PANICONI, Mario
PANICONI, Mario. – Nacque a Roma il 1° maggio 1904, da Enrico e da Angela Nazzari.
Discendeva da una famiglia di architetti: il nonno, Giacomo, che aveva lavorato durante il pontificato di Pio IX, oltre a un discreto numero di opere in stile neoclassico, realizzò il municipio e la fontana della piazza principale di Cerveteri. Il padre Enrico aveva ottenuto importanti risultati in ambito sia nazionale sia internazionale, conseguendo premi in concorsi come quello per la cattedrale di Patrasso, per il palazzo della Pace all’Aia, per il palazzo del Comune di Cagliari, e aveva lavorato per l’Istituto romano di beni stabili, la società immobiliare fondata da Edoardo Talamo nel 1904 con la finalità di modernizzare l’abitazione romana.
Iscrittosi alla facoltà di architettura, nel 1929 Paniconi si laureò con il massimo dei voti presentando un progetto di edifici per la nuova fonte Anticolana a Fiuggi.
La tesi era concepita in termini urbani, quasi urbanistici: infatti, nonostante la dimensione circoscritta del soggetto di studio, disegnato con viste molto ravvicinate per mettere in evidenza materiali e dettagli decorativi, l’architettura è inserita in un contesto paesaggistico e visionario, nella quale quasi si annulla, a favore di una interazione paesaggio naturale-paesaggio costruito più facilmente comprensibile se si pensa che all’epoca di Paniconi l’urbanistica era insegnata da Marcello Piacentini il quale suggeriva agli studenti di esercitarsi in questa materia misurando l’architettura dal vero.
Appena laureato Paniconi venne nominato assistente volontario presso la Regia Scuola di ingegneria nel corso di elementi di fabbrica e nel 1931 presso la Scuola di architettura nel corso di tecnologia dei materiali e tecnica dell’architettura. Ottenne la nomina ad assistente di ruolo nel 1939, quella di libero docente in composizione architettonica nel 1952 e l’incarico nel 1963.
Il 1° aprile 1937, quando la carriera era oramai avviata, sposò Angela Maria Mandelli.
Durante il corso universitario conobbe Giulio Pediconi con il quale strinse una duratura amicizia, alimentata e rafforzata non solo dalla comune passione per l’architettura intesa come priorità assoluta, ma anche da viaggi e partecipazione a concorsi già negli anni di formazione: attività e ideali comuni che divennero la base di un sodalizio professionale che sarebbe durato per tutta la vita.
Così, anche le vacanze avevano per loro una finalità di studio: sceglievano le mete selezionando le architetture pubblicate sulle riviste alle quali erano abbonati o alle quali collaboravano. Videro da vicino l’opera di Walter Gropius e di Willem Marinus Dudok, di Erich Mendelsohn e di Erik Gunnar Asplund; si accostarono anche a quegli architetti italiani già affermati ai quali non tutta la nuova generazione si riferiva, tra cui soprattutto Giovanni Muzio, Giò Ponti e Alberto Alpago Novello. Una certa affinità elettiva con i novecentisti milanesi e con il pacato classicismo scandinavo fu fondamentale per la costruzione di un linguaggio che nel tempo divenne la cifra caratteristica del binomio Paniconi-Pediconi, che si discostò notevolmente dall’accademismo, dal modernismo e dalle varie declinazioni littorie.
Insieme, subito dopo la laurea di Pediconi (1930), diedero vita a uno degli studi professionali più attivi a Roma, che non varcò mai la dimensione artigianale, conseguendo risultati di altissimo livello. Insieme progettarono, senza che mai fosse dichiarata la paternità di uno solo dei due, salvo rare eccezioni: nel 1937, all’interno di una scelta strategica di partecipare a tre dei concorsi per l’E42, firmarono congiuntamente il progetto per la piazza imperiale, mentre Paniconi presentava una proposta per il palazzo dei congressi e Pediconi quella per il palazzo-museo delle forze armate; nel periodo di collaborazione con la SGI (Società generale immobiliare), tra il 1955 e il 1959, furono loro assegnati due incarichi separati per due nuclei di case unifamiliari a Casalpalocco (Roma). Paniconi progettò inoltre individualmente a Roma una casa a viale Aventino (1930) e la casa Ceradini a via dell’Amba Aradam (1934-36), nel periodo in cui Pediconi prestava il servizio militare.
Nei primi anni di attività fu intensa la partecipazione ai concorsi di architettura. Già nel 1930, Paniconi, insieme a Giuseppe Fioretti, coinvolse Pediconi nel concorso per un gruppo di palazzine per l’INCIS (Istituto nazionale per le case degli impiegati dello Stato) di Roma. Il progetto ottenne un premio e il ricavato venne utilizzato per un viaggio in treno fino a Costantinopoli, ancora una volta dedicando all’architettura il tempo libero. Il secondo concorso in ordine di tempo, che Paniconi e Pediconi affrontarono quello stesso anno come azione fondativa dello studio, fu per la Cassa di Risparmio di Foligno e vinse il primo premio. Ancora nel 1930 parteciparono e vennero premiati al concorso per la Palazzata di Messina.
Paniconi fu uno degli architetti più in vista durante il fascismo, anche se si tenne sempre distante da questioni ideologiche. Fu membro del direttorio nazionale del sindacato architetti (1932-33) e di quello regionale del Lazio (1931-33); fu tra i fondatori del RAMI (Raggruppamento architetti moderni italiani), movimento ispirato da Alberto Calza Bini, all’epoca segretario del sindacato degli architetti fascisti, che promuoveva un compromesso fra le idee del Movimento moderno e la tradizione architettonica italiana. Fu inoltre redattore delle riviste Architettura, fin dal 1932, e Prospettive, la rivista fondata nel 1939 e diretta da Curzio Malaparte. Nel 1934 fu tra i fondatori dell’INU (Istituto nazionale di urbanistica) e dal 1945 fece parte della redazione della rivista Urbanistica. La ricca produzione di Paniconi in questo settore spaziò dalle proposte per alcune parti della città di Roma, alle partecipazioni ai concorsi per le città di fondazione, al piano di ricostruzione di Orbetello e Porto Santo Stefano e a quello di Macerata, elaborato con Gaetano Minnucci, il primo, e con Giuseppe Perugini il secondo.
Gli inizi della carriera di Paniconi si svolsero in un periodo cruciale per la rifondazione del ruolo dell’architetto in Italia, al centro di una vera e propria strategia urbanistico-architettonica: quella di rappresentare modernità e fasto del regime. Il punto di non ritorno fu il 1932, anno del decennale della marcia su Roma, celebrato con la mostra della rivoluzione fascista al Palazzo delle Esposizioni, che mentre acclamava con la facciata di Adalberto Libera e Mario De Renzi l’architettura moderna quale arte di Stato, di fatto ne decretava la fine, almeno a Roma, favorendo uno stile littorio che continuava a dichiararsi moderno. Il 1932 è anche l’anno della mostra di architettura moderna e arredamento del RAMI, che vide Paniconi tra i protagonisti principali, e che una parte della critica ritiene fosse una sorta di risposta polemica alle due mostre del MIAR (Movimento italiano per l’architettura razionale). Il dibattito, più che un contrasto tra razionalisti e tradizionalisti, faceva emergere uno scontro generazionale. La terza via proposta da Luigi Moretti e Paniconi, autori del manifesto del RAMI, si fece strada in questo contesto: con convinzione Paniconi perseguì un perfetto equilibrio tra tradizione e innovazione.
Nelle varie fasi storiche, dagli anni Trenta al dopoguerra, fino agli anni Sessanta con la grande committenza privata, Paniconi si pose come obiettivo il superamento delle ideologie con un linguaggio che mettesse insieme sapienza costruttiva, uso espressivo dei materiali e continuità storica come valore dell’architettura, a favore di una nuova modernità classica.
Nel decennio dal 1932 al 1942, la partecipazione ai concorsi per il ministero dei Lavori pubblici a Bari, per il palazzo dell’Economia corporativa a Pesaro e per i palazzi postali a Roma, pur ottenendo premi e buoni piazzamenti, palesò un certo distacco dai temi urbani proposti dal regime, tanto che Paniconi non fu presente ai due concorsi per il palazzo del Littorio, che si rivelarono tanto decisivi in ambito nazionale da far emergere le personalità più interessanti del momento. In questa prima parte della stagione fondativa, fu più forte l’interesse per le tipologie innovative e per la sperimentazione: nel 1933 partecipò alla V Triennale di Milano con il progetto Casa di campagna per un uomo di studio (con Pediconi, Moretti, Luciano Tufaroli e Igino Zanda). In questa opera sono presenti figure geometriche incorniciate da un grande portale che inquadra l’ingresso, elementi tipici del linguaggio razionalista, insieme a echi novecentisti (in Architettura, 1933, fasc. speciale, pp. 49-51).
Qualche anno dopo, per la mostra autarchica del minerale italiano al Circo Massimo (Roma 1938) l’allestimento del padiglione dei combustibili liquidi e gassosi consisteva in un traliccio rappresentante la torre di trivellazione, che rompeva il ritmo regolare di esili pilastri tra i quali erano esposti apparecchi e prodotti.
Dall’incontro con il ministro plenipotenziario Piero Parini, direttore generale degli italiani all’estero e scuole, poi anche del lavoro italiano all’estero, nacque una serie di incarichi prestigiosi, a partire dall’arredamento di alcuni ambienti della direzione generale, in via Boncompagni a Roma nel 1933, fino allo studio per tre scuole all’estero: a Grenoble, a Casablanca e a Salonicco. Le ultime due furono realizzate e in particolare il liceo-ginnasio Umberto I di Salonicco, del 1933-34, oggi sede dell’Istituto italiano di cultura, è una delle architetture che esportarono lo stile razionalista italiano. Faceva parte di questo gruppo di incarichi anche la colonia marina femminile dei fasci italiani all’estero di Tirrenia (1934-36; in Architettura, dicembre 1936, pp. 577-592), una tipologia innovativa cara al regime. Il grande complesso, oggi trasformato in centro residenziale, è costituito da diversi padiglioni autonomi, collegati da passaggi coperti e porticati, composti in un impianto a pettine in stile razionalista, e da una torre cilindrica, che ricorda i cilindri tecnici delle stazioni mazzoniane e le epifaniche figure geometriche nei deserti delle pitture di De Chirico.
In quegli stessi anni, Renato Ricci, presidente dell’Opera nazionale Balilla, affidò a Paniconi e Pediconi l’incarico per la fontana del Foro italico (1935): un’ampia vasca circolare che contiene una sfera di marmo del diametro di 3 metri, simbolo dell’universalità dei giochi sportivi e delle Olimpiadi romane del 1942, che non vennero mai svolte.
Due delle opere più interessanti di questo periodo sono del 1938: il villino Pantanella a Roma, oggi demolito, e le case di abitazione INA a Latina, volumi indipendenti, ma collegati con un sistema di passaggi porticati tra giardini. È un’interpretazione della casa tradizionale che guarda ancora una volta al Rinascimento come riferimento figurativo, con le sue logge chiuse da archi sovrapposti appena accennati sui prospetti che rinforzano lo spessore del muro dandogli profondità, e risponde alle istanze autarchiche con scelte architettoniche. La ricerca sull’abitazione proseguì proprio a partire da queste case, in un momento di forzata assenza di incarichi a causa della guerra, nello studio per un Lotto misto (1942): tutta la carica ideologica fu espressa da Paniconi in un lungo testo (in Architettura, luglio 1942, pp. 1-7; Muntoni, 1987, pp. 90-95), che è un’apologia del Buon governo così come lo aveva dipinto Ambrogio Lorenzetti nel famoso affresco di Siena. L’immagine urbana stabilita dalle case di Latina si riconosce anche in un intervento molto più recente, quello del complesso di piazza Pio XI (Roma 1961-66), ove il tema della palazzina romana si evolve in un’inconsueta aggregazione.
La realizzazione delle esedre dell’INA e dell’INPS all’EUR conclude questo primo decennio dell’attività; i propilei monumentali erano un tema importante che Cipriano Efisio Oppo decise di assegnare ai giovani Paniconi e Pediconi, per i risultati positivi dei tre concorsi per l’E42, guidati da Giovanni Muzio, di esperienza collaudata. In questa occasione si creò una stretta collaborazione tra il maestro milanese, che aveva impostato il progetto di massima e si recava a Roma una volta al mese, e i romani, che sviluppavano l’idea fino al dettaglio.
Finita la guerra, la ricostruzione non fu solo una necessità materiale, ma anche un obbligo morale. Si trattava di ricominciare da capo. La codifica di un nuovo linguaggio ‘popolare’ nato nelle periferie, insieme al mito populista della casa per tutti sono il risultato e la premessa del programma settennale di costruzione di case per il lavoratori, noto con il nome di Piano Fanfani (legge n. 43/1949), che con il contributo dell’ente INA-Casa contribuì in larga misura al rilancio dell’economia del paese. Paniconi fece parte di alcuni raggruppamenti di progettisti, realizzando abitazioni a Roma, al Tuscolano e a Valco S. Paolo, e nei Comuni di Porto San Giorgio, Ferrara, Mantova, Pistoia, Monsummano, Porto Santo Stefano.
Un importante filone dell’attività professionale dello studio Paniconi-Pediconi nel dopoguerra fu a carattere religioso. La chiesa di S. Felice da Cantalice a Roma, una delle prime architetture ecclesiastiche che abbandonò l’eclettismo, è del 1934 e anticipa di un decennio l’attività svolta per conto dell’EREE (Ente per la ricostruzione dei beni ecclesiastici distrutti dalla guerra). Per questo ente, che si rivolse a un gruppo molto ristretto di professionisti, lo studio Paniconi-Pediconi svolse numerosi incarichi: notevoli sono la ricostruzione del duomo di Capua e della chiesa di Porto Santo Stefano.
Tra le architetture ecclesiastiche il maggior numero di realizzazioni fu compiuto per le congregazioni religiose – al di fuori del rapporto di collaborazione che si era instaurato con l’EREE – a partire dalla costruzione della casa generalizia dei frati minori francescani e della chiesa di S. Maria Mediatrice a Roma. L’incarico era stato offerto nel 1942 a Muzio, il quale, non potendo seguire direttamente i lavori, propose ai giovani romani con i quali collaborava all’EUR di occuparsene. In seguito l’economo generale dell’ordine, padre Dominik Mandić, li mise in contatto anche con altri ordini religiosi e nel 1947 affidò loro l’ampliamento dell’ateneo Antoniano di via Merulana. Alla fine degli anni Sessanta, esempi maturi di questa tipologia edilizia furono il collegio Serafico internazionale di Terra Santa e la Casa generalizia delle suore missionarie della Negrizia, a Roma.
Il dopoguerra e la ricostruzione, seguita dal boom economico degli anni Sessanta che fece crescere le dimensioni di città grandi e piccole, a Roma produsse un’espansione delle parti periferiche che si trovarono sprovviste di servizi e di centri di aggregazione. Il Vicariato attivò un’importante politica per la costruzione di parrocchie in queste aree. Paniconi, con Pediconi, realizzò quattro grandi chiese: la chiesa dei Sacri cuori di Gesù e Maria (1947-55), la chiesa di S. Gregorio VII (1962), la parrocchia di S. Giuseppe Cafasso al Prenestino (1968) e la chiesa della S. Famiglia al Portuense.
Negli edifici di quel periodo la scelta non fu più quella di identificarsi con un linguaggio, ma di scavare dentro le tipologie, per giungere attraverso l’architettura a un livello di rappresentatività specifica per ciascun impegno progettuale: la sede della SGI a Catania, quella per l’INA a Taranto e a Brindisi, il cinema Ariston a Lecce, come a Roma la sede dell’ANCE (Associazione nazionale costruttori edili) e quella del ministero delle Poste all’EUR, sono esempi di questa dominante comune, di progettare edifici nei quali «si riconosce l’archetipo del palazzo romano, un palazzo abituato a piegarsi alle accentuazioni stilistiche del contesto, ma capace poi di esibire una facciata che vale come sintesi dell’edificio» (Muntoni, 1987, p. 53).
Paniconi fu presidente dell’Ordine degli architetti di Roma nel biennio 1948-49 e fu insignito del titolo di Accademico di S. Luca nel 1963.
Morì improvvisamente il 24 settembre 1973 durante una gita a Frascati.
Con la sua morte si concludeva anche l’attività dello studio. Pediconi, dopo più di 40 anni di attività comune, terminò i lavori ancora in fase di esecuzione, come per esempio il ministero delle Poste all’EUR e la chiesa della S. Famiglia, per poi ritirarsi anch’egli dall’attività.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Archivio Mario Paniconi - Giulio Pediconi (consta di quasi 200 progetti ed è stato dichiarato di notevole interesse storico dalla Soprintendenza archivistica per il Lazio nel 1998); G. Ponti, Stile di P. e Pediconi, in Lo stile nella casa e nell’arredamento, Roma 1942; R. Bizzotto - L. Chiumenti - A. Muntoni, 50 anni di professione, Roma 1983, pp. 109-112, 169 s.; A. Muntoni, Lo studio P. - Pediconi 1934-1984, Roma 1987; M.L. Neri, P., M. - Pediconi, Giulio, in Dizionario dell’architettura del XX secolo, a cura di C. Olmo, V, Torino 2001, pp. 18 s.; M. Guccione - D. Pesce - E. Reale, Guida agli archivi privati di architettura a Roma e nel Lazio. Da Roma Capitale al secondo dopoguerra, Roma 2007, p.159; R. Quattrini, Il disegno di scuola romana negli anni Trenta. I progetti di concorso dello studio P. e Pediconi, in Disegnare idee e immagini, 2010, n. 41, pp. 78-89; P.O. Rossi, Roma. Guida all’architettura moderna, Roma 2012, schede 19, 38, 64, 74, 82, 91, 127; Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica, a cura di P. Portoghesi, IV, Roma 1969, p. 370.