PAVESI, Mario
PAVESI, Mario. – Nacque a Cilavegna (Pavia) il 29 dicembre 1909 da Luigi e Carolina Falzoni, secondogenito di tre figli.
Obbligato a liquidare la piccola fabbrica di carri agricoli fondata dal padre, Luigi aveva avviato un’attività di panetteria, aprendo una bottega in cui lavoravano la moglie e il figlio Pietro (1907-1981); Mario, invece, trascorse gli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza come commesso in un negozio di tessuti a Mortara (Pavia). Brillante e ambizioso, fu poi assunto in qualità di commesso viaggiatore presso la Fratelli Terrani di Antonio, una torrefazione che – sempre a Mortara – vendeva localmente caffè macinato a marca PortMoka. L’attività di vendita presso caffè e botteghe di alimentari permise al giovane Mario di impratichirsi nell’arte del commercio all’ingrosso, un’attività che, di lì a poco, lo avrebbe visto impegnarsi in proprio nel commercio di ‘coloniali’.
Nel 1934 Mario, insieme al fratello Pietro e alla sorella Ambrogina (1916-1976), si trasferì a Novara, il principale centro urbano della regione, dove rilevò una pasticceria in corso Cavour. Nella fiorente cittadina, posta in posizione commerciale strategica e con una popolazione in costante e rapida crescita (alla metà degli anni Trenta contava oltre 60.000 abitanti), Pavesi, oltre alla produzione artigianale di pasticceria, continuò a dedicarsi al commercio di coloniali, prodotti da forno, dolciumi e caffè. Nel 1936, inaugurò un nuovo forno, di più ampie dimensioni collocato nelle vicinanze della stazione ferroviaria, in via dei Caccia; e, alla vigilia della seconda guerra mondiale, ne aprì un terzo, in via Monte Ariolo, in spazi decisamente più ampi all’interno del quale lavoravano una decina di operai.
Il progressivo ampliarsi dell’attività artigianale di Pavesi era conseguenza di scelte imprenditoriali che avevano visto affiancare alla produzione del pane quella di altri prodotti da forno, tra cui una specialità tradizionale locale, i ‘biscottini di Novara’; una specialità che prese a commercializzare in maniera sempre più capillare e sempre meno ‘artigianale’.
Il trasferimento nel piccolo stabilimento di via Monte Ariolo nel 1939 segnò, infatti, l’avvio della vera e propria attività industriale, con l’iscrizione della ditta Mario Pavesi nei registri della locale Camera di Commercio. Grazie anche al sostegno e agli incentivi della committenza militare e civile, maturò il passaggio da bottega a fabbrica, che permise all’impresa continuità di produzione nonostante i razionamenti. Gli anni del conflitto furono fondamentali per la maturazione imprenditoriale di Pavesi, non solo per la trasformazione in senso industriale di un’attività tradizionale, ma anche per le suggestioni derivate dall’incontro con modelli di consumo differenti da quelli diffusi all’epoca. Un ruolo rilevante ebbe, in questo processo, l’occupazione alleata e il primo contatto con attitudini di consumo che anticipavano quelle che, di lì a poco, si sarebbero affermate nella fase del ‘miracolo economico’. La fine del conflitto trovò Pavesi – dopo il matrimonio con Mariuccia Lodigiani (1922), una giovane contabile che dapprincipio aveva affiancato il marito e dalla quale avrà tre figli, Pier Luigi (1944), Ettore (1947) ed Elisabetta (1956) – in posizione discretamente affermata, ma in un settore ancora polverizzato e nel quale dominavano mercati locali, caratterizzati da consumi medi comparativamente bassi rispetto ad altri Paesi industrializzati.
Al censimento del 1951 l’industria alimentare e delle bevande contava in Italia quasi 78 mila unità locali e circa 360 mila addetti, con un numero medio di impiegati per unità pari a 4,6, di poco superiore alla media nazionale (attività commerciali incluse). Nel comparto ‘pasticceria e biscotti’ erano attivi 15.400 lavoratori circa, il 4,3% del totale degli addetti al settore alimentare. Le imprese attive nel comparto erano di piccolissime dimensioni: sempre nel 1951, quelle che contavano più di 10 dipendenti erano un decimo del totale, e quelle con almeno 99 addetti solo l’1%. I consumi medi di prodotti da forno si attestavano intorno a una media di poco meno di due kg pro capite, contro i cinque della Francia e i dieci dell’Inghilterra. La produzione industriale di biscotti e prodotti da forno era tuttavia in rapida crescita, e nel comparto si consolidavano le posizioni di alcuni first mover caratterizzati da percorsi imprenditoriali molto simili a quelli della Pavesi, come, per esempio, la Motta e l’Alemagna, oltre ai concorrenti più diretti dell’azienda novarese, come Saiwa, Colussi, Doria e Lazzaroni, anch’esse attente ad avviare la trasformazione da botteghe artigianali a fabbriche nel corso degli anni Trenta.
La storia imprenditoriale di Pavesi subì una svolta radicale all’indomani della guerra e della fase dell’emergenza alimentare. Dopo la divisione dal fratello Pietro, al quale restò l’attività di commercio di coloniali, Mario investì con decisione in ambito produttivo, con la progettazione (e il brevetto) di un impianto semiautomatico per il biscottificio, trasferito in uno stabilimento più ampio in largo Leonardi, sempre a Novara.
La nuova linea di produzione era funzionale a modifiche del prodotto che ne facilitavano la commercializzazione ad ampio raggio. I ‘biscottini’ venivano infatti proposti in maniera differente dalla pratica seguita dagli altri artigiani locali. Le innovazioni riguardavano aree di più diretto impatto sul consumatore finale, come il packaging (i biscotti di Pavesi erano di ridotte dimensioni, confezionati in pacchetti anziché venduti nelle tradizionali scatole di latta da 5 kg) e la comunicazione pubblicitaria, finalizzata appunto a far conoscere il prodotto al di fuori dei confini regionali, e a trasformarlo da specialità locale a prodotto di consumo nazionale.
Decisivi per consolidare in Pavesi la consapevolezza del ruolo strategico giocato dalla comunicazione furono i viaggi compiuti dall’imprenditore negli Stati Uniti all’inizio degli anni Cinquanta, durante i quali ebbe modo di intuire le potenzialità insite nell’affermazione di modelli di consumo alimentare moderni. Si mostrò precocemente sensibile all’impiego di comunicatori professionisti e disposto a investire somme anche significative in campagne di comunicazione, tanto che nella motivazione a sostegno della sua nomina a Cavaliere del lavoro, il 2 giugno del 1955, verrà esplicitamente sottolineato il suo contributo «ad elevare il settore della ‘pubblicità’ dandovi un particolare carattere psicologico ed artistico».
All’aprirsi degli anni Cinquanta Pavesi, dunque, con la consulenza di Mario Bellavista, rinomato pubblicitario, diede avvio a una campagna di comunicazione sostenuta da un budget consistente (circa venti milioni di lire dell’epoca). La pubblicità, che sfruttava ogni canale disponibile, dalla stampa, alla radio, al cinema e, in seguito, alla televisione – ma che rimaneva in tutti i casi di carattere sostanzialmente regionale e limitata a quanti transitavano per l’autostrada Milano-Torino – venne presto estesa al territorio nazionale. Al centro della comunicazione vi erano i Pavesini (i ‘biscottini di Novara’ così rinominati, al fine di sottolineare l’avvenuta delocalizzazione del prodotto) destinati principalmente al consumo di bambini e adolescenti; inoltre Pavesi ebbe cura di mantenere il prodotto a un prezzo conveniente, adeguato agli stili di consumo, ancora sobri, del periodo precedente il boom economico.
Ne resta traccia nei manifesti pubblicitari, molti dei quali realizzati dai più noti grafici dell’epoca, da Gino Boccasile al novarese Aldo Beldì, abili a sottolineare gli aspetti nutritivi e salutari del biscotto: «I Pavesini portano ai bimbi le prodigiose proteine dell’uovo», «Pavesini: sani, leggeri, nutrienti», «Uova + zucchero = biscottini di Novara Pavesi», «L’uovo è un elemento vitale. L’uovo è la base dei Pavesini», sino al famosissimo «È sempre l’ora dei Pavesini», slogan coniato nel 1958 da uno dei più noti pubblicitari italiani, Erberto Carboni.
La spinta potente alle vendite, data dall’efficacia del messaggio pubblicitario, richiese uno sforzo di ammodernamento delle strutture produttive, concretizzatosi nell’ulteriore ampliamento dell’azienda con l’inaugurazione, nel 1954, dello stabilimento di corso Vercelli, in cui si concentrerà la produzione della Pavesi (nel 1953 divenuta società per azioni sotto la ragione Pavesi Biscottini di Novara SpA) negli anni del miracolo economico. Fu parimenti necessaria un’intensificazione dello sforzo commerciale, con la costruzione di una rete capillare su tutto il territorio nazionale, basata su filiali regionali e depositi. La formazione della forza di vendita era seguita con meticolosità; agli agenti, organizzati gerarchicamente su base territoriale, erano assegnati precisi target, i risultati monitorati con attenzione e gli incentivi commisurati a questi ultimi. A loro volta, i negozianti venivano incoraggiati a porre bene in evidenza i prodotti dell’azienda novarese, grazie anche alla realizzazione di espositori monomarca e a richiami pubblicitari all’interno del punto vendita.
Parallelamente alle iniziative finalizzate alla diffusione del prodotto trainante sul mercato italiano, Pavesi andava esercitando il proprio genio imprenditoriale anche in altre direzioni. La prima puntava a sfruttare le economie di diversificazione insite nella struttura produttiva e commerciale esistente, inserendo nelle linee di produzione prodotti quali i cracker – per la cui fabbricazione si avvalse di know-how statunitense, stabilendo un accordo di collaborazione con la Sunshine Biscuits – e cominciando a sperimentare la possibilità di produrre biscotti farciti (realizzata poi, alla fine degli anni Sessanta, con il lancio dei biscotti ‘Ringo’), e biscotti con copertura di cioccolato (i ‘Togo’, prodotti e commercializzati all’inizio del decennio seguente). La seconda strategia posta in atto era di stampo commerciale. Già dall’immediato dopoguerra la Pavesi si era mostrata sensibile a iniziative pubblicitarie eterodosse. Alla fine degli anni Quaranta era stato aperto alla periferia di Novara, in frazione Veveri, a ridosso del sedime dell’autostrada Milano-Torino, un chiosco per la ristorazione e soprattutto per la vendita dei prodotti Pavesi agli automobilisti in transito. Il chiosco, impreziosito dalle strutture progettate dall’architetto Angelo Bianchetti (1911-1994), specializzato in edilizia industriale, costituì la base per la futura espansione dell’azienda nel ramo della ristorazione autostradale.
Lo sviluppo del traffico automobilistico, e in particolare autostradale, conobbe in Italia un repentino balzo in avanti nel corso degli anni Cinquanta. Il desiderio di movimento sorretto dalla motorizzazione di massa che caratterizza gli anni del boom economico trovò un suo naturale sbocco nella rete autostradale preesistente la guerra, incentivando nel contempo nuovi programmi di investimento. Il 1956 segnò la nascita del moderno concetto di rete autostradale, con l’avvio – da parte della Società autostrade del gruppo IRI – della costruzione dell’Autostrada del Sole, l’arteria principale di connessione viabilistica dell’Italia di quegli anni. La ristorazione autostradale si prospettò, da subito, come un business fiorente, in cui era però indispensabile agire con rapidità per acquisire posizioni dominanti.
Pavesi, attentissimo alle opportunità offerte dall’evolversi in senso ‘americano’ della società italiana, fu tra i primi a posizionarsi nel settore degli autogrill. Nel 1952, sempre sotto la supervisione di Bianchetti, avviò l’ampliamento del chiosco di Veveri, intraprendendo un programma sistematico di realizzazione di aree di ristoro sulle principali arterie già in esercizio: la Milano-Bergamo-Brescia (Bergamo), la Milano-Laghi (Lainate), la Genova-Serravalle (nei pressi di Ronco Scrivia). Queste strutture rappresentavano un ulteriore segno dell’incipiente americanizzazione della società italiana: ispirate alla catena di motel, ristoranti e grill Howard Johnson’s, riproponevano le medesime strutture standardizzate arricchite di particolari avveniristici, forme circolari e grandi vetrate. Tra il 1959 e i primi anni Sessanta, la Pavesi seguì la progressiva realizzazione dell’autostrada del Sole con la costruzione di modernissimi ristoranti ‘a ponte’: nel 1959 fu realizzato quello di Fiorenzuola d’Arda (PC); nel 1962, completamente rinnovato quello di Novara; nel 1964 fu la volta di Fiano Romano e nel 1967 di Montepulciano. In questa frenetica attività la Pavesi anticipò la concorrenza, dato che la Motta attese il 1962 per aprire l’area di Cantagallo, alle porte di Bologna, mentre l’Alemagna era in netto ritardo.
L’affiancarsi delle iniziative nel campo della ristorazione autostradale all’attività industriale vera e propria ebbe rilevanti ripercussioni sulla struttura dell’impresa; i dati di bilancio, disponibili con una certa precisione a partire dalla trasformazione della ditta individuale in società per azioni, nel 1953, segnalano efficacemente la rapida espansione dell’impresa novarese. La Pavesi, con un capitale sociale di 10 milioni di lire, fece registrare un attivo totale di 265 milioni e una ‘cassa’ di 46. Pavesi ricoprì un ruolo egemone, unico amministratore affiancato da tre sindaci. Gli anni seguenti videro ridursi considerevolmente la liquidità dell’azienda e contemporaneamente crescere l’ammontare dell’attivo, a testimonianza di una sostenuta politica di investimenti. Nel 1956 avvenne la svolta: il capitale della Pavesi passò prima a 400 milioni, per salire poi a 1 miliardo e 400 milioni nel 1964. Tale iniezione di liquidità, prontamente riflessa nell’aumento dell’attivo e degli utili, avvenne però a prezzo di una progressiva spersonalizzazione della Pavesi che, da azienda a guida individuale, divenne una vera e propria società di capitali, caratterizzata dalla presenza di azionisti di rilievo.
Nel 1960 Pavesi era tra i consiglieri d’amministrazione, ma la presidenza della società era affidata a Enrico Barsighelli, un alto funzionario della Edison, affiancato da un notabile novarese, il senatore democristiano Antonio Bussi (consigliere, oltre che di varie aziende locali, della Banca Popolare di Novara), e da Carlo Doppieri, industriale tessile.
Gli anni Sessanta – coincidenti con la crescita più intensa e con le realizzazioni più ambiziose – furono anche quelli nei quali Pavesi cominciò a perdere il controllo della propria creatura, e delle consociate progressivamente create per gestire in maniera specializzata alcuni dei core business della Pavesi: la PAI (Prodotti Alimentari Internazionali), nata nel 1957 per produrre patatine fritte e snack salati, la PAS (Produits Alimentaires Suisses), costituita nel 1962 per il presidio dei mercati esteri, e l’EPEA (Esercizi Pasticceria E Affini), costituita all’inizio degli anni Cinquanta per la gestione della ristorazione autostradale.
Dai primi anni Sessanta, la Pavesi – collocata intorno alla 120esima posizione nella graduatoria delle principali aziende italiane per fatturato e con oltre 1300 dipendenti – tese sempre più a gravitare nel perimetro degli interessi del gruppo Edison, impegnato, in vista della nazionalizzazione del settore elettrico, in una politica di diversificazione non correlata in vari ambiti, tra cui quello alimentare e della distribuzione. Nella seconda metà degli anni Sessanta l’Italpi, una finanziaria del gruppo, controllava il 50% della Pavesi, il 48% della PAI e quasi il 42% dell’EPEA, mentre le quote di Pavesi, che restava comunque coinvolto nella gestione delle imprese da lui fondate, andavano progressivamente riducendosi, così come i suoi spazi di influenza diretta.
Nel corso degli anni Settanta l’impresa fu interessata nelle complesse manovre finanziarie che movimentarono il settore alimentare italiano. A partire dal 1972 la Pavesi, e con essa la PAI e la EPEA, seguirono le sorti dell’Italpi, ovvero del gruppo Edison.
La fusione Montecatini-Edison e la nascita del gruppo Montedison portarono alla decisione di raggruppare le attività alimentari del nuovo colosso chimico in un’unica entità, l’Alimont, che riuniva i pacchetti di controllo ex Montecatini nella Bertolli (olio), nella De Rica (conserve) e nella Bellentani (salumifici) e quelli Edison nella Pavesi, nella PAI e nell’EPEA, oltre che nella Zucca Rabarzucca, azienda produttrice di liquori rilevata dall’Italpi nel corso degli anni Sessanta. Nel 1974 l’Alimont venne rilevata per il 50% dalla Società Meridionale di Elettricità (SME), a sua volta controllata dall’IRI. La SME iniziò a diversificare i propri investimenti postnazionalizzazione nel settore alimentare agendo di concerto con la Findim della famiglia Fossati, già proprietaria della Star, che acquisì un altro pacchetto di rilievo dell’Alimont, successivamente trasformata in Alivar. La SME – che a sua volta controllava l’Unidal, in cui erano confluiti i pacchetti di controllo di Motta e Alemagna, entrate nell’orbita della finanziaria pubblica intorno ai primi anni Settanta – procedette quindi alla progressiva razionalizzazione di alcuni comparti, tra cui quello della ristorazione autostradale.
Nel 1977 l’EPEA venne così fusa insieme alle attività di ristorazione di Motta e Alemagna nella società Autogrill, mentre la produzione di biscotti da forno e snack salati (Pavesi e PAI) dovette essere coordinata con quelle del principale concorrente di un tempo, la Motta. Il tutto avvenne in un momento in cui le strategie di concentrazione in atto nel settore non riuscirono a contrastare il crollo nei consumi di prodotti dolciari causato dalla crisi economica incipiente.
Nel corso del tempo, Pavesi aveva progressivamente visto ridursi le opportunità di continuare a influenzare direttamente la gestione delle sue aziende. Le precarie condizioni di salute, andate deteriorandosi sin dalla fine degli anni Sessanta, accelerarono il progressivo distacco dai ruoli operativi. Nel 1971 portò a conclusione una decisione maturata probabilmente durante i mesi precedenti, cedendo alla Montedison le proprie quote azionarie e rilevando, nel contempo, la Rabarbaro Zucca, la cui gestione presto affidò ai figli Pier Luigi ed Ettore.
Morì a Milano il 5 febbraio 1990 e venne sepolto nella natia Cilavegna.
Negli anni immediatamente seguenti la sua scomparsa, l’azienda tornò in mani private, acquisita, a seguito della privatizzazione della SME a partire dagli anni Novanta, dalla Barilla (a tutt’oggi incaricata della commercializzare di Pavesini, cracker Gran Pavesi, biscotti Ringo e Togo). Quanto alle produzioni di snack salati a marchio PAI, esse rientrarono (e rientrano) nel gruppo alimentare milanese San Carlo, mentre la società Autogrill è parte del Gruppo Benetton.
Fonti e Bibl.: La stesura della presente voce ha largamente beneficiato di un’intervista concessa dal figlio di Mario Pavesi, Pier Luigi, all’autore a Milano in data 8 gennaio 2014.
Un discreto numero di informazioni si può rinvenire nell’Archivio della Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro, fasc. M. P. Al momento della redazione della voce non si è potuto invece consultare l’Archivio storico Barilla (nel quale a seguito dell’acquisizione societaria è confluito l’archivo Pavesi) chiuso per lavori di riordino. I dati di bilancio della Pavesi sono reperibili all’indirizzo http://imitadb.unisi.it/, dove è ospitato e consultabile IMITA.db - Archivio storico delle società per azioni (SpA) italiane, e nelle pubblicazioni a cura di Mediobanca, Il Calepino dell’azionista e Le principali società italiane.
Sulla figura di Mario, anche La Settimana Incom 02484, 12/06/1964, Mangiare è difficile. Convegno sull’alimentazione a Novara, parla Mario Pavesi; sull’azienda, i cinegiornali Caleidoscopio Ciac C1194, Obbiettivo sulla cronaca. Autogrill Pavesi 29/12/1959, e Panorama Cinematografico PC238 Fiera. Milano: La 48a Fiera di Milano 04/1970.
I tratti biografici di Pavesi sono oggetto di un’ampia pubblicistica per lo più locale, mentre la letteratura scientifica rimane ancora piuttosto lacunosa sul tema dell’evoluzione del settore alimentare italiano. Un inquadramento generale è fornito dal saggio di G. Gallo - R. Covino - R. Monicchia, Crescita, crisi, riorganizzazione. L’industria alimentare dal dopoguerra ad oggi, in Storia d’Italia. Annali 13. L’alimentazione, a cura di A. Capatti - A. De Bernardi - A. Varni, Torino 1998, pp. 271-345. Una vivida descrizione del quadro degli anni Settanta emerge da A. Silvio Ori, Dove va l’industria alimentare italiana? Anatomia di una crisi, Modena 1973.
Sulla Pavesi, oltre a quanto conservato presso l’Archivio storico Barilla, può essere utile consultare il volume a cura di G. Gonizzi, L’Italia dei Pavesini. Cinquant’anni di pubblicità e comunicazione, Parma 1997 e Id., 125 anni di pubblicità e comunicazione, Milano 2002, 3 voll. con bibliografia completa. Le vicende relative alla Società Autogrill sono narrate nel volume di S. Colafranceschi, Autogrill. Una storia italiana, Bologna 2007; anche il lavoro di L. Greco, Architetture autostradali in Italia. Progetto e costruzione negli edifici per l’assistenza dei viaggiatori, Roma 2010, in particolare le pp. 89-142. Per la storia della Pavesi all’interno del gruppo SME: L. Sicca, Strategia d’impresa. La formazione di un gruppo italiano: la Sme, Milano 1987.