NUZZI, Mario
NUZZI, Mario (Mario de’ Fiori). – Nacque a Roma il 19 gennaio 1603, secondo figlio di Sisto, «scriptor» di Todi, e di Faustina Salini, sorella del noto pittore Tommaso (Bartocci, 1961, p.161), che si erano sposati in S. Tommaso in Parione nel 1598 (Lucci, 2004, p. 278 nn. 35, 37).
Nel 1618 la famiglia tornò nell’originaria Penna in Teverina in Alta Sabina (ibid.), dove Sisto si dedicò alla floricoltura. Sulle rarità floreali coltivate dal padre Mario condusse, forse da autodidatta, le sue prime prove pittoriche che incontrarono un inaspettato successo sul mercato (Pascoli, 1736, p. 59) e gli valsero l’ingresso nella bottega di Salini a S. Lorenzo in Lucina, dove risulta convivente dal 1620 (L. Bartoni - Y. Primarosa, in Flora Romana…, 2010, p. 58; F. Moro, Tanti maestri un solo nome: Tommaso Salini. Gli inizi a Roma del vaso di fiori, in Studi di storia dell’arte, XXII [2011], pp. 107-144).
Alla morte di Salini, nel 1625, Nuzzi, che fu l’accorto compilatore del suo inventario (Pegazzano, 1997, p. 132), ne ereditò i numerosi clienti, coltivatori di preziosità botaniche da raffigurare, e ne terminò i dipinti incompiuti, come il gruppo dei Vasi azzurri con puttini «non finiti» (elencati nel testamento di Salini) e quattro tele ottagonali presenti sul mercato antiquario (ibid., p. 140 n. 105): l’accentuata stereometria compositiva di queste opere dà ragione della prolungata influenza di Salini su Nuzzi, nonostante la sua problematicità come fiorante (Baglione, 1642, p. 188; Moro, cit., pp. 139-141).
Nel 1628 fu censito in S. Maria del Popolo come «pittore romano, residente in vicolo della Penna» e sposato a Ortensia de Curtis; vedovo nel 1647, nell’atto di matrimonio con Susanna Passeri del 1650 fu definito «Marius, pictor romanus, vulgo Mario de’ fiori» (Lucci, 2004, pp. 278, 282 n. 45; L. Bartoni - Y. Primarosa, in Flora Romana…, 2010, p. 58).
Dalla familiarità con Salini derivò proficue relazioni con l’ambiente accademico di Cassiano dal Pozzo, promotore della migliore illustrazione botanica lincea (M. Epifani, in Fiori…, 2004, pp. 182-188; Solinas, 2010, p. 34), e con la corte barberiniana, dove conobbe Jacopo Ligozzi, Anna Maria Vaiana, Daniel Seghers, a Roma tra il 1625 e il 1627, maturando un raffinamento culturale e scientifico che gli fruttò prestigiose committenze e collaborazioni: dalle illustrazioni per l’opera del gesuita Giovanni Battista Ferrari, De florum cultura(Roma, Stefano Paolino, 1633), commissionata da Francesco Barberini, ai «Doi vasi di fiori in otto angoli bellissimi di mano di Mario pittore romano per Amedeo dal Pozzo» già in un inventario del 1634(A. Cifani - F. Monetti, in I segreti di un collezionista…, 2002, p. 49), al piccolo olio su specchio, databile al 1635 per via della massiccia cornice dorata con mascherone, per Anna Colonna Barberini, dedicataria della traduzione dal latino del De florum coltura di Ferrari (Roma, Pier Antonio Facciotti, 1638; Solinas, 2010, pp. 37, 150).
Per i Barberini dipinse, oltre alle opere di piccolo formato (Aronberg Lavin, 1975, p. 415; M. Epifani, in Fiori…, 2004), diversi ritratti, citati nell’inventario testamentario del 1673 insieme a molti altri (di Luigi XIV; del cardinal Rospigliosi; di don Mario Theodoli, databile al 1643 a ridosso della sua elezione cardinalizia): un’intensa attività ritrattistica poco nota, cui Mario de’Fiori fece fronte con successo anche grazie all’abbondante produzione di schizzi e disegni e alla complessa organizzazione della sua bottega (Montenovesi, 1950, pp. 225-235; M. Epifani, in Fiori…, 2004, pp. 189-194; sulla collaborazione con il sabino Gerolamo Troppa, Solinas, 2010, p. 40; L. Bartoni - Y. Primarosa, in Flora Romana…, 2010, pp. 62, 153).
Don Mario Theodoli e suo fratello, il marchese Alfonso, che già nel 1642 gli avevano saldato due tele con Vaso in vetro, lilium, tulipani e tagetes ancora di lezione caravaggesca (coll. privata; Solinas, 2010, p. 152), nel 1646 recarono in dono ad Anna d’Austria in Francia meravigliosi bouquet dipinti che consacrarono Nuzzi sulla scena internazionale (Id., 2007, pp. 147 ss.).
Dipinse due ritratti del letterato e collezionista Giulio Rospigliosi, futuro Clemente IX, per il quale tra il 1637 e il 1643 realizzò almeno altre sette tele. Il 5 settembre 1637 Rospigliosi inviò al fratello Camillo a Pistoia per la villa di Lamporecchio «tre quadri di fiori che in suo genere sono bellissimi», comunicandogli che «i fiori sono di Mario, nipote del Cavalier Mao che fu molto stimato et hoggi questo non gli resta punto inferiore» (7 settembre 1637; A. Negro, in Fiori…, 2004, p. 175). A questa serie possono ricondursi i due piccoli dipinti con vasi antichi in argento sbalzato della galleria Pallavicini a Roma (Solinas, 2010, pp. 37, 46 n. 60, 150 s.), in cui alla realistica tessitura luminosa ancora saliniana si accompagna, nel nucleo centrale di rose, delfinium e garofani, una più matura ripresa dal vero: qui l’innata sensibilità all’estetica caravaggesca si apre a una felicità cromatica e inventiva che, priva di ulteriori semiologie (B. Haas, in Fiori…, 2004, pp. 29-39), rende Nuzzi l’indiscusso caposcuola di un genere fino ad allora ritenuto minore.
Nel 1644 conobbe Giovan Carlo de’ Medici, appena nominato cardinale. Per lui, appassionato botanico, dipinse molto, inaugurando il brillante collezionismo mediceo di natura morta del Seicento, che coinvolse anche il principe Ferdinando, Leopoldo, il cardinale Francesco Maria e sua madre Vittoria Della Rovere, e grazie a cui l’inconfondibile stile barocco di Nuzzi si diffuse in Toscana, giungendo a Giovanni Stanchi (anni dopo all’opera con Nuzzi per i Colonna ), Bartolomeo Ligozzi, Bartolomeo Bimbi e Andrea Scacciati (I. della Monica, in Flora Romana…, 2010, pp. 47-56). A questo ambito va riferita la piccola tela Garofano, tulipano, convolvolo e tre fiori di cappero in boccia di vetro (Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina; S. Mascalchi, in Fiori dei Medici, 2005, pp. 28, 44, 58).
In quegli anni Nuzzi partecipò sempre più attivamente alla vita delle istituzioni artistiche della capitale pontificia: nel 1634 fu iscritto nelle liste dell’Accademia di S. Luca tra i pittori tenuti a pagare la tassa annuale per l’anno seguente, nel 1642 interveniva alle riunioni dell’Accademia (Golzio, 1965, p. 4; L. Laureati, in La natura morta in Italia, 1989, II, p. 759); il 7 gennaio 1646 entrò a tra i Virtuosi al Pantheon su proposta del fiammingo Jan van den Hoecke, allievo di Rubens e Van Dick ad Anversa (Orbaan, 1914, p. 44 ) e protetto di Cassiano dal Pozzo a Roma. Il 1° agosto 1655 nell’Accademia di S. Luca si discusse l’istanza del pittore per la licenza a vender quadri (Golzio, 1965, p. 4) e finalmente nell’agosto 1657 venne accolto tra gli accademici (Orlandi, 1753, p. 366).
A seguito dell’ampliarsi dei rapporti con i maggiori collezionisti del Seicento romano e dell’accresciuta fama all’estero la Corona spagnola gli commissionò cinque sovraporte, databili entro il 1650, ricordate fin dal 1700 nel palazzo reale del Buen Retiro madrileno (Pérez Sánchez, 1965, pp. 313-318; 1983, pp. 117-122) e oggi divise (Madrid, Prado; Barcellona, Palazzo de Pedralbes; Roma, Ambasciata di Spagna presso la S. Sede), e almeno due delle quattro ghirlande del monastero di S. Lorenzo dell’Escorial (solo Il sogno di Giacobbe firmato e datato 1650), in cui si avverte ancora un vago sentore saliniano (Bocchi - Bocchi, 2004, p. 97; L. Laureati, in La natura morta in Italia, 1989, II p. 759).
La maturazione di uno stile pittorico più mosso e cromaticamente ricco gli valse, all’apice della fama, la prima committenza da impresario: nel 1658-59 per il cardinale Flavio Chigi (F. Petrucci, in Fiori…, 2010; Bocchi - Bocchi, 2004, p. 75; L. Laureati - L. Trezzani, in La natura morta in Italia, 1989, II, p. 735), primo collezionista sistematico di natura morta, che possedeva ben 24 sue opere, dipinse le sontuose Quattro stagioni su specchio (Ariccia, Palazzo Chigi) in collaborazione con i maggiori pittori di storia del tempo (La Primavera con Filippo Lauri, l’Estate con Carlo Maratti, l’Autunno con Giacinto Brandi e l’Inverno con Bernardino Mei); le figure furono eseguite per prime, completate dai trionfi floreali di Mario, che conservava i bozzetti derivati dalla sua progettazione grafica complessiva (M. Epifani, in Fiori…, 2004, pp. 197-199); la serie venne completata da un quinto dipinto di Giovanni Maria Morandi, in cui Nuzzi è ritratto all’opera mentre dipinge (Ariccia, Palazzo Chigi). In quest’occasione il pittore sperimentò un nuovo stile, elegantissimo quanto ricco, teso a svincolarsi definitivamente dal repertorio botanico d’ascendenza lincea e a sottolineare il prestigio della migliore committenza romana. In questa linea raggiunse il più alto livello qualitativo in raffinate composizioni floreali in vaso singolo, come la contemporanea serie degli otto Vasi dipinti per i marchesi Mansi di Lucca, ricomparsi sul mercato antiquario (Bocchi - Bocchi, 2004, p. 138 n. 38).
Nel 1660, di nuovo in collaborazione con Maratti, realizzò due «mastodontiche interpretazioni floreali […] dipinte su specchio per i Colonna» (ibid., p. 75; Rudolph, 1979) in cui il motivo della ghirlanda floreale divulgato a Roma da Daniel Seghers acquista dirompente vitalità, liberato dal fondo scuro di ascendenza caravaggesca, che viene sostituito da specchi argentei, in barocchi giochi illusionistici (Fiori…, 2010, pp. 136-139).
Nuzzi inaugurò un collezionismo «parascientifico» (Salerno, 1989 p. 46), svolto con armonia ed estro, parallelo a quello aulico, cortonesco e berniniano, e questo nonostante l’accusa d’imperizia tecnica che gli mosse nella sua corrispondenza con il principe Ruffo (1671) Abraham Bruegel, il quale sosteneva che i suoi dipinti annerissero perdendo freschezza e valore (Ruffo, 1916, p. 188), e le incertezze del suo ampio catalogo, inficiato dalla diffusione del suo repertorio grafico e inciso (le due serie di Nicolas Guillelme de la Fleur, il volume Fiori diversi cavati dalle pitture di Mario de’ Fiori dedicati all’Ill.mo Sig. Abate Talpa, Roma, Gio. Marco Paluzzi, 1680) e dalle opere di replicanti e seguaci, come il figlio Giulio Antonio Domenico, presente negli inventari del 1725 del cardinale Benedetto Pamphilj con quattro dipinti detti «del figlio di Mario» (C. Ammannato, L’inventario del 1725 del cardinale Benedetto Papmhilj, in Il Palazzo Doria Pamphilj al Corso e le sue collezioni, a cura di A. de Marchi, Firenze 1999, p. 248; Lucci, 2004, p. 283 n. 53; Bocchi - Bocchi, 2004, pp. 405-434),
Morì a Roma il 14 novembre 1673 nella casa in Via Belsiana.
Poco prima Giovanni Michele Silos aveva scritto a proposito di cinque quadri nella collezione del cardinal Giacomo Nini «Qui scit bene pingere flores / quin potius Florum nomine Roma vocat?» (Silos, 1673, pp. 67 s.).
Fonti e Bibl.: G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultoriet architetti..., Roma 1642, pag. 188; I.M. Silos, Pinacotheca sive romana pictura et sculptura, Roma 1673, pp. 67 s.; L. Pascoli, Le vite de’ pittori scultori et architetti moderni, II, Roma 1736, pp. 57-74; P.A. Orlandi, Abecedario pittorico…, Venezia 1753, p. 366; J.A. Deazilliers d’Argenville, Abrégé des la vie des plus fameux peintres, II, Paris 1762, pp. 250-253; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia [1795-1796], a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, pp. 387 s.; J.A.F. Orbaan, Virtuosi al Pantheon. Archivalische Beitrage zur römischen Kunstgeschichte, in Repertorium für Kunstwissenschaft, XVII (1914), pp. 3-52; V. Ruffo, La galleria Ruffo nel secolo XVII in Messina, in Bollettino d’arte, X (1916), p. 188; V. Golzio, Documenti artistici sul Seicento nell’Archivio Chigi, Roma 1939, pp. 278-286; O. Montenovesi, Il pittore M. N. detto de’ Fiori, in Archivio della Società romana di storia patria, LXIII (1950), p. 225; G. Bartocci, Della patria del pittore M. N., in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le Marche, s. 8, II (1961), pp. 197 s.; V. Golzio, Mario de’Fiori e la natura morta, in L’Urbe, 1965, n. 1, pp. 1-19; A.E. Pérez Sánchez, Pintura italiana nel siglo XVII en España, Madrid 1965, pp. 313-318; M. Aronberg Lavin, Seventeenth century Barberini documents and inventories of art, New York 1975 p. 415; S. Rudolph, Carlo Maratti figurista per pittori di nature morte, in Antichità viva, XVIII (1979), 2, pp. 12-20; A.E. Pérez Sánchez, Pintura española de bodegones y floreros de 1600 a Goya (catal.), Madrid 1983, pp. 117-122; La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio, Milano 1989, I-II, ad ind.; L. Salerno, Nuovi studi sulla natura morta, Roma 1989, pp. 46, 72, 74; D. Pegazzano, Documenti per Tommaso Salini, in Paragone, XLVIII (1997), 571-73, p. 132; I segreti di un collezionista. Le straordinarie raccolte di Cassiano dal Pozzo 1588-1657, a cura di F. Solinas, Biella 2002, p. 49; La natura morta italiana… (catal., Firenze), a cura di M. Gregori, Milano 2003, ad ind.; Fiori. Cinque secoli di pittura floreale, a cura di F. Solinas, Biella 2004, ad ind.; E. Lucci, M. N. detto Mario de’Fiori. Un pittore di origini umbre a Roma, in Studi di storia dell’arte, 2004, n. 15, pp. 275-288; G. Bocchi - U. Bocchi, Pittori di natura morta a Roma, Viadana 2004, I, Artisti italiani. 1630-1750, pp. 405-434, ad ind.; II, Artisti stranieri, ad ind.; Fiori dei Medici. Dipinti dagli Uffizi e dai Musei fiorentini, a cura di M.L. Strocchi, Bari 2005, pp. 28, 58; F. Solinas, Politica familiare e storia artistica nella Roma di primo Seicento: il caso dei marchesi Theodoli, in Storia dell’Arte, n.s., 2007, nn. 16-17, pp. 135-192; Fiori. Natura e simbolo dal Seicento a Van Gogh, (catal., Forlì), a cura di D. Benati - F. Mazzocca - A. Morandotti, Milano 2010, pp. 140 ss.; Flora Romana. Fiori e cultura nell’arte di Mario de’Fiori (catal., Tivoli), a cura di F. Solinas, Roma 2010; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, p. 542.