FILONARDI, Mario
Figlio di Scipione e di Brigida Ambrosi, nacque, probabilmente a Roma, nella seconda metà del secolo XVI.
Apparteneva ad una famiglia originaria di Bauco nella diocesi di Veroli (oggi Boville Ernica) che dopo la brillante carriera curiale di Ennio Filonardi, cardinale dal 1536, diede allo Stato della Chiesa un gran numero di prelati e funzionari. La madre proveniva da una illustre famiglia di Anagni. Quattro fratelli del F. riscoprirono uffici considerevoli e talvolta molto elevati nella gerarchia ecclesiastica. Filippo (c. 1576-1622) succedette nel 1608 allo zio Flaminio nel vescovato di Aquino; nel 1610-14 fu vicelegato ad Avignone e nel 1611 divenne cardinale. Il vescovato di Aquino, da lui restituito, fu trasferito nel 1615 all'altro fratello Alessandro (m. 1645). Paolo Emilio (m. 1624) fu arcivescovo di Amalfi e nunzio a Napoli.
Non abbiamo notizie sulla giovinezza, gli studi e i primi uffici ecclesiastici, a parte la data del suo ingresso in Curia che avvenne nel 1610. Sotto Paolo V divenne assessore del S. Uffizio e succedette nel 1616 al fratello Paolo Emilio quale canonico di S. Pietro. Nel 1620 fu nominato "referendarius utriusque signaturae". Gregorio XV lo fece esaminatore dei vescovi e Urbano VIII consultore del S. Uffizio prima di crearlo, il 16 sett. 1624, arcivescovo di Avignone. Nel 1629 assunse l'ufficio di vicelegato che comportava la sovranità temporale su Avignone e il Contado Venassino.
I compiti del F. in qualità di vicelegato erano in larga parte condizionati dalla situazione politica francese. Per effetto della conquista di La Rochelle (29 ott. 1628) anche nei territori della Chiesa non erano più da temere attacchi da parte degli ugonotti. Il comandante delle truppe pontificie distaccate nella regione fu quindi richiamato e il contingente, molto ridotto e al comando di un governatore delle armi, sottoposto al vicelegato. Appena pochi anni dopo tuttavia le difese militari dovettero essere di nuovo rinforzate (nel 1632 da Roma furono inviati al F. 50.000 scudi per impedire che la rivolta guidata nella Linguadoca da Gastone d'Orléans e dal duca di Montmorency si estendesse al territorio pontificio).
Nell'autunno del 1634 il F. fu richiamato da Avignone per sostituire il nunzio in Polonia O. Visconti. Il 26 novembre rientrò a Roma, e il 12 aprile la sua nomina fu comunicata ufficialmente al re di Polonia. Ma il F. non partì immediatamente (come sostengono invece il Biaudet ed altri).
Era infatti a Roma il 26 aprile, quando giunse la notizia che gli Spagnoli il 26 marzo avevano preso la città di Treviri con un colpo di mano e catturato e portato nei Paesi Bassi l'arcivescovo-principe F. - Ch. von Soetern, che era sotto la protezione francese. Urbano VIII incaricò dapprima i nunzi ordinari a Colonia e a Vienna di intervenire facendo leva sull'immunità spirituale - di cui come ecclesiastico godeva il Soetern - per ottenerne il rilascio o che almeno fosse affidato in custodia alla Chiesa. Il 10 giugno S. Gonzaga, ambasciatore imperiale a Roma, comunicava che le trattative sarebbero state seguite dal Filonardi.
Poiché anche per questa nuova missione, che il F. avrebbe dovuto compiere in veste di nunzio straordinario a Vienna, dovevano essere redatte le istruzioni, la sua partenza fu rinviata. Le istruzioni, datate 9 luglio, indicavano naturalmente quale obiettivo del nunzio "la liberatione e restitutione di mons. arcivescovo di Treveri", tuttavia prendevano in considerazione l'eventualità che la richiesta non fosse accolta.
Il 12 luglio 1635 il F. lasciò finalmente Roma per Vienna ove la delegazione arrivò il 16 agosto. Il 21 ebbe la sua prima udienza presso l'imperatore insieme col nunzio ordinario M. Baglioni. Il 18 agosto cominciò ad inviare, con scadenza settimanale, i suoi rapporti a Roma.
Le relazioni che il F. inviò dalla nunziatura di Vienna, così come le successive dalla Polonia e dalla Lituania, sono di grande interesse perché non si limitano a riferire gli avvenimenti politici e gli uffici relativi alla nunziatura. Il F. si sforza di fornire ai suoi destinatari romani - oltre al "cardinal padrone" Francesco Barberini, anche il segretario alle cifre A. Feragalli e il capo della segreteria di Stato F. A. Ceva - le sue impressioni dei paesi in cui soggiorna. Particolare attenzione il F. dedica agli spettacoli musicali, di cui è appassionato, sicché le relazioni sono una fonte preziosa per la storia della musica e del melodramma. Certamente queste notizie rispecchiavano i suoi interessi personali, ma andavano incontro anche ai gusti dei Barberini ed erano un buon pretesto per adularlo.
Le trattative del F. a Vienna non lasciavano prevedere una conclusione rapida. L'arcivescovo prigioniero si trovava ancora a Gand e per volere dell'imperatore sarebbe stato condotto in un primo tempo a Passau, sotto la custodia dell'arciduca Leopoldo Guglielmo, vescovo della città. L'8 settembre il F. riteneva di poter già intraprendere il viaggio per Varsavia. Preferì tuttavia attendere una precisa disposizione da Roma e richiese ulteriori incarichi perché gli sembrava che si profilasse un avvicendamento diplomatico in vista del quale era per lui opportuno rimanere a Vienna. Egli avrebbe volentieri assunto la nunziatura qui se, come pensava, il Baglioni fosse stato creato cardinale e richiamato o fosse stato altrimenti nominato legato al congresso di pace promosso dal pontefice. Il 24 ottobre ricevette dal primo, ministro dell'imperatore l'assicurazione che il Soetern sarebbe stato condotto nei pressi di Vienna e che in seguito si sarebbe agito secondo i desideri del papa, cioè l'arcivescovo sarebbe stato affidato formalmente alla custodia di uno dei nunzi. Secondo il F. c'erano buone probabilità che il Soetern venisse liberato.
Le speranze del F. di una prossima vacanza della nunziatura di Vienna si erano nel frattempo dimostrate errate. Egli si decise dunque a partire con la speranza che anche la missione polacca lo avrebbe potuto condurre in breve tempo al cardinalato: Urbano VIII aveva poco prima risposto negativamente al desiderio del re di Polonia Ladislao IV di elevare alla porpora il cappuccino V. Magni. Il re avrebbe dunque presentato un nuovo candidato e di sicuro, seguendo l'esempio del padre, avrebbe proposto il nunzio in carica presso la sua corte. Così il F. lasciò Vienna il 19 febbr. 1636 ed il 20 marzo arrivò a Varsavia, dove O. Visconti aspettava da tempo di essere sostituito.
Immutata era la difficile situazione in cui si trovava la Chiesa di rito greco-slavo unita a Roma: secondo la denominazione romana la Chiesa rutena. Ladislao IV, consigliato dal Magni sin dall'inizio del suo regno, aveva cercato di realizzare un pacifico accordo tra le diverse confessioni del paese. Nei puncta pacificationis promulgati alla sua incoronazione aveva anche accolto le richieste della Chiesa ortodossa e aveva convalidato le rivendicazioni di questa nei confronti di chiese e di beni in possesso degli uniati. Questa condotta aveva destato grande preoccupazione a Roma e il F. era stato incaricato dalla congregazione di Propaganda Fide di appoggiare con tutte le forze il clero ruteno nella difesa dei suoi diritti contro le rivendicazioni degli ortodossi e di preservarlo da perdite. Al contempo gli veniva particolarmente raccomandata la situazione del vescovo dei cristiani armeni di Leopoli N. Torosowicz, unitosi a Roma dal 1630, che viveva in continuo conflitto con i suoi diocesani.
Durante i primi mesi trascorsi a Varsavia il F. non ebbe modo di iniziare le trattative perché la corte si trovava in Lituania. Il nunzio fu così costretto a partire verso il 18 maggio per Vilna. All'inizio di ottobre era di ritorno a Varsavia che per sette anni - molti di più di quanto egli si fosse aspettato - divenne la sua residenza stabile.
Da Vilna il F. inviò vivaci relazioni sulla città e le confessioni che vi erano rappresentate. Rimase molto colpito dall'accoglienza che gli fu riservata nel collegio dei gesuiti, con splendida musica e orazioni in undici lingue, dalla sontuosa processione dei ruteni per la Pentecoste e dal grande capitolo dei monaci basiliani che visitò ripetutamente.
Acquistare influenza su Ladislao IV come richiedeva il suo incarico non fu particolarmente difficile per il F., innanzi tutto perché il re condivideva la sua passione per la musica e il teatro. Il 16 ag. 1636 il F. scriveva di aver convinto il re a rinviare alla successiva Dieta l'attuazione delle promesse fatte agli ortodossi e riteneva che con ulteriori rinvii essa si sarebbe potuta evitare definitivamente. Quando anche questa Dieta si chiuse, il 3 marzo 1637, senza aver deliberato in proposito, il F. si compiacque del risultato conseguito.
Per risolvere le aspre contese relative al caso Torosowicz, obiettivo che stava a cuore anche al re, il F. elaborò un documento di compromesso accettabile da tutte le parti. Il Torosowicz però si rifiutò di sottoscriverlo e il F. maturò la convinzione che le difficoltà dipendessero in primo luogo dall'atteggiamento del prelato. Si sforzò quindi di convincere anche la congregazione di Propaganda Fide che sarebbe stato meglio abbandonare il Torosowicz; ma, al contrario, dal quel momento fu incaricato di sostenerlo energicamente. Riguardo alla successione del metropolita di Kiev, morto a febbraio, il F. riuscì ad ottenere l'approvazione regia a favore del coadiutore, sebbene questi fosse caduto poco prima in disgrazia. In generale nel luglio 1637 il F. descriveva i. suoi rapporti con il re come molto favorevoli.
Ma nel 1638 la nomina di un vescovo non uniate a Luck portò molto vicino ad un conflitto. Ulteriori tensioni si verificarono perché il F. non poteva appoggiare i progetti con i quali Ladislao IV e il metropolita uniate intendevano promuovere un avvicinamento con gli ortodossi: Roma rigettava sia la prospettiva di un sinodo generale sia quella di un patriarcato ruteno.
Nell'aprile 1640 il F. era così sicuro del suo prossimo richiamo da redigere la relazione finale per il suo successore. Il peggioramento delle relazioni tra la Polonia e la S. Sede che si verificò in questo periodo lo costrinse però a rinviare di vari anni il suo rientro. Motivo di questa crisi acuta era il fatto che il papa non aveva ancora creato cardinale alcuno dei candidati proposti da Ladislao. Per costui era ora una questione di prestigio che le sue proposte venissero prese in considerazione allo stesso modo di quelle avanzate da Francia o Spagna. Che a suo tempo fosse stato respinto il Magni aveva già suscitato grande disappunto. Ora fu rifiutato anche il Visconti, predecessore del F. dato che Urbano VIII, come molti papi prima di lui, non accettava per principio segnalazioni di questo tipo. Su questa faccenda il F. riferì a Roma in maniera del tutto inadeguata a suscitare maggior comprensione per le richieste del re, convinto che Ladislao si sarebbe infine fatto dissuadere da questo proposito così come già era avvenuto in molti altri casi.
Ma il F. si ingannava. Il re di Polonia, irritato per l'ostruzionismo del F. e molto amareggiato per una dichiarazione del papa a suo riguardo, tentò di piegare Urbano VIII con pressioni diplomatiche e minacciò il F. di non riconoscerlo più come nunzio. All'inizio del 1642 gli fu negata un'udienza e così il F. in seguito evitò di chiederne. Quando nella ordinazione cardinalizia del 13 luglio 1643 il Visconti non fu incluso tra gli eletti, la Polonia formalizzò la rottura e licenziò il nunzio. Il 29 agosto il F. aveva già il lasciapassare per il viaggio attraverso la Polonia e l'Impero.
I rapporti degli ultimi anni testimoniano l'amarezza e la delusione del Filonardi. Egli scrive che gli è indifferente trattare con Ladislao, dato che le promesse ricevute dal re non sortivano generalmente alcun effetto pratico. Alla sua corte era possibile ottenere qualcosa solo con il denaro. Era anche deluso dal fatto che il gran cancelliere di Polonia P. Gembicki, sebbene vescovo, non avesse quasi mai condiviso la linea della S. Sede né fornito un appoggio adeguato. Con irritazione osserva che gli era stato taciuto che nei primi giorni di ottobre del 1641 erano state promulgate delle leggi che non solo rinnovavano le precedenti concessioni agli ortodossi ma addirittura le ampliavano considerevolmente. Solo quando i protocolli furono stampati egli poté farli tradurre in latino e protestare formalmente. A questo punto alcuni vescovi membri della Dieta si opposero cosicché al F. riuscì di impedire che le nuove norme entrassero in vigore.
Tornato a Roma, il 17 giugno 1644 il F. prese parte ad una seduta della congregazione di Propaganda Fide in cui fu discusso il piano proposto dal pastore convertito B. Nigrino e dal Magni, con l'appoggio del re di Polonia, per un sinodo tra rappresentanti delle varie confessioni religiose da tenersi a Toruń.
Il 19 ag. 1644 il F. morì a Roma e fu sepolto, come tre suoi fratelli, nella cappella di famiglia della chiesa di S. Carlo ai Catinari che egli stesso aveva fatto erigere.
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