MOCENNI, Mario
– Nacque a Montefiascone il 23 genn. 1823 da una famiglia di origine borghese.
Consacrato sacerdote il 20 dic. 1845, si laureò in teologia presso l’Università di Roma e fu per dodici anni professore del seminario di Viterbo. Entrò quindi nella famiglia pontificia in qualità di cameriere segreto sopranumerario di Pio IX, il quale mostrò di apprezzarne le qualità intellettuali e umane e lo sollecitò a intraprendere la carriera diplomatica. Dopo alcuni mesi trascorsi a Vienna in qualità di uditore di quella nunziatura, nell’agosto 1877, consacrato arcivescovo in partibus infidelium di Eliopoli (in Libano), fu nominato delegato apostolico e inviato straordinario presso le repubbliche del Perù, Ecuador, Bolivia e Cile (con sede a Lima). In America Latina il M. ebbe modo di conoscere la complessa realtà di quei Paesi, divenendone uno dei maggiori esperti. Il 27 febbr. 1878 fu trasferito in qualità di internunzio apostolico in Brasile, dove rimase fino al 16 dic. 1882, quando fu nominato da Leone XIII sostituto della segreteria di Stato e segretario della Cifra. Insieme con questa carica il M. ricoprì, dal 30 genn. 1883, quella di consultore della s. congregazione dell’Inquisizione e negli anni successivi altri importanti incarichi in Curia, tra cui quello di membro della commissione dell’Amministrazione dei beni della S. Sede.
A metà degli anni Ottanta come sostituto alla segreteria di Stato il M. giocò un ruolo di una certa importanza, visto anche il precario stato di salute del titolare dell’ufficio, il cardinale L. Jacobini, nell’attuazione – dopo il lungo periodo caratterizzato dalla rottura diplomatica tra Berlino e la S. Sede in seguito alla promulgazione delle leggi anticuriali del maggio 1873 – della politica di avvicinamento con l’Impero tedesco.
In particolare fu il M. a firmare l’importante dispaccio del 3 genn. 1887 al nunzio apostolico a Berlino, concertato con il segretario di Stato vaticano e sollecitato dallo stesso Leone XIII, in cui si consigliava il partito cattolico tedesco (Zentrum) a votare la proposta presentata al Reichstag dal cancelliere O. von Bismarck sul settennato militare. Tale adesione, era scritto nel dispaccio, avrebbe reso il governo di Berlino «sempre più obbligato verso i cattolici e verso la Santa Sede, la quale annette non lieve importanza alla continuazione anche per l’avvenire dei rapporti pacifici e reciprocamente fiduciosi col governo di Berlino» (Soderini, III, p. 306). Peraltro il consiglio vaticano, reso pubblico dalla stampa internazionale, non fu accolto dal presidente del Zentrum, L. Windthorst, mettendo in qualche imbarazzo la politica «tedesca» della S. Sede, accusata di interferire sui cattolici tedeschi allo scopo di ottenere l’appoggio di Berlino per la restaurazione del potere temporale a Roma.
In realtà, proprio riguardo all’Italia, il M., uno dei prelati più vicini a Leone XIII, non si poteva certamente ascrivere al partito intransigente del Vaticano. Anzi, soprattutto in occasione di alcune fasi critiche nelle relazioni fra Chiesa e Stato, ebbe un ruolo di mediatore che meriterebbe di essere approfondito.
Per esempio, secondo voci che circolavano nella stampa, raccolte dal commissario di Borgo G. Manfroni, sembrerebbe che durante uno dei momenti più aspri del conflitto tra Italia e S. Sede, causato dalla vendita forzosa dei beni di Propaganda Fide imposta dal governo Depretis, in base alla legge del 1873 sulla soppressione delle corporazioni religiose, fosse proprio il M. l’autore di un articolo anonimo apparso ne L’Osservatore romano in cui si smentivano le notizie diffuse dalla stampa internazionale di un prossimo abbandono di Roma da parte di Leone XIII e si gettava così acqua sul fuoco delle polemiche.
Nel 1887 il M. ebbe un ruolo di rilievo nel tentativo di conciliazione tra Stato e Chiesa promosso da F. Crispi, allora ministro dell’Interno. Sette anni dopo, un nuovo tentativo di conciliazione sollecitato sempre da Crispi, in veste questa volta di presidente del Consiglio, vide protagonista insieme con il M., elevato da alcuni mesi da Leone XIII alla porpora cardinalizia, il generale S. Mocenni, ministro della guerra (non è accertato se tra i due corresse un rapporto di parentela, come si scrisse allora, o soltanto di omonimia). Nel febbraio 1894 il generale Mocenni partecipò ad alcuni incontri segreti in casa del M. in Vaticano per una intesa tra il governo italiano e la S. Sede sulla nomina del patriarca di Venezia, designato dal papa in G. Sarto (il futuro Pio X), e più in generale sul modus operandi nella nomina dei vescovi. In base agli accordi preliminari da essi raggiunti, il M. si sarebbe dovuto recare addirittura nell’abitazione del presidente del Consiglio, nel palazzo di proprietà di Propaganda Fide a piazza Mignanelli, per conferire direttamente con lui. Tuttavia l’incontro all’ultimo momento sfumò, probabilmente per un ripensamento di Leone XIII, il quale in un primo momento aveva sollecitato quei colloqui.
Personalità singolare del Vaticano, di corporatura taurina, dai modi bruschi, pronto alla battuta di spirito, amante del dialetto romanesco con il quale sovente si esprimeva, indifferente se non ostile alla nobiltà guelfa, «grande lavoratore ed un democratico nel vero senso della parola» (Berthelet, p. 109), secondo Manfroni la nomina del M. a cardinale fu «effetto non solo di personale benevolenza del Pontefice, ma anche delle pressioni di chi desiderava avere la mano più libera in politica» (p. 675).
In verità, però, da tempo Leone XIII aveva designato il M. quale «arbitro delle finanze vaticane» (Lai, p. 133): la sua nomina a cardinale, avvenuta nel concistoro segreto del 16 genn. 1893, due mesi prima, quindi, dell’ultimo tentativo dell’Ottocento di conciliazione tra Stato e Chiesa, se ebbe uno scopo recondito non fu quello di soddisfare il partito intransigente, come aveva ipotizzato Manfroni, bensì quello, da parte del papa, di avere nel Concistoro e quindi più vicino a sé un prezioso e fidato amministratore delle finanze vaticane come il M., senza che ciò potesse destare la suscettibilità di altri membri della commissione dell’Amministrazione dei beni della S. Sede, di cui il neocardinale continuava a far parte.
In qualità di cardinale il M. ebbe il titolo di S. Bartolomeo all’Isola; ma il 18 maggio 1894 fu nominato dal papa vescovo suburbicario di Sabina, al quale era unito anche il titolo di abate di Farfa. In questa carica il M. dispiegò un’inusuale energia (data anche la sua età avanzata) nel promuovere le riforme del seminario di Magliano, che lasciava alquanto a desiderare sia riguardo all’insegnamento sia nella direzione e nella gestione amministrativa. Il M. si adoperò da un lato per potenziarne l’istruzione religiosa e scientifica, dall’altro per ottenere un miglioramento della condizione economica dei docenti. A tal fine richiese al ministero della Pubblica Istruzione il pareggiamento degli studi, rinunciando a ogni velleità di contrapposizione su questo campo con lo Stato e mostrando così un’apertura e un pragmatismo, che era allora difficile trovare specialmente nei vescovi delle diocesi centro-meridionali. Nei dieci anni in cui fu titolare della diocesi suburbicaria di Sabina il M. riuscì almeno parzialmente nel suo intento, risollevando la situazione amministrativa e didattica del Seminario e ottenendo alcuni riconoscimenti anche dall’amministrazione scolastica statale.
Nel conclave del 1903 il M. ebbe un marginale ruolo nella scelta del pontefice.
Si segnalò per una proposta di riorganizzazione del conclave stesso, da lui avanzata in qualità di amministratore dei beni della S. Sede, che prevedeva l’abolizione dei conclavisti e in generale del personale al seguito dei cardinali, costituito da segretari e camerieri. Ciò non soltanto per contenere le spese del conclave, ma anche per ridurre al minimo la presenza di estranei durante gli scrutini. La proposta non poté essere attuata poiché spettava unicamente al pontefice mettere mano all’ordinamento del conclave. Si convenne, comunque, che ogni cardinale portasse con sé in clausura soltanto il conclavista e un cameriere.
Nonostante il ruolo defilato avuto nell’elezione del papa, sembrerebbe che fosse proprio il M. (il dubbio è con il cardinale C. Nocella) a convincere il 3 ag. 1903 il cardinale G. Sarto, cui era andata la maggioranza delle preferenze dei cardinali, a piegarsi al responso del conclave e ad accettare la tiara.
Dopo una lunga malattia, che lo travagliò per parecchi mesi e che ebbe il sopravvento sulla sua robusta fibra, il M. morì nella sua abitazione al Palazzo apostolico vaticano il 14 nov. 1904.
Il funerale ebbe luogo il 17 e il suo corpo fu inumato nel cimitero monumentale del Verano, nella cappella della s. congregazione di Propaganda Fide.
Fonti e Bibl.: Archivio segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Spogli di cardinali e officiali di Curia, Spoglio card. M. M., bb. 1-4B; minute del M. e missive a lui spedite anche in Segreteria di Stato, Epoca moderna; Ibid., Aff. eccl. straordinari (negli anni in cui fu delegato apostolico e sostituto della segreteria di Stato); necr. in La Civiltà cattolica, CV (1904), vol. 4, pp. 611 s.; G. Berthelet, Il papa futuro. Per un cattolico italiano, Torino 1898, pp. 108-110; F. Crispi, Politica interna. Diario e documenti, a cura di T. Palamenghi-Crispi, Milano 1924, pp. 128-131; Le nunziature apostoliche dal 1800 al 1956, a cura di G. De Marchi - A. Samorè, Roma 1957, pp. 33, 69, 78, 87, 111, 203; I documenti diplomatici italiani, s. 2, XXVI, a cura di G. Carocci, Roma 1999, pp. 79-81, 86 s., 89 s.; P. Molajoni, Crepuscoli e bagliori, Roma 1920, p. 261; E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, I-III, Milano 1932-33, ad ind.; F. Crispolti, Corone e porpore, Milano 1936, pp. 156-160; F. Fonzi, Documenti sul conciliatorismo e sulle trattative segrete fra governi italiani e S. Sede dal 1886 al 1897, in Chiesa e Stato nell’Ottocento. Miscellanea in onore di P. Pirri, a cura di M. Maccarrone et al., Padova 1962, pp. 169, 173, 178, 197 s., 205 s.; G. Manfroni, Sulla soglia del Vaticano, 1870-1901, con introd. di A.C. Jemolo, Milano 1971, pp. 574, 623, 626, 633, 659, 674 s., 720; C. Weber, Quellen und Studien zur Kurie und vatikanischen Politik unter Leo XIII, Tübingen 1973, pp. 168-171; B. Lai, Finanze e finanzieri vaticani fra l’800 e il 900. Da Pio IX a Benedetto XV, Milano 1979, ad ind.; C. Snider, L’episcopato del cardinale Andrea C. Ferrari, II, I tempi di Pio X, Vicenza 1982, pp. 50, 52, 104; G. Martina, Pio IX (1851-1866), Roma 1986, p. 479; B. Lai, Affari del papa. Storia di cardinali, nobiluomini e faccendieri nella Roma dell’Ottocento, Roma-Bari 1999, ad ind.; M. Casella, L’associazionismo cattolico a Roma e nel Lazio dal 1870 al primo Novecento, Galatina 2002, p. 506; L. Trincia, Conclave e potere. Il veto a Rampolla nel sistema delle potenze europee (1887-1904), Roma 2004, pp. 78, 251, 258, 264, 266 s.; Hierarchia catholica, VII, pp. 36, 45 s., 58, 301.