NEGRI, Mario
NEGRI, Mario. – Nacque a Tirano, in Valtellina, il 25 giugno 1916, quarto figlio di Carlo, costruttore, e di Giuseppina Tognolini.
Seguendo la famiglia, frequentò la scuola elementare a Genova e poi si trasferì a Milano, ove completò gli studi superiori. Tra il 1933 e il 1935 i genitori morirono. Avvicinatosi alla scultura, si iscrisse alla facoltà di architettura del Politecnico. Entrò in contatto con il gruppo di Corrente, stringendo amicizia, in particolare, con Sandro Cherchi, Giacomo Manzù e Italo Valenti. Nel 1937 fece il suo esordio partecipando al concorso di scultura dei Littoriali della cultura e dell’arte di Napoli, ove espose un Torso d’uomo in gesso e una Testa di uomo in cera dal forte e diretto legame con la ritrattistica di Manzù (le opere, entrambe perdute, sono riprodotte in M. N., 1995, p. 122, figg. 2-3). Al più maturo scultore bergamasco si rifacevano chiaramente anche le due teste che Negri espose un anno più tardi alla mostra dei Prelittoriali di Milano (commentate positivamente da Raffaele De Grada, 1938), così come le Tre maschere amiche, del 1940, gesso oggi disperso, tra i lavori più impegnativi di questa prima stagione (ripr. in M.N., 1995, p. 123, fig. 7).
Nel 1940 fu arruolato come istruttore nel Genio, ove rimase fin a quando, nel settembre 1943, venne imprigionato in un campo di concentramento (Deblin Irena, da cui passò poi a Oberlangen, Bremerwörde e infine a Wietzendorf). Rientrato a Milano alla fine della guerra, si riavvicinò presto alla scultura, producendo perlopiù opere su commissione, spesso a tema religioso (in particolare crocifissi e monumenti tombali) e collaborando con la storica fonderia MAF (Moderna fonderia artistica). In questo periodo di ‘apprendistato’, espose raramente i suoi lavori: tenne, in particolare, a Genova, una sola personale di disegni, alle gallerie Genova e l’Isola, nel 1946; a partire dal 1947 partecipò ad alcune mostre premio, ottenendo sporadicamente qualche riconoscimento. Tra i lavori più significativi di quel tempo sono la ieratica Testa di Niobe, che ebbe il Gran Premio Saint Vincent per la pittura e la scultura nel 1948, e il Torso d’uomo del 1950, imponente bronzo frammentario che si rapporta anzitutto con la statuaria antica (entrambe in coll. priv., ripr. ibid., rispettivamente: p. 128, fig. 32; p. 132, fig. 52).
Nel 1950 Luigi Carluccio, con cui aveva condiviso la terribile esperienza della prigionia, descrisse su Domus le sue sculture più recenti. Nello stesso anno Negri iniziò a collaborare alla prestigiosa rivista diretta da Gio Ponti, in cui pubblicò fino al 1957 numerosi articoli di carattere artistico, affrontando spesso temi inerenti alla scultura, come nello scritto d’esordio, dedicato alla plastica di Auguste Renoir. Parte di questi contributi fu raccolta dallo stesso Negri nell’antologia All’ombra della scultura (Milano 1985).
Nel 1951 sposò Elda Magri, dalla quale ebbe tre figlie (Chiara, Marina, Maria Laura). Nel 1954 ottenne un premio a un concorso indetto dal ministero della Pubblica Istruzione esponendo la Funambola (bronzo del 1952, uno dei tre esemplari è a Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea). Nel 1956 Cesare Gnudi scrisse delle sculture di Negri sulle pagine della rivista belga Quadrum (1, pp. 182 s.), preannunciando in qualche modo l’importante svolta che stava per compiere. Il 1957 fu infatti per lui un anno cruciale: tenne la prima mostra personale, ricca di 35 sculture (in massima parte bronzi di recente realizzazione), allestita nelle sale della importante galleria milanese Il Milione. Gnudi, nel presentarlo, sottolineò le radici moderne della sua scultura, individuabili per ragioni diverse in Arturo Martini, Pablo Picasso, Fritz Wotruba e Alberto Giacometti.
Carluccio precisò al contempo come, al di là del formato scelto di volta in volta, le sculture di Negri si caratterizzassero anzitutto per «un senso sempre più preciso, talvolta acutissimo, del rapporto costantemente generatore di forme e di vita fra il volume, la linea che lo svolge e lo delimita, lo spazio che lo circonda: rapporto che interessa non solo la figura, ma la base da cui sorge, la luce in cui s’immerge, in una composizione che è sempre insieme architettonica e plastica» (Sculture di M. N., 1957, pp. n.n.). Nella mostra espose anche i Rilievi parietali, piani da cui affiorano fitti e minuti solidi geometrici, opere che mantengono un labile legame con il referente di natura grazie al loro evocare, di lontano, frammenti isolati di un paesaggio urbano (1955-56, tutti in coll. priv., ripr. in M. N., 1995, pp. 149-151, figg. 114-120).
Questo nuovo esordio garantì a Negri un’immediata fama internazionale e una sorprendente attenzione da parte della critica. Due opere esposte al Milione, Il grande busto (1956-57, in bronzo) e La grande cariatide (1957, in pietra di Piamu), furono tempestivamente acquistate dal prestigioso Kröller-Müller Museum di Otterlo, grazie all’intervento di Abraham Marie Hammacher, allora direttore del museo olandese. Il successo portò a Negri anche molteplici occasioni espositive: in questo stesso 1957 partecipò infatti a importanti rassegne di scultura contemporanea allestite a New York, Londra e Darmstadt (queste due ultime mostre furono curate, rispettivamente, da Lawrence Alloway e Franco Russoli). Nel 1958 tenne una personale alla Grace Borgenicht Gallery di New York e in estate espose 27 opere alla XXIX Biennale di Venezia (ove ottenne il premio Trentino Alto Adige), presentato in catalogo da Carluccio, che ne sottolineò insieme «l’improvvisa maturità» – discesa da un lungo periodo di incubazione dei diversi progetti di scultura – e l’ormai inesorabile puntare «sugli aspetti formali, quasi per bruciare gli ultimi riverberi e aloni patetici» (M. N., 1958, p. 70).
Carluccio alludeva così all’uso sapiente del basamento, che in Negri assunse attorno a quella data un ruolo fondamentale, di forma generatrice della vera e propria scultura, di elemento indissolubile dal corpo centrale dell’opera. È quanto avviene, per esempio, in opere come Colonna del samurai, ove dalla base si eleva l’alto stelo che sostiene la figura (1957, in tre esemplari, uno dei quali nelle Collezioni civiche d’arte moderna di Milano; ripr. in M. N., 1995, p. 159, fig. 144) o Donna al vento, il cui gesto è amplificato dall’espandersi in orizzontale del piano d’appoggio (coll. priv., ripr. ibid., p. 161, fig. 148). Negri accoglieva in tal modo la lezione di Giacometti, al quale aveva dedicato un denso articolo (Frammenti per Alberto Giacometti, in Domus, luglio 1956, n. 320, pp. 40-48) e con cui aveva stretto ormai una solida amicizia. Con parole che potrebbero essere spese per le sue stesse opere, Negri aveva in quella occasione osservato che le basi, in Giacometti, sono sempre «parte viva e integrante dell’opera stessa, sono il calibro entro cui si misurano per la prima volta e stabilmente quei rapporti che vengono in seguito misteriosamente a stabilirsi tra le sculture e lo spazio che le circonda» (p. 47).
Parallelamente assunse incarichi organizzativi per la Triennale (1957) e per la Galleria comunale d’arte moderna e contemporanea di Milano (1960). Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta il suo lavoro ebbe una sempre più ampia circolazione, grazie alle numerose personali organizzate soprattutto all’estero: alla galleria La Palma di Locarno nel 1959, al Kunstmuseum di Winterthur e nuovamente alla Grace Borgenicht Gallery di New York nel 1960, alla galerie Motte di Ginevra nel 1961. Significativa anche la partecipazione alla VIII Quadriennale nazionale d’arte di Roma, del 1959-60, ove – presentato in catalogo da Russoli – portò sette lavori, nei quali il rapporto con il modello naturale scivolava in secondo piano rispetto all’articolarsi dei piani, all’alternarsi di ampie zone di luce e di ombra (tra gli altri era Colonna della regina, bronzo del 1958-59, in tre esemplari, uno dei quali al Museo di Roma in Palazzo Braschi). Nel 1962 tenne una nuova personale alla galleria Galatea di Torino, presentato da Carluccio, che opportunamente sottolineò in catalogo l’ormai flebile rapporto con la figurazione: «i profili così laminati delle figure di Mario Negri sembrano riconosciuti sul punto in cui potrebbero, un passo più avanti, mancare, dissolversi nell’aria consunti da un troppo acuto bisogno di individuarli su una frontiera senza peso tra essere e non essere» (M. N., 1962, pp. n.n.).
Per tutti gli anni Sessanta si susseguirono frequenti le mostre collettive, organizzate solitamente da gallerie e musei internazionali. Realizzò in quel periodo opere di grande formato, destinate spesso a spazi pubblici (tra le tante, Colonna dell’Adda, del 1962, un esemplare della quale è nei giardini di Haarlem, in Olanda). Nel 1964 tornò a esporre alla Biennale di Venezia e nel 1965 alla Quadriennale romana; nel 1966 dette alle stampe la monografia su Giacometti per la collana «I maestri della scultura» (Fratelli Fabbri editori), poi tradotta in francese. Al 1967 risale un’altra personale al Milione, accompagnata in catalogo da diversi contributi, tra i quali quelli di Hammacher e di Giovanni Testori.
Le opere di quegli anni presentano spesso una contrapposizione tra il piano di fondo e l’emergere – al di sopra di questo – di scattanti forme arcuate, memori della ricerca plastica boccioniana (come avviene nel Grande murale, bronzo del 1965, coll. priv., ripr. in M. N., 1995, p. 184, fig. 228). In altri casi invece dichiarano una maggiore vocazione geometrica e monumentale, come è nel Grande gruppo della famiglia (1970) allestito in piazza Bijenkorf a Eindhoven. La monumentalità geometrizzante di queste opere indusse Negri a ripensare la lezione della scultura antica e medievale, prima fra tutte quella di Benedetto Antelami, cui dedicò un esplicito omaggio con Vecchio re. Omaggio a Benedetto Antelami (1972-73, coll. priv., ripr. in M. N., 1995, p. 199, fig. 280).
La ritrovata essenzialità delle forme fu l’assoluta protagonista della grande personale organizzata alla galleria Bambaia di Busto Arsizio nel 1980 così come della produzione di Negri durante i primi anni del nono decennio. Ancora una volta a Giacometti alludono chiaramente le numerose varianti sul tema dei torsi e dei grembi. Tra il 1981 e il 1985 furono organizzate numerose altre mostre personali: a Padova (galleria Adelphi) nel 1981, a Lugano nel 1982 (galleria Pieter Coray), in Austria nel 1984 (Salisburgo, Vienna e Innsbruck); a Sarzana e Parma nel 1985.
Morì il 5 aprile 1987, durante la fase preparatoria della grande retrospettiva che si sarebbe aperta, poco tempo dopo, in palazzo Te, a Mantova.
Fonti e Bibl.: R.D.G. (R. De Grada), La mostra prelittoriale dell’arte a Milano, in Vita giovanile (Milano), 31 marzo 1938; Sculture di M. N. in una sua prima mostra personale (catal., galleria Il Milione), a cura di C. Gnudi, Milano 1957; L. Carluccio, M. N., in XXIX Biennale internazionale d’arte (catal.), Venezia 1958, pp. 70 s.; M. N.23 sculture (catal., galleria Galatea), a cura di L. Carluccio, Torino 1962; M. N. (catal., galleria La Sanseverina), a cura di R. Tassi, Parma 1985; M. N.:opere: 1946-1987 (catal.), Mantova 1987; M. N. (catal.), a cura di G. Bruno, Milano 1989; M. N. Catalogo delle sculture, a cura di A. Finocchi, Milano 1995; M. N. (catal., Matera), a cura di G. Appella, Roma 2001.