FORMENTON, Mario
Nacque a Teheran il 21 apr. 1928, figlio di Cloe Brasolin e di Luigi, un uomo d'affari veneto che sino al settembre 1941 esercitò in Iran una florida attività commerciale. Conseguita la maturità classica, il F. seguì dal 1948 un corso di economia a Londra. Al suo ritorno in Italia, coadiuvò il padre nell'agenzia impiantata a Milano dopo la fine della guerra, che aveva ripreso i rapporti con il mercato iraniano sia per l'acquisto di alcuni prodotti tipici locali, sia per la rappresentanza di varie imprese industriali italiane.
Dal contatto con gli ambienti della capitale iraniana in cui aveva vissuto parte della sua adolescenza, e da altre successive relazioni, aveva maturato un'attitudine spiccata per i traffici e gli scambi. Ma questa sua vocazione non gli sarebbe bastata allorché, dopo essersi unito in matrimonio nel 1952 con Cristina Mondadori, venne chiamato dal suocero Arnoldo a far parte dello staff dirigenziale della casa editrice milanese, qualora non avesse dato prova di singolari capacità organizzative. Fu quanto egli dimostrò dal 1962, alla guida del settore industriale della Mondadori, elaborando un piano di potenziamento delle Officine grafiche veronesi, che aveva per obiettivo l'accrescimento del lavoro per conto terzi e, nello stesso tempo, il conseguimento di una struttura manageriale più agile e articolata.
Combinando l'attivazione di nuove linee di produzione con l'introduzione di criteri di gestione più efficienti, senza sacrificare alla quantità l'alto livello grafico che era uno dei tratti distintivi della casa editrice milanese, il F. fu così in grado, fin dal 1964, di dar corso all'esportazione di libri illustrati, concepiti e stampati dalla Mondadori nella lingua dei vari paesi esteri cui erano destinati.
Si trattò di un'operazione di grande impegno, in quanto comportava da un lato un'offerta di immaginazione creativa e di progettualità grafica estremamente mirata e comunque tale da interessare una fascia indifferenziata di lettori di varie nazionalità; e, dall'altro, la garanzia di una qualità indiscutibile e di un prezzo competitivo tanto per la carta quanto per la stampa e la legatura.
Di fatto fu una svolta radicale quella che il F. impresse in tal modo allo stabilimento di Verona. Anche perché fu necessario passare dal sistema tipografico a quello litografico. Tuttavia, man mano che la fotocomposizione venne estesa a tutte le collane librarie e ai giornali, le innovazioni tecnologiche così introdotte accrebbero notevolmente i livelli di produttività e di rendimento.
Sebbene le Officine veronesi fossero divenute sempre più una colonna portante dell'attività e del fatturato complessivo della Mondadori, non era stata un'impresa facile far progredire il conto economico e quello patrimoniale. E non lo fu, a maggior ragione, la tappa successiva quando - assunto nel 1968 l'incarico di vicepresidente e amministratore delegato del gruppo - il F. si trovò ad affrontare, fin dalle prime battute, una fase particolarmente delicata.
Anche sul mondo editoriale già si proiettavano, dopo gli anni del "miracolo economico", le ombre di una congiuntura avversa che si sarebbe rivelata una fra le più gravi del dopoguerra. E in questa situazione non era più possibile, come per l'innanzi, conseguire sempre e comunque livelli soddisfacenti di redditività. Per giunta, venne a mancare nel 1971 il vecchio Arnoldo Mondadori che, dopo aver dominato la scena con grande vigore per oltre mezzo secolo, lasciò ai suoi successori un'azienda che, in ragione sia delle sue notevoli dimensioni operative sia del suo eccezionale catalogo librario e del suo vasto repertorio di testate, aveva assoluto bisogno di rilevanti risorse per mantenere il posto che aveva conquistato fra le più prestigiose case editrici europee e per mirare a nuovi traguardi.
In questo difficile frangente il F., cui il suocero s'era così affezionato da riconoscerlo come un figlio ("tanto mi somiglia", soleva dire), dimostrò d'essere qualcosa di più di un "Mondadori di acquisto", garantendo - già dalle sue prime esperienze al timone del gruppo, condivise con il cognato Giorgio (l'altro, Alberto, aveva già lasciato la Mondadori e fondato il Saggiatore) - un rapporto di assoluta coerenza e continuità con la linea di condotta seguita da Arnoldo fin dai suoi esordi.
Come in passato, l'obiettivo fondamentale rimase quello di promuovere un mercato editoriale sempre più ampio e differenziato. E ciò attraverso l'offerta di una produzione che - coprendo le più diverse esigenze culturali, d'informazione e di intrattenimento - fosse in grado di elevare gli indici di lettura e di creare nuovi canali di comunicazione. A tal fine il F. s'adoperò - con un impegno che, proprio perché alacre e silenzioso, lo portava più ad appartarsi nel lavoro di routine che a emergere in prima persona - a rafforzare le strutture tecniche su cui si reggeva la casa editrice milanese, e a trasformare la sua rete di distribuzione e di promozione commerciale, ma soprattutto a studiare nuove e più efficaci soluzioni pubblicistiche, tali da estenderne il raggio d'azione, senza tuttavia recidere la sua tradizione culturale.
Fu così che l'asse principale della produzione mondadoriana venne spostandosi dai libri al giornalismo. Nato come mensile, Panorama assunse sempre più i caratteri di un newsmagazine, di un settimanale d'attualità impostato sul modello di Time o di Newsweek, in quanto caratterizzato dalla separazione fra informazioni e opinioni, e da un tipo di scrittura agevole e accessibile a larghi strati di pubblico. Ma denso fu l'elenco di novità, in quella stagione di trasformazione sia delle formule che delle tecnologie editoriali: a cominciare da Epoca (impostasi per la ricchezza dei servizi fotografici e per la qualità dell'immagine) e da Grazia (affermatasi come la più raffinata tra le riviste femminili, non solo italiane). In complesso vennero lanciate fra il 1975 e il 1985 dodici nuove testate, alcune delle quali con clamorosi risultati di vendite, che portarono la presenza globale della Mondadori al primo posto nel settore dei periodici con una quota di mercato di oltre il 46%.
Nel settore librario la strategia seguita dal F., in tandem con Giorgio Mondadori, fu di sviluppare sia le collane di saggistica e divulgazione scientifica, in sintonia con l'emergere di nuovi interessi culturali, sia quelle destinate all'informazione e alla trattazione di argomenti di costume e di svago, con l'intento di raggiungere più vaste cerchie di lettori.
D'altro canto, gli impianti tipografici di Verona, continuamente aggiornati, erano in grado di sfornare libri dai costi estremamente contenuti. Fu così che, accanto alle pregevoli collane di narrativa e letteratura già collaudate da tempo, venne crescendo la produzione dei tascabili, in primo luogo gli "Oscar", distribuiti nelle edicole e in altri punti vendita alternativi.
Il F. aveva soprattutto il senso della finanza. E quella di far quadrare i conti fu senza dubbio una componente non secondaria della sua carriera. Ma non era soltanto un manager, sia pure eminente e di una specie rara nel mondo editoriale italiano, che sapeva trar profitto da un'attività esposta di norma, più che altre, a ogni stormir di vento. Era anche un uomo di cultura e un osservatore attento a quanto di nuovo si profilava nel vivo della società italiana e nell'opinione pubblica.
Di formazione cattolica, ma del tutto estraneo all'ambiente democristiano, e aperto al più largo confronto d'opinioni, il F. aveva eletto a suoi punti di riferimento ideali e a criteri informatori del suo mestiere di editore, la libertà d'espressione e l'indipendenza di giudizio. Ciò che lo portava a tenere ben fermo il principio della distinzione di ruoli fra la proprietà e le redazioni delle riviste mondadoriane. L'unica sua direttiva era che esse s'impegnassero a raggiungere il massimo grado di obiettività e di completezza. Credeva che compito precipuo della classe dirigente fosse di assicurare lo sviluppo di una società aperta e pluralista, di un'autentica democrazia industriale. E riteneva perciò che anch'egli dovesse fare la sua parte, in quanto rappresentante non solo del più grande complesso editoriale italiano ma di uno dei pochi gruppi che esercitassero tale attività senza commistioni con altri interessi economici.
Fu così che il F. maturò la decisione di sostenere il progetto, varato da C. Caracciolo ed E. Scalfari, che portò nel gennaio 1976 alla fondazione di La Repubblica. Per la Mondadori (che sottoscrisse metà del pacchetto azionario) il primo numero, in formato tabloid, del nuovo giornale segnò l'ingresso, da tempo ambito e progettato, nel settore dei quotidiani.
Si trattava (come avrebbero dimostrato i successivi sviluppi) di un'iniziativa giornalistica per tanti versi originale, in quanto volta a esprimere i fermenti e le novità che si stavano delineando nell'universo politico e culturale italiano e all'orizzonte internazionale. Ci si proponeva (affermò in quella circostanza il F.) di realizzare "con spirito imprenditoriale un quotidiano indipendente, capace d'interpretare le esigenze della parte più moderna della società italiana, e in grado di fare profitti". E ciò attraverso una formula improntata, da un lato, ad un vigoroso senso critico e, dall'altro, ad uno stile grafico agile e vivace. Ma anche sul piano editoriale la scommessa non era certo di poco conto, giacché c'era di mezzo il destino di due settimanali fino ad allora antagonisti come Panorama e L'Espresso. Se la loro sorte non venne compromessa, fu perché da entrambe le parti si tenne fede a quella regola aurea di un'economia di mercato che è la libera concorrenza: onde si assistette, anziché a un'omologazione delle due riviste, a una coesistenza competitiva, a una gara reciproca (condotta talvolta senza risparmio di colpi) per sopravanzarsi sul terreno delle notizie e delle idee.
Di fatto l'incontro tra il F. e i fondatori dell'Editoriale L'Espresso immise una ventata di aria fresca nella stampa italiana spezzando vecchi equilibri, dando vita a un giornalismo brillante e grintoso, assicurando più voce e spessore alle istanze della società civile. D'altra parte, in quegli stessi anni, il F. profuse molte energie non solo per le fortune della nuova avventura editoriale che aveva intrapreso con il convincimento che essa dovesse assecondare una nuova stagione di riforme razionalizzatrici nella vita del paese. Egli non fece mancare il suo appoggio anche per il decollo di una catena di giornali associati a carattere locale, attraverso la quale s'intendeva valorizzare le nuove energie e potenzialità emergenti in alcuni centri della provincia italiana.
La sua leadership s'era già affermata da tempo allorché, nel 1982, dopo l'uscita di Giorgio dalla Mondadori, egli si trovò da solo al vertice del gruppo e ad assumere così anche la carica di presidente. Durante i suoi quattro lustri di attività, la casa editrice milanese, divenuta nel frattempo la capofila di una vasta rete di aziende collegate anche a livello internazionale, era passata da una regia esclusivamente familiare a una gestione manageriale e la produzione giornalistica aveva guadagnato sempre più spazio.
Ma il F. aveva sempre considerato l'editoria come un campo aperto alle innovazioni. Ed era stato fra i primi a intuire quali grandi potenzialità si aprissero nell'area delle comunicazioni di massa con la comparsa dei mezzi audiovisivi. Dopo che la televisione privata aveva avuto via libera a seguito di una sentenza emessa nel 1976 dalla Corte costituzionale, egli aveva atteso che anche il Parlamento si pronunciasse; ma nel ritardo di un'apposita legge, decise infine nel corso del 1981 di rompere gli indugi dando vita, unitamente all'editore A. Perrone e al gruppo Caracciolo, a una società (di cui la Mondadori possedeva la maggioranza azionaria) per la realizzazione di un proprio network. Inaugurato nel gennaio dell'anno dopo, il circuito televisivo di Retequattro comprendeva oltre una ventina di emittenti associate che abbracciavano l'intero territorio nazionale.
L'idea del F. consisteva nello stabilire proficue sinergie fra il nuovo settore dei mass media e quello dei libri e dei giornali (diffondendo anche attraverso il piccolo schermo informazione, cultura e intrattenimento), nonché ampliare, attraverso l'audience raggiungibile con la televisione, l'area di promozione e di commercializzazione dei prodotti della carta stampata. Si trattava, insomma, di sviluppare una sorta di "editoria totale".
L'impresa si rivelò presto assai più ardua di quanto il F. avesse previsto. Ci sarebbero volute, in effetti, maggiori risorse finanziarie e strutture organizzative per conquistare nel mondo dell'etere uno spazio sufficiente a sostenere i costi di produzione; così che alla fine il F. dovette far marcia indietro cedendo Retequattro. D'altra parte, egli si trovò a scontare in questa circostanza il fatto di aver sempre difeso le sue riviste da ogni interferenza politica, tenendo la Mondadori lontana dalle manovre dei partiti. L'ingresso della Mondadori in campo televisivo non era stato perciò visto di buon occhio da alcuni gros bonnets del potere politico.
Di fatto, in seguito all'ingente dispendio di mezzi investiti dalla Mondadori nell'operazione di Retequattro, che rischiava di compromettere la stabilità finanziaria del gruppo, la stessa posizione del F. al timone dell'azienda venne messa in discussione al punto di divenire bersaglio di critiche aspre quanto ingenerose. Ma egli riuscì a correre ai ripari giungendo, dopo varie traversie, a una soluzione che cicatrizzò le ferite più gravi e consentì alla casa editrice di uscire pressoché indenne da una tempesta che avrebbe potuto annientarla. Grazie alla creazione dell'AME finanziaria, quale holding e ponte di comando della Mondadori, fu possibile infatti tutelare gli interessi dell'azienda e riportarla in attivo nel giro di tre anni. Il pacchetto della Mondadori rimase nelle mani della dinastia imprenditoriale di cui essa era espressione, sia pur sulla base di equilibri assai delicati, e venne deciso di portare la nuova società (in cui avevano fatto ingresso sette gruppi con diverse quote azionarie opportunamente frazionate) in Borsa per sollecitare il concorso anche dei piccoli risparmiatori alla ricapitalizzazione dell'azienda.
Fu questa l'ultima, e anche la più impegnativa, operazione condotta dal F., scomparso prematuramente a Parigi (dove era stato ricoverato per una delicata operazione chirurgica) il 29 marzo 1987.
Fonti e Bibl.: M. F. Ritratto, a cura di G. Vené, Milano 1994 (con scritti e testimonianze, fra gli altri, di E. Angelucci, R. Cantore, C. Caracciolo, V. Castronovo, G. Galli, L. Mondadori, R.C. Palumbo, C. Rognoni, L. Sechi, G. Spadolini. A. Vanni, J. Vender).