GROMO, Mario
Nacque a Novara il 23 maggio 1901 da Giovanni e da Amalia Pinolini. Compì gli studi liceali nella città natia, partecipando giovanissimo alla Grande Guerra, come volontario nel corpo degli alpini. Trasferitosi a Torino per frequentarvi l'università non abbandonò più il capoluogo subalpino, dove si laureò in giurisprudenza nel 1922.
Nella facoltà, dove allora insegnavano L. Einaudi, F. Ruffini, G. Mosca, G. Solari, P. Jannaccone, conobbe P. Gobetti e molti altri che dell'entourage gobettiano erano parte; e proprio in questo ambiente, il giovane G., pur impegnandosi nella professione forense, scoprì una diversa vocazione, incominciando a fare le sue prove di letterato e organizzatore di cultura.
La rivista Primo Tempo, che fondò con G. Debenedetti e S. Solmi, pur durata un solo anno (tra il 1922 e il 1923), fu in effetti una delle tante voci del gobettismo torinese, palestra fra le più significative di un gruppetto di esponenti della giovane generazione di intellettuali. Negli anni immediatamente successivi il G. avviò una collaborazione all'ultima delle riviste di Gobetti, Il Baretti, e proprio con il marchio delle Edizioni del Baretti pubblicò il suo primo libro, il romanzo breve Costazzurra (Torino 1926), una prova che, a dispetto delle ingenuità, si rivela interessante sia per il punto di vista assunto, espressivo di una generazione, sia perché, pur legato a elementi della tradizione piemontese, il G. vi manifestava una presa di distanza non scevra di ironia.
Nel 1927 il G., insieme con tre fratelli titolari di una piccola tipografia, Giuseppe, Sandro e Mario Ribet, diede vita alla casa editrice Fratelli Ribet, alla gestazione e alla fondazione della quale in realtà aveva preso parte E. Persico, in un duopolio presto interrotto.
Al di là delle divergenze, anche caratteriali, i due erano accomunati dall'intenzione di portare alla ribalta del mercato culturale la propria generazione, quella dei nati col secolo nuovo: ossia di farsi interpreti delle sue esigenze, delle sue aspirazioni, delle sue ambizioni, chiedendo spazi culturali e di mercato. La vita dell'editrice Ribet si identificò nella collana "Scrittori contemporanei" che, in effetti, piuttosto che portatrice di una propria poetica, volle essere dichiaratamente espressione della nuova generazione di scrittori. Nei testi, nondimeno, affiora abbastanza chiaramente una presa di distanza dal calligrafismo dei rondiani, mentre un riferimento importante, anzi di crescente importanza nel corso degli anni, fu rappresentato dalla rivista fiorentina Solaria (cui lo stesso G. collaborò), della quale, a un certo momento, gli "Scrittori contemporanei" vennero considerati i rappresentanti a Torino.
Il titolo di esordio, Il giorno del giudizio di G.B. Angioletti, ebbe la ventura di vincere il premio Bagutta alla sua prima edizione (1928). Fu un'immediata consacrazione della sigla editoriale, anche se il successo degli "Scrittori contemporanei", dopo il piccolo boom iniziale (con le sue 2200 copie, rimase sino alla cessazione dell'attività il testo più venduto), fu sostanzialmente limitato alla critica, la quale continuò a seguire con grande benevolenza l'attività editoriale del Gromo.
Essa la meritava, del resto, per il coraggio delle scelte e la coerenza: dopo Angioletti - nel cui libro si sentono gli echi dell'Europa di M. Proust, J. Joyce e A. Gide - fu la volta dello stesso G. con una sua fortunata, postgozzaniana, Guida sentimentale, la quale, pur non essendo citata Torino nel titolo, è in realtà precisamente un'affettuosa scorribanda nella città d'adozione dell'autore. Il G., sia pure in una forma sovente ironica (e talora autoironica), difende una Torino che sta irrimediabilmente scomparendo sotto i colpi energici della modernizzazione: una "Torino sabauda, senza motori, senza automobili e senza seta artificiale" (E. Zanzi, in La Gazzetta del popolo, 7 luglio 1928).
Gli altri autori editi nel breve periodo di durata dell'insegna Ribet sono innanzitutto E. Montale - la seconda edizione degli Ossi di seppia, con prefazione di A. Gargiulo -, G. Comisso, C. Sbarbaro, G. Raimondi, B. Tecchi, G. Titta Rosa, C. Pavolini - Odor di terra, 1928, con prefazione di G. Ungaretti -, A. Onofri, U. Betti, A. Prestinenza: prevalentemente narratori e poeti; tutti, tranne l'ultimo, destinati a diventare nomi notevoli del panorama italiano novecentesco. Due soli autori escono dal novero dei letterati puri, F. Burzio e M. Fubini.
A dispetto della robusta collaborazione degli autori alle spese tipografiche (secondo il sistema delle prenotazioni attraverso cartoline, già sperimentato da Gobetti), l'impresa dei Ribet incontrò presto difficoltà economiche a causa dei modesti riscontri di mercato. I fratelli tipografi, nel volgere di poco più di un anno, sciolsero il sodalizio con il G.; questi, intanto, dopo aver vinto il premio "Fiera letteraria" (con Guida sentimentale) ed essere entrato, come responsabile dell'ufficio stampa, nel Teatro di Torino, faceva la sua comparsa nel catalogo della Mondadori con I bugiardi (1930).
Se all'apparire di Costazzurra qualcuno aveva definito il G. "una promessa" della letteratura (Prezzolini), all'uscita di questo secondo, più robusto, ma forse meno fresco romanzo, qualcun altro (O. Castellino su un periodico torinese, Il Nazionale), ne parlò come di "un arrivato", a dispetto della giovane età.
Intanto il G. incominciava a collaborare con L'Italia letteraria di Angioletti e C. Malaparte: il foglio milanese, poi romano, del tutto inserito nella cultura di regime (ancorché con una certa ambizione all'indipendenza), costituì un punto di riferimento importante per il G., che a questo punto si lasciava alle spalle il gobettismo in senso etico-politico, pur continuando, almeno in parte, a lavorare culturalmente secondo l'imprinting ricevuto proprio da Gobetti. Da parte dell'establishment culturale fascista non mancarono i riconoscimenti, come quello di F. Ciarlantini, presidente della Federazione nazionale fascista dell'industria editoriale, il quale, in una conferenza dell'agosto 1930, segnalò, "fra le coraggiose imprese" sorte per lanciare una nuova generazione di autori, appunto la casa editrice fondata e diretta dal Gromo. All'epoca, peraltro, essa aveva già una nuova ragione sociale, ma, almeno inizialmente, non una nuova fisionomia. Infatti, forte dei suoi personali successi, il G., dopo lo scioglimento della società con i Ribet, non ebbe difficoltà a portare avanti la casa editrice, praticamente senza soluzione di continuità, stringendo un accordo con Domenico e Giovanni Battista Buratti.
Non solo la veste grafica degli "Scrittori contemporanei" rimase immutata nella sua sobrietà gobettiana (giusto un poco addolcita dal color mattone della copertina e, ora, sotto l'insegna Buratti, abbellita da qualche fregio e da un logo che rappresentava Europa in groppa al toro), ma restò identico anche il titolo della collana - che continuò a costituire pressoché la totalità della produzione - e nell'insieme coerenti rimasero le scelte di fondo del Gromo.
Questi, comunque, nel corso del tempo, dovette subire sempre di più i condizionamenti di uno dei due fratelli Buratti, Domenico, pittore e poeta, il quale, mentre il G. - via via più preso da nuovi impegni professionali, specialmente nel campo della critica cinematografica - riduceva il proprio ruolo nella direzione editoriale, acquisiva in parallelo maggior peso.
Sostanzialmente, però, il segno di gran lunga prevalente fu quello impresso dal G. secondo le linee tracciate, già sotto l'insegna dei Ribet, nella curatela di quello straordinario catalogo fuori commercio che fu Scrittori contemporanei (Torino 1929): vi vengono proposti 38 autori (quasi tutti nati intorno all'inizio del secolo), con testi e notizie biografiche, in un'antologia che rimane documento prezioso della "giovane letteratura" italiana fra le due guerre. Benché molti degli autori antologizzati, presentati come editi nella collana diretta dal G. o in procinto di esserlo, non fossero in realtà pubblicati (R. Bacchelli, A. Baldini, A. Carocci, E. Falqui, P. Pancrazi, R. Savinio, O. Vergani), nel passaggio da Ribet a Buratti "Scrittori contemporanei" si arricchì comunque di nomi significativi, da C. Alvaro a Tecchi, da G. Stuparich a C. Linati, da G. Piovene a L. Repaci, da R. Franchi ad A. Cajumi. La forma prevalente di tali volumi è composita: si tratta di libri che per lo più raccolgono scritti sparsi, spesso editi sulla stampa quotidiana e periodica, nei quali la funzione fabulatoria della narrazione s'intreccia con quella rievocativa della memoria autobiografica, in una sorta di spazio intermedio tra rondismo e solarismo, tra le tentazioni del calligrafismo disimpegnato e una più forte, ancorché implicita, vocazione moralistica. Altri autori (quali R. Bilenchi o A. Benedetti), pur giunti alla trattativa con il G. e con Buratti, non riuscirono a trovare esito nella collana.
In ogni caso le perduranti difficoltà economiche, gli screzi tra Buratti e il G. e il crescente impegno di quest'ultimo in campo giornalistico condussero alla conclusione dell'esperienza, anche se Buratti pubblicò ancora qualche titolo dopo il consensuale scioglimento dell'accordo.
Il G. - che già aveva prestato una collaborazione a La Gazzetta del popolo - dal 1931, e fino al 1943, assunse in modo continuativo il ruolo di critico cinematografico de La Stampa, sulle cui pagine pubblicò anche racconti e bozzetti, seguendo una vena di crepuscolarismo ben radicata nella tradizione piemontese. Fu, comunque, soprattutto come critico - e poi studioso - di cinema, che il G. si mise in luce a partire dagli anni Trenta, nel momento del passaggio dal muto al sonoro, e in questo campo egli vanta certamente una primazia, in quanto, appunto, fu fra i primi a coglierne l'importanza.
Nell'esaminare criticamente una pellicola il G. non poneva attenzione solo al nuovo linguaggio artistico, ma altresì prendeva in considerazione il film come strumento di divertimento o di pedagogia collettiva; pur non giungendo mai ad atteggiamenti di bolsa propaganda, il G., in tal senso, pagava il suo tributo al regime fascista, che - secondo un motto mussoliniano ("la cinematografia è l'arma più forte") - al cinema, sia "politico", sia d'evasione, annetté notevole importanza ai fini della formazione del consenso. Si aggiunga che egli fu attento anche agli aspetti produttivi, economici e organizzativi dell'industria cinematografica: un'attenzione che gli fu riconosciuta con l'attribuzione, per ben cinque volte, della presidenza della giuria del Festival di Venezia.
Con il dopoguerra il G., senza abbandonare del tutto la critica militante (si veda la raccolta di recensioni Film visti, Roma 1957), preferì dedicarsi a studi più ponderati: la sua monografia su Robert Flaherty (Parma 1952) resta un contributo ancora utile, e solo la morte improvvisa gli impedì di realizzare quella grande storia del cinema che la casa editrice UTET gli aveva affidato; riuscì tuttavia a completare una vivace sintesi sul Cinema italiano 1903-1953 (Milano 1954). Contemporaneamente, dal 1946 al 1960, fu direttore amministrativo de La Stampa.
Non aveva, comunque, mai lasciato cadere la passione forse in lui più autentica, la letteratura, come dimostrano i molti testi inediti, tra i quali una segnalazione particolare merita un abbozzo di romanzo a sfondo storico dove avrebbe dovuto figurare un capitolo dedicato a Gobetti, per numerosi aspetti forse la personalità che più lo aveva influenzato.
Il G. morì Torino il 19 maggio 1960.
Fonti e Bibl.: Oltre alle Carte Gromo, conservate presso l'autore della presente voce, si vedano: a Torino, Carte Ribet-Buratti presso eredi Buratti e il Fondo Gobetti, presso il Centro studi P. Gobetti; a Firenze, Carte Debenedetti, presso l'Archivio contemporaneo Vieusseux; a Lugano, gli Archivi Prezzolini.
Vedi ancora: G. Ravegnani, Uomini visti. Figure e libri del Novecento (1914-1954), II, [Milano] 1955, ad ind.; Omaggio a M. G., a cura di N. Ivaldi, Centrofilm, II (1960), 10 (fascicolo monografico); M. Ribet, Ricordo di M. G., in 'L Caval d' brons, 1961, n. 4; M.A. Prolo, Ricordo di M. G., in 45° parallelo (Torino), IV (1967), 18, pp. 80-82; G. Titta Rosa, M. G. scrittore e animatore editoriale, in Persona (Roma), X (1969), pp. 49-51 (fascicolo monografico Omaggio al Piemonte); Id., Vita letteraria del Novecento, II, Milano 1972, ad ind.; Lettere a Solaria, a cura di G. Manacorda, Roma 1979, ad ind.; G. Tesio, Le lettere, in Torino città viva. Da capitale a metropoli, I, Torino 1980, ad ind.; A. d'Orsi, "Scrittori contemporanei". Un'avventura editoriale nella Torino fascista, in Studi politici in onore di L. Firpo, a cura di S. Rota Ghibaudi - F. Barcia, III, Milano 1990, pp. 889-961; G. Rondolino, Introduzione a M. Gromo, Davanti allo schermo. Cinema italiano, 1931-1943, Torino 1992, pp. XIII-XIX; A. d'Orsi, La cultura a Torino tra le due guerre, Torino 2000, ad indicem.