Martone, Mario
Martóne, Mario. – Regista (n. Napoli 1959). Dopo aver conseguito in ambito teatrale un consolidato prestigio basato su uno stile innovativo e personale, a partire dalle precoci esperienze d’avanguardia negli anni Settanta e Ottanta e poi sui palcoscenici nazionali e internazionali (di prosa e lirici), nonché con le direzioni di importanti teatri stabili (a Roma, Napoli e Torino), ha debuttato nel cinema durante negli anni Novanta, ottenendo successi critici e di pubblico, oltre a riconoscimenti in festival internazionali. Il primo decennio del 21° secolo ha visto una conferma di M. come artista poliedrico, regista impegnato sia nel teatro lirico e di prosa, sia nel cinema. In questi anni M. realizza documentari d’arte quali Nella Napoli di Luca Giordano (2001) e Caravaggio, l’ultimo tempo (2004), in cui l’universo pittorico e il clima della Napoli barocca viene rintracciato in modo originale nelle sopravvivenze della Napoli attuale, e trascrizioni filmiche di percorsi teatrali come Un posto al mondo (2000), I dieci comandamenti (2001), Operette morali (2012), dove, rispettivamente, si traducono in video l’itinerario di costruzione scenica dell’Edipo sofocleo (il cui coro è incarnato da un gruppo di extracomunitari), la coralità e il paesaggio antropologico della Napoli di R.Viviani (riportata nel ventre dei vicoli), la drammaturgia interna dei dialoghi leopardiani (incastonati in una scatola scenica che contiene anche il pubblico). Si tratta di opere che evidenziano due delle linee di lavoro di M.: il viaggio nella 'contemporaneità' del tragico e l’indagine nelle viscere di una città-emblema come Napoli. Due sono i film che hanno impegnato nello stesso periodo M., entrambi immersi nelle ragioni storiche, civili, culturali di una difficile identità italiana. Il primo, ispirato al romanzo omonimo di G. Parise, L’odore del sangue (2004), è una dolorosa e problematica meditazione su una crisi di coppia che si fa specchio del degrado etico del tessuto civile italiano che trova le sue radici negli anni Settanta. Il secondo, che prende le mosse dall’omonimo romanzo di A. Banti, Noi credevamo (2010), risulta forse il progetto più ambizioso e di largo respiro di M., pienamente riuscito nelle sue cadenze musicali e nell’asciuttezza di uno stile che riprende, sviluppandola, la lezione sia rossellinniana sia viscontiana: in questo film, premiato con il David di Donatello 2011, si ripercorre la faticosa costruzione dell’Unità italiana, vista nel suo stato nascente e poi nelle contraddizioni dei suoi sviluppi tra compromessi e tradimenti, e si illumina una faccia nascosta del nostro Risorgimento, soprattutto nell’impeto giovanile delle sue istanze.