distribuito verticalmente nelle voci corali mentre lo strumentale, instaurando con quelle una correlazione singolare, lo riutilizza in figure ritmiche autonome, nelle quali sono presenti suoni aggiunti e, per così dire, di passaggio» (Zanetti, 1997, p. 597), Aria mostra una costruzione più omogenea e continua, e un maggior interesse verso le risultanti delle combinazioni di voci e strumenti.
Senza rinunciare alla propria caratteristica ‘discorsività’, Peragallo si addentrò quindi nello studio della formazione di architetture sonore e nell’esplorazione delle risorse timbriche, segnando ulteriori avanzamenti linguistici con Forme sovrapposte per orchestra (1959) e con Vibrazioni per flauto, pianoforte e tiptofono (1960). Omaggio al moderno virtuosismo flautistico incarnato da Severino Gazzelloni, queste ultime si avvalgono anche di una nuova fonte sonora, una sorta di carillon di percussioni di varia natura, a intonazione indeterminata, inventato dallo stesso compositore.
Oltre a riaprire la strada dell’attività compositiva, che Peragallo avrebbe percorso in modo relativamente costante per un decennio ancora, Emircal testimonia il nuovo interesse per le risorse elettroniche: sul nastro magnetico, che scorre per la durata pressoché completa del brano, talvolta isolato, più spesso associato all’esecuzione dal vivo, sono registrate e manipolate molte ‘voci’ familiari a Dallapiccola (tra le principali: il violino di Sandro Materassi, il violoncello di Amedeo Baldovino, il canto di Magda László), ma si ascoltano anche suoni di sintesi, come quelli deputati a ricreare l’effetto terrificante del crepitio delle fiamme della cremazione, nel decimo episodio (Verwandlung). Il nastro magnetico è impiegato ancora in Perclopus (abbreviazione di «Per clarinetto opus») del 1982, per clarinetto concertante, quintetto di fiati e quintetto d’archi.
Oltre alle composizioni citate, il catalogo di Peragallo comprende le seguenti opere edite (tra parentesi l’anno di edizione): Lento, per orchestra d’archi (1927); Composizione, per pianoforte (1927); Balletto, per pianoforte (1929); Quartetto 1934, per archi (1934); Allegro giocoso, per pianoforte (1934); Quartetto, per archi (1937); Concerto, per orchestra (1939); Venezia mia: beguine serenata, per pianoforte (1957); La parrucca dell’imperatore, ovvero Si muore, d’amore, rondò scenico (testo di Gianfranco Maselli, 1959); Tre ricercari sul totale cromatico, per pianoforte a quattro mani (1987); Invenzioni a due voci, per pianoforte a quattro mani (1988); Niente di nuovo, suite per clarinetto e pianoforte (1990); Tre numeri di musica, per violoncello e pianoforte (1992).
Tra le opere inedite: Sinfonia lirica, per canto e archi (1928-29); La rosa, per voce e pianoforte (1928-29); Mottetto, a 4 voci (1928-29); Mirthfull, per 13 strumenti (1928-29); Corale, preludio e fughetta (1928-29); Quartetto 1933, per archi (1933); commento sonoro al film Villafranca di Giovacchino Forzano (1934); Concertino, per violino, viola, violoncello e pianoforte (1935); Favoletta, per voce e pianoforte (1939); Ave Maria, per voce e pianoforte (1941); L’incubo per voce e pianoforte (1943).
Fonti e Bibl.: R. Vlad, Storia della dodecafonia, Milano 1958, pp. 227-232; M. Mila, in Enciclopedia dello spettacolo, VII, 1960, coll. 1844-1846; A. Quattrocchi, Storia dell’Accademia filarmonica romana, Roma 1991, pp. 183-251; R. Zanetti, M. P. musicista moderno “con juicio”, in Gli anniversari musicali del 1997, a cura di P. Pedarra - P. Santi, Milano 1997, pp. 579-607; R. Zanetti, SIMC. Storia della Società Italiana di Musica Contemporanea dalla fondazione al 2001, Milano 2004, pp. 22-81; F. d’Amico, M. P.: la collina (1947), in Id., Forma divina. Saggi sull’opera lirica e sul balletto, a cura di N. Badolato - L. Bianconi, II, Firenze 2012, pp. 432-434.