GIURBA, Mario
Nacque a Messina nel 1565 da Onofrio, ricco mercante originario di Rometta, nei ranghi della giurazia tra il 1561 e il 1594, e da Silvia Campolo, di potente famiglia feudale attiva nel ceto dirigente cittadino dagli inizi del Quattrocento.
Avviato agli studi giuridici probabilmente dallo zio materno Tommaso, docente di diritto civile e giudice nel tribunale cittadino, conseguì il dottorato inutroque a Pisa il 19 sett. 1587. Tornato a Messina nell'estate del 1588, fu ascritto alla "mastra de' nobili" (la lista degli eleggibili) di quell'anno con il titolo di messere, in quanto nobile laureato. L'anno successivo intraprese la professione forense e nel 1590 patrocinò nel tribunale del Concistoro la sua prima causa di rilievo tra due membri della potente famiglia Spatafora, a lui legata da vincoli di affinità da parte materna. Nello stesso periodo gli fu conferito l'incarico - mantenuto per tutta la vita - di avvocato dei rei nel tribunale del S. Officio, e per alcuni anni si dedicò alla pratica del foro nei tribunali civili ed ecclesiastici del Regno, divenendo uno dei più celebri e facoltosi avvocati del tempo.
La sua ascesa professionale coincise con l'affermazione delle istanze egemoniche di Messina sulle altre città siciliane, propiziata da un privilegio concesso nel 1591 da Filippo II. Con esso la città aveva ottenuto la riapertura dell'Università con licentia doctorandi, l'obbligo di residenza del viceré per metà del suo mandato, un più incisivo ruolo della corte stratigoziale (tribunale cittadino di prima istanza) a tutela dei privilegi cittadini, importanti esenzioni tributarie.
Il G. aderì con convinzione ai progetti politici del gruppo dirigente messinese, ponendo la sua esperienza di giurista al servizio della giurazia, che nel frattempo si era attribuita il nome di Senato: nel 1596 sottoscrisse due allegationes - una con G.B. de Blaschis - per sollecitare l'esecutoria viceregia della sentenza rotale che aveva accolto le istanze messinesi per l'apertura dello Studio; nel 1597 si recò a Palermo, quale agente del Senato, per indurre il riluttante viceré a trasferire la corte con i tribunali a Messina come prescritto dal privilegio del 1591; l'anno successivo fu giudice stratigoziale con il sostegno di A. Quintana Dueña, consultore vicereale. Fu giudice dell'Appellazione nel 1600 e nel 1603, e ancora giudice stratigoziale nel 1605; ricoprì quindi la carica di sindicatore e capitano d'armi a Mistretta e Polizzi e nel 1610 fu eletto giudice nel tribunale del Concistoro con il viatico del Quintana, divenuto frattanto reggente nel Supremo Consiglio d'Italia per gli affari di Sicilia. Nel 1612, al termine del mandato, decise di concludere l'esperienza in magistratura e di dedicarsi esclusivamente all'attività forense. La sua fama in quel periodo si diffuse nel Regno: ricorsero al suo patrocinio anche il viceré P. Téllez Girón duca d'Osuna e lo strategoto A. Manriquez.
Nel 1616 il G. pubblicò una selezione delle decisiones emanate dal tribunale del Concistoro nel periodo in cui ne aveva fatto parte. L'opera, pur destinata alla prassi forense, si valse di una profonda conoscenza del pensiero giuridico europeo anche recente, e attesta la centralità nel G. del diritto consuetudinario, posto costantemente in relazione alle sentenze dei grandi tribunali e alla dottrina. Sono frequenti gli accenni a un'ampia esegesi sugli statuti di Messina, pubblicata parzialmente solo nel 1620. Tra 1617 e 1621 diede alle stampe un Responsum composto nel 1610, quando il Senato lo aveva incaricato, insieme con J. Gallo, O. Glorizio e F. Furnari, di difendere il privilegio dell'elezione diretta dei magistrati cittadini da parte del sovrano contro la pretesa del presidente del Regno, cardinale G. Doria, di nominare il successore dello strategoto, morto prima della scadenza del mandato. I giuristi avevano rivendicato l'affidamento pro tempore della carica vacante a uno dei tre giudici stratigoziali, ed escluso ogni ingerenza viceregia sull'elezione della massima carica cittadina. Nel pubblicare il Responsum, con considerazioni preliminari sui contenuti del potere viceregio, il G. volle accentuarne il già indubbio valore politico allegando le opinioni di influenti magistrati napoletani (G.F. De Ponte, C. Tapia, S. Rovito) e del siciliano G. Mastrillo, culturalmente a essi affine, che da tempo puntavano a ridurre il ruolo della carica viceregia a vantaggio di un forte ceto togato in rapporto diretto con la monarchia, allo scopo di ottenere al ministero siciliano un ruolo preminente, analogo a quello napoletano. Al tempo stesso, citando il De Republica di P. Grégoire, riproponeva con forza la centralità della monarchia nella tutela degli ordinamenti periferici. Nel 1620, pubblicando le Lucubrationes sulle consuetudini di Messina, il G. sviluppò con coerenza tali enunciati: nel proemio celebrò la consuetudine quale espressione dell'attività normativa delle Comunità cittadine esaltando, tra le prerogative sovrane, la funzione di garanzia degli ordinamenti particolari - in tal modo equiparati a privilegi e a leggi - e quella di equilibrio contro derive municipalistiche. Il progetto dell'opera, più ambizioso di quello realizzato, prevedeva un commento in quattro parti all'intero corpus statutario. La prima, l'unica pubblicata, è una esegesi in sedici capitoli su comunione dei beni tra coniugi, successioni, testamenti e dote, comparata con le analoghe opere dei siciliani M. Muta e C. Nepita, del napoletano A. Molfesio, del milanese O. Carpani. Esamina inoltre le norme statutarie delle principali città dell'Italia centrosettentrionale, le consuetudini di Francia, le sentenze dei grandi tribunali italiani e spagnoli.
Nel 1624 il G. ottenne la condotta - mantenuta per il resto della vita - per la cattedra di diritto feudale nell'ateneo cittadino, in sostituzione dell'amico O. Glorizio, morto nel dicembre 1623. Iniziò i corsi nell'anno accademico 1625-26, essendo prima stato inviato a Catania come capitano d'armi ad rixas, e nella contea di Modica come visitatore. Nel 1626, nei Consilia criminalia, espose gli esiti più significativi di un trentennio di attività forense, includendo quelli composti in qualità di avvocato del Senato. Vi si rivelò l'interprete più maturo della dottrina sulla tutela dei privilegi di Messina, elaborata da G. Bolognetti e O. Glorizio e ormai dominante tra i giuristi messinesi. Tale dottrina lo riconduceva al tema da sempre al centro della sua riflessione: l'essenza e i limiti del potere sovrano.
La raccolta dei Consilia si apriva con un saggio (cons. I) dedicato al principe, che esaminava le più recenti teorie sulla ragion di Stato; professandosi contrario a ogni forma di assolutismo, il G. si collocò nel solco del contrattualismo spagnolo, naturale approdo - a suo avviso - delle teorie legalistiche che G. Bolognetti e O. Glorizio avevano posto a fondamento del rapporto tra sovrano e universitates. Attribuì inoltre al magistrato, interprete delle leggi, la funzione ideale di consultore del principe, in accordo con G. Mastrillo e P. Corsetto e in polemica con S. Ammirato, che assegnava tale compito ai filosofi. Al Corsetto, sua guida riconosciuta di un ventennio, dedicò nel 1635 le Repetitiones sul cap. 118 di Carlo V relativo alla successione feudale in linea maschile, oggetto del suo corso di lezioni di diritto feudale. L'opera era preceduta da sei brevi preludi che esponevano con criteri istituzionali: i principî del diritto feudale ex tit. 8 degli ususfeudorum; l'origine, l'essenza e le varie specie del feudo; i modi di acquisizione, la natura mista delle norme feudali sicule per influsso del diritto longobardo-franco, il ruolo del sovrano in materia. In omaggio a Pietro Corsetto ricorrono frequenti le citazioni delle sue glosse ai Consiliafeudalia di Ottavio Corsetto padre di Pietro.
Le Repetitiones ebbero una travagliata gestazione di circa un decennio, nel quale il G. affrontò non poche difficoltà che lo costrinsero ad accantonare il progetto di altri tre volumi di argomento feudistico. Il suo prestigio fu peraltro indiscusso se, a dire dello storico C.D. Gallo, l'imperatore Ferdinando II d'Austria lo interpellò sul complesso problema della successione nel Ducato di Mantova. Nel 1633, per evitare la confisca dei beni, dovette stipulare una donazione pro forma delle sue ingenti fortune a beneficio di due amici fidati e dei sette figli del fratello Francesco. Nella dedica delle Repetitiones a P. Corsetto il G. alluse a persecuzioni iniziate sei anni prima e nella donazione del 1633 accennò a contrasti con i giuristi; non è quindi improbabile che le sue traversie dipendessero dalla manifesta ostilità per l'accordo del 1628 tra il Senato e la Compagnia di Gesù, che aveva previsto di nuovo l'affidamento ai padri dell'insegnamento universitario. Il G., contrario ai gesuiti per tradizione familiare e convinzione personale, come avvocato del Senato aveva espresso tre pareri negativi sul rispetto delle clausole relative alla retribuzione dei docenti, a causa dell'irregolare svolgimento delle loro lezioni, alimentando così una controversia - durata circa un decennio - con una parte del Collegio dei dottori e dei giudici stratigoziali di opposta opinione. La vicenda, che interferiva sul principio della laicità dello Studio, tutelato dal privilegio del 1591, e sul suo rapporto con le istituzioni cittadine, aveva favorito rivalità tra i giuristi e contribuito a incrinare l'antica coesione del ceto dirigente messinese.
Ulteriori contrasti tra i giuristi e i potentati familiari che li esprimevano vennero dalla necessità di tutelare la giurisdizione cittadina dalle ingerenze sempre più pressanti del tribunale della Monarchia: tra febbraio e novembre 1641 il delegato del tribunale a Messina inflisse al G. la scomunica, l'interdizione dalle pubbliche cariche e gli arresti domiciliari. Come avvocato del Senato egli aveva indotto il sindaco e i tre senatori nobili (gli altri si erano dissociati) a sottoscrivere un atto di controprivilegio avverso il preteso diritto di quel tribunale di avocare a sé, omissis ordinariis, la giurisdizione criminale di prima istanza per viam saltus in un territorio come quello di Messina, dove erano giudici ordinari la corte stratigoziale e la curia arcivescovile. Il grave conflitto giurisdizionale scaturito dall'esercizio del controverso diritto di prevenzione, che interferiva sui privilegi cittadini, si era risolto con la ricezione della tesi del G. - che sosteneva di avere indotto il Senato a eccepire il controprivilegio a tutela del regio patronato - da parte del tribunale del Concistoro e con la dichiarazione viceregia di nullità della scomunica, ma aveva evidenziato nell'élite cittadina l'assenza di un progetto politico coerente sulla tutela dei privilegi, strategia rivelatasi vincente nei decenni passati.
Nello stesso 1641 il G., assistendo presso la Sacra Rota il fratello Maurizio, canonico del capitolo della cattedrale, in una controversia che l'opponeva al canonico G. Castelli per l'attribuzione del titolo di decano, compose le Allegationes in ostentationempontificiae largitatis, ottenendo esito favorevole per il fratello. Il Castelli, esponente di una potente famiglia di giuristi in stretto rapporto con il giudice della Monarchia, che l'aveva proposto come suo commissario speciale, contribuì a creare un clima di sospetto nei confronti del G., che dal 4 febbr. 1642, all'età di 77 anni, fu detenuto per quattro mesi nella fortezza di città con l'accusa di sedizione e per altri quattro fu agli arresti domiciliari su pleggeria.
L'imputazione, pretestuosa, era di aver favorito il saccheggio del palazzo dove i gesuiti progettavano di fondare - con il sostegno di una parte del ceto dirigente e l'ostilità degli altri ordini religiosi e dell'arcivescovo - un convitto per giovani nobili, essendo la sua casa attigua a quel palazzo. Il provvedimento, che aveva suscitato scandalo per l'età e il prestigio del personaggio e per la sua carica di avvocato del S. Officio, traeva verosimilmente origine dal fatto che il G., consulente dei teatini e dei domenicani, contrari al nuovo insediamento dei gesuiti, li aveva consigliati, pendente il conflitto presso il tribunale della Monarchia, di ricorrere alla Sacra Rota in base a due bolle, di Clemente VIII e di Urbano VIII, e ai canoni del concilio tridentino: prassi rigorosamente vietata nel Regno.
Scagionato dalle accuse, fu reintegrato nella cattedra già nell'anno accademico 1642-43. Nel 1646 pubblicò le Observationes, raccolta pronta dal 1643, delle sentenze più significative dei tribunali del Regno, definitive o in via di definizione. L'opera prendeva in esame più di cinquant'anni di giudicati per offrire un quadro esauriente dello stylus delle curie sicule e criticarne le incongruenze.
Con le Observationes ebbe termine la produzione del Giurba. Oltre a inediti (Compendium doctorum omnium reprobatorumapprobatorumque…, in Messina, Biblioteca universitaria, ms. F.V.145; Consilium pro Agata La Valle, ibid., ms. F.V.166, cc. 45r-60v; Arch. di Stato di Messina, Regia Curiaprimarum appellationum, vol. 127, Sententiarum 1600-01), essa comprende queste pubblicazioni: Decisionum novissimarum Consistorii Sacrae Regiae ConscientiaeRegniSiciliae volumen primum (Messina 1616; poi Venezia 1616 e 1621; Palermo 1621, Amsterdam 1651; Genova 1653; Colonia 1653, Ginevra 1671 e 1675); Responsum pro Urbe Messanae, straticotus Messanae Urbis an a solo rege eligendus sit, et an aliquo in casu possit a Siciliae proregeeligi (s.l., s.d. [ma 1617-21; v. anche Consilia, n. XIX]); Lucubrationum pars prima in omne ius municipale quod statutum appellant Senatus Populique Messanensis, suique districtus et totiusfere Siciliae (Messina 1620; poi Amsterdam 1651 e 1653; Genova 1653; Lione 1673); Consilia seu decisiones criminales (Messina 1626; poi Venezia 1626; Colonia 1629, 1645 e 1672; Genova 1645 e 1654; Napoli 1654; Ginevra 1671); Repetitiones de successione feudorum inter ascendentes et descendentes masculos, ad cap. 118 regis etimperatoris Caroli V (Messina 1635; poi Lione 1679); Responsum pro Francavilla, Regio Fisco et Nicolao de Marco contra vicecomitem terrae eiusdem in causa Demani (Palermo 1635); Allegationes in ostentationem pontificiae largitatis, ac liberalitatis erga capitulum S. EcclesiaeMessanensis (Napoli 1641); Tribunalium RegniSiciliae decisae observationes (Messina 1646; poi Amsterdam 1652; Colonia 1688); Allegatio pro nobili civitate Messanae contraclarissimam civitatem Cathanae (con G.B. de Blaschis; 1596), pubblicata in D. Novarese, Istituzioni politiche…, pp. 454-465.
Nello stesso 1646 il G. fu eletto giudice dell'Appellazione e nel 1647, al termine del mandato, riprese l'insegnamento del diritto feudale, che continuò fino al 9 febbr. 1649.
Morì a Messina il 10 marzo 1649. Fu sepolto, per sua volontà, nella chiesa del convento dei cappuccini, cui aveva legato parte della propria biblioteca.
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