DI LEO, Mario
Nacque a Barletta da nobile famiglia verso il 1500, ed ivi compi i primi studi; conseguì all'università di Napoli il titolo di utriusque iuris doctor, con il quale è nominato negli atti dei notai barlettani Giacomo de Gerardinis e Matteo Curcio e nell'iscrizione sepolcrale. Sposò la nobile Landomia de Pomis, figlia di Lorenzo, che gli portò una cospicua dote. Morì nella città natale l'anno 1558 e fu sepolto nella tomba di famiglia, situata nella cattedrale.
Il D. intrattenne rapporti con gli esponenti delle più nobili casate napoletane e con i più celebri letterati del suo tempo, come il Bembo il Rota, il Molza, il Martirano, Bernardo Tasso, Scipione Capece, Vittoria Colonna. I suoi versi erano noti agli stessi contemporanei: nell'ultima pagina in bianco del protocollo degli atti del notaio de Gerardinis per l'anno 1534 è infatti trascritta, per mano e con firma del notaio stesso, una lirica - alla fine della quale si legge: Marius De Leo auctor - recentemente pubblicata in Japigia (1942). Si tratta di una canzonetta di ventisei endecasillabi e settenari - di cui gli ultimi sette mutili - nella quale il poeta esprime il desiderio di morire colpito dall'arco che Amore ha lasciato alla donna amata. Il Crescimbeni identifica il D. con quel Mario Leone di cui l'Atanagi riporta una canzonetta composta in morte della nobildonna romana Faustina Mancini (I). Atanagi, De le rime di diversi nobili poeti toscani, II, Venetia 1565, ff. 87v-88v); secondo il Quadrio - che però tiene distinti i due poeti - il Leone sarebbe altresì autore di rime apparse in una raccolta dedicata a donne romane, della quale non viene fornita l'esatta indicazione (Della storia, e della ragione d'ogni poesia, II, 2, Milano 1741, p. 267).
L'unica opera del D. nota dal Cinquecento fino ai nostri giorni è il poemetto Amor prigioniero, formato da duecentocinquantanove ottave divise in due canti e dedicato alla marchesa di Padula Maria Cardona. Nel 1942 il Croce segnalò la prima edizione dell'opera (1538), rimasta fino ad allora sconosciuta. La copia mutila del frontespizio reperita dal Croce nella Biblioteca dei Girolamini di Napoli non gli consentì di individuare il luogo di stampa e l'editore (Napoli, J. Sulzbach), che furono rivelati nel 1942 da A. Parente. All'edizione napoletana seguirono una impressa da G. A. Valvassori a Venezia nel 1550, un'altra, pure veneziana, dell'editore A. Bindoni nel 1551 e quella apparsa nella Seconda parte delle stanze di diversi autori novamente mandata in luce, stampata a Venezia da Gabriel Giolito de' Ferrari nel 1563, nel 1572, e dai figli di questo nel 1580 (nonostante in alcune copie risulti la data del 1581), nel 1586 e nel 1589. G. Petraglione - che in Notiziario di Japigia del 1942 si è soffermato in particolare sulle vicende editoriali del poemetto, correggendo e integrando le notizie fornite dal Croce e dal Parente - esclude che il Valvassori abbia ristampato l'Amor prigioniero nel 1581, come invece vorrebbe Croce, sostenendo che la sua attività non andò oltre il 1572. Resta il fatto che di una seconda edizione a cura del Valvassori parlava già il Quadrio, datandola però al 1580. L'opera è stata ripubblicata parzialmente da B. Croce e G. Ceci (Lodi di dame napoletane del secolo decimosesto dall'"Amor prigioniero" di Mario Di Leo, Napoli 1894) e integralmente da A. Parente (in Marc'Antonio Epicuro, I drammi e le poesieitaliane e latine, a cura di A. Parente, Bari 1942, pp. 151-217), che ha condotto la sua edizione collazionando la stampa del 1538 con quella del 1563; in entrambi i casi il testo è integrato da notizie sulle gentildonne napoletane citate nel catalogo elogiativo del secondo canto.
Il poemetto narra l'infelice tentativo di conquistare la terra del fiume Sebeto compiuto da Amore. Dopo una serie di scorrerie vittoriose, durante le quali viene rapito lo stesso poeta, Amore è sconfitto e fatto prigioniero dalle ninfe guidate da Bellona e Diana e inviate da Giunone. Il poeta immagina di aver assistito alla battaglia dall'alto della rocca costruita dal dio e di rivolgersi ad un cavaliere per conoscere il nome delle donne che hanno preso parte ad essa; nella digressione che ne segue sono ricordate anche alcune nobildonne pugliesi e la città di Barletta, vittima tra il 1528 ed il 1529 di un doloroso episodio della guerra combattuta nel Regno di Napoli tra Francesi e Spagnoli. La narrazione prosegue con la liberazione del figlio di Venere per intercessione di Giove; questi, supplicato dalla dea, invia Mercurio per ottenere la liberazione di Amore in cambio dell'impegno a non offendere più la terra di Napoli.
Il Croce avanza l'ipotesi che l'idea del poemetto sia stata suggerita al poeta dal breve idillio Cupidus cruci affixus di Ausonio; egli riconosce all'opera un verseggiare facile e brioso di evidente imitazione ariostesca. L'Amor prigioniero viene ricondotto inoltre a quella produzione letteraria di tipo encomiastico ispirata da galanteria, cavalleria e adulazione cortigiana e molto feconda in una città come Napoli, piena di nobiltà baronale che l'accorta dominazione spagnola aveva coinvolto negli ozi della capitale. In una linea di sostanziale continuità e adesione ai giudizi del Croce si pone il Parente, mentre appare alquanto ingenua l'affermazione apparsa nel saggio del Cassandro che l'opera "ha intento altamente morale" (p. 16).
Bibl.: G. M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia, V, Venezia 1730, p. 238; F. S. Quadrio, Della storia, e della ragione d'ogni poesia, I, Bologna 1739, p. 194; II, 2, Milano 1742, p. 267; G. Ceci-B. Croce, Il poemetto "L'Amor prigioniero" di M. D. da Barletta, in Rass. pugliese di scienze, lettere ed arti, XI (1894), pp. 41-44; M. Cassandro, Un poeta barlettano del 500: M.D., in Boll. per l'anno 1939 della Sez. di Barletta della R. Deputaz. di storia patria per le Puglie, Barletta 1940, pp. 15-20; B. Croce, Aneddoti di varia letteratura, I, Bari 1953, (1 ed. 1942) pp. 319-324; Notiziario, a cura di G. Petraglione, in Japigia, XIII (1942), 3, p. 207; Notiziario. Una lirica ined. di M. D. poeta barlettano del sec. XVI, a cura di G. Petraglione, ibid., XIII (1942), 4, pp. 265-266; Marc'Antonio Epicuro, I drammi e le poesie ital. e latine, cit., a cura di A. Parente, Bari 1942, pp. 258-260.