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DE RENZI, Mario

di Giorgio Ciucci - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 39 (1991)
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DE RENZI, Mario

Giorgio Ciucci

Nacque a Roma il 17 nov. 1897 da Romeo e Anna Polimanti. Frequentò il corso speciale di architettura all'accademia di belle arti a Roma, diplomandosi nel 1920 professore di disegno architettonico. Già nel 1919 era entrato nello studio di architettura di Alberto Calza Bini.

Nei primi anni dopo il diploma il D. partecipò a qualche concorso: per villini da costruirsi a Anzio (1921), per il monumento al fante nel cimitero del Verano a Roma (1922), per i prototipi di case antisismiche (1923); ma fu solo nel 1925 che egli ottenne il primo importante incarico professionale, progettando in collaborazione con Luigi Ciarocchi, dopo aver vinto il relativo concorso, le case di abitazione per i dipendenti del Governatorato di Roma a piazza d'Armi, oggi piazza Mazzini (cfr. C. Cecchelli, Il primo concorso dell'Istituto delle case per i dipendenti comunali, in Architettura e arti decorative, V[1925], pp. 546-550; Case d'abitazione per i dipendenti del Governatorato di Roma, ibid., VIII [1929], pp. 414-419).

Il linguaggio adottato fu il "barocchetto", allora diffuso a Roma e con cui si intendeva recuperare le forme dell'architettura minore sei e settecentesca per la progettazione di abitazioni popolari.

L'anno seguente il D. prese parte, all'interno del gruppo coordinato da P. Aschieri, al concorso promosso dall'Associazione artistica fra i cultori di architettura per il quartiere dell'artigianato da costruirsi a Roma nei pressi di porta S. Paolo (cfr. R. Papini, Il concorso per il Quartiere dell'artigianato in Roma, ibid., VI [1926], pp. 67 ss.; G. Zucca, Il Quartiere dell'artigianato, in Capitolium, II [1927], 10, pp. 585-589). Il progetto del gruppo Aschieri risultò vincitore (il quartiere non venne però mai costruito) e segno un'importante svolta sia nel dibattito culturale romano, sia nell'attività del De Renzi. Al "barocchetto" si preferì una immagine che si richiamava ai caratteri dell'architettura romana più classica, sulla traccia delle ricostruzioni ideali proposte dall'archeologo Arturo Gismondi per l'edilizia abitativa di Ostia Antica. Il sodalizio con Aschieri e il gruppo da lui diretto proseguì con la partecipazione, nello stesso 1926, al concorso per il palazzo delle Corporazioni a Roma. Il progetto vinse il primo premio, ma l'edificio venne poi realizzato da Marcello Piacentini e Giuseppe Vaccaro (cfr. P. Marconi. Due progetti per il palazzo delle Corporazioni in Roma, in Architettura e arti decorative, VII [1927-1928], pp. 398-401).

Nel 1927 il D. entrò a far parte della commissione per la compilazione e redazione di una serie di volumi sull'architettura minore di Roma e provincia. Nello stesso anno si iscrisse all'albo degli architetti, e contemporaneamente venne incaricato dall'Istituto autonomo per le famiglie degli impiegati del Governatorato del progetto per case popolari e negozi in via Andrea Doria, a Roma (cfr. Una casa d'abitazione in via Andrea Doria a Roma, ibid., X[1931], pp. 672-681; P. Marconi, Edilizia attuale a Roma, in Capitolium, VIII [1931], 10, pp. 506, 512).

Per questo intervento, realizzato fra il 1927 e il 1930, il D. e Ciarocchi elaborarono tre successivi progetti, nei quali si nota una successiva articolazione dei volumi, con l'abbandono della tipologia, fino ad allora adottata, dei blocchi chiusi con corti interne. Il D. interpretava l'edilizia romana antica, individuandone le caratteristiche principali in un piano basamentale in mattoni, destinato a negozi, in balconi con ringhiera che dividono il basamento dalle abitazioni sovrastanti, in larghe superfici lisce segnate da marcapiani e cornici, in una sorta di loggiato all'ultimo piano. Sono questi motivi che esprimono in chiave "moderna" il "carattere storico locale", al quale dovevano richiamarsi i progetti per abitazioni popolari e impiegatizie.

L'inserimento nel mondo professionale romano era avvenuto per il D. in parallelo con la collaborazione, iniziata nel 1923, alla rivista Architettura e arti decorative, diretta da G. Giovannoni e M. Piacentini, e con il ruolo di assistente (dal 1924 al 1933) presso la scuola superiore di architettura di Roma. Nel 1930 il D. venne nominato professore incaricato di arredamento e tecnica della decorazione alla facoltà di architettura di Napoli, diretta da A. Calza Bini (il D. mantenne l'incarico fino al 1943). Presso lo stesso ateneo svolse anche cicli di conferenze e di esercitazioni pratiche per l'insegnamento di scenotecnica.

Nell'acceso dibattito che accompagnò, nel 1931, la seconda mostra dell'architettura razionale promossa a Roma dal Movimento italiano per l'architettura razionale (MIAR), il D., pur vicino culturalmente a molti degli architetti del MIAR, si schierò contro quella iniziativa polemica, aderendo al Raggruppamento architetti moderni italiani (RAMI), promosso dal Calza Bini, segretario del Sindacato nazionale fascista architetti. In quell'occasione, il D. si definì "moderno sì, ma italiano", dichiarandosi per un'architettura che esprimesse "il nuovo sì, ma con proporzioni classiche".

Nello stesso 1931 il D. venne incaricato dalla impresa di costruzioni Federici, che aveva stipulato una convenzione con il Comune di Roma, della progettazione di un gruppo di case economiche a viale XXI Aprile.

Il complesso, realizzato fra il 1932 e il 1937, occupa una vasta area di oltre 15.000 metri quadrati ed è composto da un unico grande edificio continuo che raggruppa, intorno a due grandi corti articolate, 26 blocchi unificati con 442 appartamenti, 70 negozi, autorimesse e un cinema con 1600 posti (quest'ultimo ora supermercato). Pur nel diverso programma, queste case sono infatti costruite da privati, e nella differente scala di intervento, il complesso di viale XXI Aprile fu un coerente proseguimento, tecnologicamente aggiornato, dell'esperienza condotta dal D. con le case di via Andrea Doria. In entrambi gli interventi, chiaro è il riferimento al lavoro di Aschieri, come evidente è la simile divisione del blocco dell'edificio in una zona basamentale in mattoni con i servizi, in un corpo intonacato, per le abitazioni, e in un coronamento arretrato; così come esplicito è l'uso di elementi orizzontali e verticali che definiscono le coordinate entro cui sono collocate le aperture.

Questa realizzazione del D. fu uno dei più notevoli esempi di edilizia popolare a Roma negli anni fra le due guerre.

Nel corso degli anni Trenta il D. collaborò con Adalberto Libera in numerosi progetti di mostre e di edifici pubblici.

Il primo progetto redatto in comune dai due architetti fu l'allestimento della facciata e dell'atrio per la Mostra della rivoluzione fascista, tenutasi nel decennale della marcia su Roma al palazzo delle Esposizioni di Roma, in via Nazionale (cfr. Alfieri-Freddi, 1933, M. Sarfatti, Architettura, arte e simbolo nella Mostra del fascismo, in Architettura, XII [1933], pp. 4-7; G. Ciucci, L'autorappresentazione del fascismo. La Mostra del decennale della marcia su Roma, in Rassegna, IV[1982], pp. 49-52). Qui il D. e Libera trasformarono l'ottocentesca facciata dell'edificio sovrapponendovi una serie di elementi simbolici: un cubo, per evocare la "concezione totalitaria e integrale del regime fascista" (Alfieri-Freddi, 1933, p. 66); quattro grandi fasci di metallo, che richiamavano alla mente immagini di guerra, corazzate e baionette; un ingresso, ricavato nel cubo, che riprendeva, con linguaggio moderno, l'immagine dell'arco trionfale.

La collaborazione con Libera proseguì nel palazzo postale all'Aventino (1934; cfr. A. Pica, Nuova architettura italiana, Milano 1936, pp. 84, 301), in cui la stereometria simmetrica è arricchita da motivi futuristi; nei padiglioni italiani all'Esposizione mondiale di Chicago (1933) e di Bruxelles (1935; cfr. Catalogo dell'esposizione, Roma 1935, p. 17), per i quali venne utilizzato il motivo del fascio caratterizzante la facciata della Mostra della rivoluzione fascista; nel concorso per l'Auditoriuni a Roma (1935), cui collaborò anche Vaccaro; nel concorso di secondo grado per il palazzo del Littorio (1937), sempre con Vaccaro (al primo grado, 1933-1934, i tre architetti avevano presentato tre progetti distinti); nella Mostra delle colonie estive e dell'assistenza all'infanzia (1937), con Giovanni Guerrini; nel padiglione delle armi alla Mostra autarchica del minerale italiano (1938) e nella Mostra del tessile (1939), tutte al Circo Massimo a Roma; nel progetto per il quartiere INCIS a Roma, con la collaborazione di Eugenio Montuori e Vaccaro (1940). Con la guerra, il sodalizio con Libera si interruppe.

Il D. partecipò, alla fine degli anni Trenta, anche ad altri concorsi: per le preture riunite a Roma, con Giuseppe Samonà (1936); per la piazza e gli edifici delle forze armate e per il palazzo delle comunicazioni e trasporti (ex aequo con Luigi Figini e Gino Pollini), entrambi all'EUR (1938). Quest'ultimo progetto venne realizzato dopo una serie di modifiche, dettate dalla volontà di dare al nuovo quartiere quella "classicità", che secondo M. Piacentini (Onore all'architettura italiana, in Architettura, XX [1941], pp. 263-273) doveva essere riservata "tutta ed esclusivamente nel volo dei grandi templi della Religione e dello Stato, quando dobbiamo esaltare le virtù della nostra razza, quando dobbiamo accendere e commuovere, osannare e glorificare".

Sempre negli anni Trenta, il D. progettò o costruì per i privati una serie di interventi di edilizia popolare: borgata rurale alla Magliana Nuova a Roma (1937-1939) mai realizzata; case operaie al quartiere S. Giovanni a Roma (1940) per la Società aerostatica Avolio; i villaggi operai "Regina Martina" a Narni (1942) e Tarquinia (1943). Nel 1940-1941 il D. progettò e costruì uno dei più interessanti edifici romani dell'anteguerra: la palazzina Furmanik al lungotevere Flaminio (cfr. S. Muratori, Una palazzina sul lungotevere, in Strutture, 1947, 2, pp. 24-48; P. Portoghesi, La palazzina romana, in Casabella, XXXIX [1975], 407, p. 20).

Il volume squadrato dell'edificio, di intonaco bianco con un disegno a quadrati, è scavato sul fronte verso il fiume da una serie di logge continue e vetrate, con schermature mobili che ridefiniscono l'immagine compatta dell'insieme. Questa soluzione sembra quasi porsi come modello ripetibile lungo l'intero fronte del lungotevere.

Nel dopoguerra l'attività del D. fu caratterizzata - oltre che dalla progettazione e realizzazione di edifici per uffici, di abitazioni singole (fra le quali la propria casa a Sperlonga del 1952-1955) e da interventi di ristrutturazione di edifici esistenti - anche da una serie di interventi per il Piano INA Casa.

Fra questi, si ricordano: le case al Valco S. Paolo a Roma (1949-1952; cfr. L. Beretta Anguissola, Iquattordici anni del piano INA Casa, Roma 1963, pp. 330-341); la sistemazione urbanistica e la lottizzazione al quartiere Tuscolano II a Roma, con Saverio Muratori (1950-1952; cfr. L. Beretta Anguissola, pp. 260-263); il quartiere Stella Polare a Ostia (1951, cfr. Rassegna critica di architettura, V[1952], 26-27, pp. 61 s.); una serie di case per i dipendenti del ministero dell'Agricoltura e Foreste a Roma, con R. Nicolini e F. Ramasso (1951-1952); il nuovo quartiere di Villa Gordiani a Roma, con S. Muratori (1952); una serie di case popolari a Catanzaro e provincia, a Cagliari, in provincia di Pescara, tutte con R. Nicolini. In più occasioni il D. fu a capo del gruppo di progettazione.

Nei numerosi edifici pubblici e privati, tuttavia, il D. non riuscì più a ritrovare quella vena che lo aveva accompagnato fra la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Quaranta. Egli concentrò l'interesse in un attento impegno professionale. Dal 1952 al 1954 fu presidente dell'Ordine degli architetti di Roma e del Lazio; dal 1953 al 1955 presidente della commissione edilizia del Comune di Roma, da cui peraltro era già stato incaricato fin dal 1946 di studiare, con altri professionisti, un piano per le arterie di rapido scorrimento, piano che non venne mai adottato. Nel 1946 era stato anche nominato accademico di S. Luca.

Il D. continuò nel dopoguerra l'attività didattica: dal 1944 al 1946 fu professore incaricato di elementi di architettura e rilievo presso la facoltà di architettura di Roma; dal 1945 al 1952 professore incaricato presso le cattedre di architettura degli interni e di arredamento e decorazione degli interni presso la stessa facoltà; nel 1953 fu nominato professore ordinario per la cattedra di arredamento: dopo due anni passati all'università di Cagliari, il D. tornò nel 1956 a Roma, dove insegnò fino alla sua morte.

Morì a Roma il 22 nov. 1967.

Altre opere del D. sono: il concorso per la scuola elementare al quartiere Lancellotti, Roma, in coll. con G. Wittinch, che vinse il primo premio (1926); le casette modello per l'Istituto case popolari alla Garbatella, Roma (1929); il villino Cappellini in via Mecenate, Roma (1929-1931); la scuola elementare "F. Corridoni" a Fano, in provincia di Pesaro (1932-1936; cfr. P. Marconi, Scuola elementare a Fano, in Architettura, XV [1936], pp. 49-58); la villa Tudini sulla via Cassia, Roma (1937); due serbatoi d'acqua per l'impresa Tudini a Ostia (1937); il progetto per l'ampliamento ed il restauro della villa Elia (Roma) quale sede della cancelleria dell'ambasciata del Portogallo (1947); la sistemazione e l'ampliamento dell'ambasciata degli Stati Uniti ospitata nell'ex palazzo Margherita in via Veneto, Roma (1947-1949); la villa Fürst in via di Porta S. Sebastiano, Roma (1949-1951); le palazzine in via O. Tommasini, Roma (1950); il palazzo dell'YMCA in via Solferino, Roma (1950-1954); il centro sociale in piazza S. Avaerdace a Cagliari (1956, in coll. con R. Nicolini); il concorso per la Biblioteca nazionale in via di Castro Pretorio, Roma (1959).

Fonti e Bibl.: Un'ampia documentazione sull'opera del D. è contenuta in T. Carunchio, D., Roma 1981, e in L. Mattana, M. D. architetto romano nel periodo fascista, tesi di laurea, Istituto universitario di architettura di Venezia, a.a. 1982-1983. Ma cfr. anche: Mostra della rivoluz. fascista. Guida storica, a cura di D. Alfieri-L. Freddi, Roma 1933, pp. 64-71; B. Zevi, La morte di D. ..., in Cronache di architettura, VI, Bari 1970, pp. 493 ss.; G. Accasto-V. Fraticelli-R. Nicolini, L'architettura di Roma capitale 1870-1940, Roma 1971, ad Ind.; C. De Seta, La cultura architettonica in Italia tra le due guerre, Bari 1972, p. 150; G. C. Argan, Libera, Roma 1975, pp. 8, 10, 12; Il razionalismo e l'architettura ital. durante il fascismo, a cura di S. Danesi-L. Patetta, Milano 1976, passim; C. Conforto-G. De Giorgi-A. Muntoni-M. Pazzaglini, Il dibattito architettonico in Italia, 1945-1975, Roma 1977, p. 300; M. Tafuri-F. Dal Co, Architettura contemporanea, Milano 1979, p. 290; A. La Stella, La scuola romana tra accademia e innovazione, in La metafisica: gli Anni Venti, II, Bologna 1980, pp. 81 s., 90; T. Carunchio, Spunti per un inventario delle costanti compositive in alcuni architetti a Roma negli anni Trenta, in Ricerche di storia dell'arte, 1981, n. 12, p. 38; V. Quilici, Adalberto Libera. L'architettura come ideale, Roma 1981, passim; V. Vannelli, Economia dell'architettura in Roma fascista, Roma 1981, p. 187; Anni Trenta. Arte e cultura in Italia, Milano 1982, p. 551 e passim; G. Ciucci, Il dibattito sull'architettura e la città fasciste, in Storia dell'arte italiana (Einaudi), VII, Il Novecento, Torino 1982, pp. 321, 343, 353, 356, ill. 212, 244, 245, 266, 293; M. Tafuri, Architettura italiana 1944-1981, ibidem, pp. 429, 438 n. 27, 455, 486 n. 38; V. Fraticelli, Roma 1914-1929. La città e gli architetti tra la guerra e il fascismo, Roma 1982, passim; M. Noccioli, in E 42. Utopia e scenario del regime, II, Venezia 1987, pp. 423-426; R. Nicolini, in Diz. encicl. di architett. e urbanistica, II, Roma 1968, p. 160.

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