MARIO da Laurito
MARIO da Laurito (Laureto). – Non si conoscono il luogo e la data di nascita di M., che le fonti dicono originario della Campania.
Nonostante Di Marzo (1899), seguito da Bottari (1951), lo dica nativo di Laureto, località nei pressi di Fasano in Puglia, è più convincentemente ritenuto originario di Laurito presso Salerno, nel Cilento, da Meli (1957) dapprima, quindi da Paolini (1959) e Alparone (1969). Di fatto, il 2 maggio del 1505 M. si dichiarava «pictor neapolitanus» in un atto redatto a Palermo relativo al debito contratto per l’acquisto di «pannilana» (Di Marzo, 1899, p. 265). Assai scarse anche le notizie relative alla sua famiglia. Da una procura redatta a Palermo il 29 maggio 1529, dove è menzionato come «de regno Neapolis et civis Panormi», si apprende l’esistenza di un fratello, Antonio, e di una defunta sorella di nome Laura (ibid., p. 271 n. 2); si è inoltre supposta la sua paternità del più noto pittore Tommaso Laureti (ibid., pp. 264, 274).
M. è documentato per la prima volta nel 1501, quando ricevette la commissione per la realizzazione di un perduto dipinto su tavola raffigurante la Madonna di Loreto destinato alla chiesa di S. Pietro Martire a Napoli (Filangieri; Di Natale, 1980, pp. 128 s.). A partire dal 1503 e fino al 1536 è quindi variamente testimoniata la sua presenza in Sicilia. Il 22 ag. 1503 si impegnò con il giureconsulto Giulio di Ransano per l’esecuzione di un’«icona» su tavola in più scomparti destinata a un altare del convento dei frati predicatori di Palermo. L’opera, raffigurante S. Maria del Consiglio con i ss. Onofrio e Sofia, oggi è da ritenersi perduta, ma ancora nel Seicento si poteva osservare sopra l’altare sinistro della chiesa di S. Domenico. Nel contratto egli è menzionato quale «magister Marius de Laurito, pictor regni Neapolis», a conferma del luogo di provenienza (Di Marzo, 1899, pp. 264 s.; Di Natale, 1980, p. 116).
Tre anni dopo, sempre a Palermo, dipinse per il frate Antonio Iardino un quadro (perduto) con la Madonna tra i ss. Lorenzo e Dorotea (Meli). Al novembre del 1509 risale poi l’incarico assunto per una Fuga in Egitto tra i ss. Pietro, Stefano, Paolo e Sebastiano: nel relativo contratto si dichiara «habitator Panormi» (Di Marzo, 1899, p. 265; Meli; Di Natale, 1980, p. 118). Neanche quest’opera è stata rintracciata.
Lungo il secondo e il terzo decennio del XVI secolo si ha notizia di un cospicuo numero di dipinti eseguiti per lo più a Palermo, che, come i precedenti, risultano a oggi irreperibili o non ancora identificati.
Tra il gennaio e l’ottobre del 1511 dipinse una Madonna del Soccorso tra i ss. Bartolomeo e Ippolito, di ubicazione sconosciuta, e un quadro con le Ss. Caterina, Cristina e Orsola per la cattedrale (Di Marzo, 1899, pp. 265 s.; Di Natale, 1980, pp. 119 s.). Nella stessa cattedrale nel marzo del 1515 si impegnò con i cavalieri del S. Sepolcro e i rettori della cappella dell’Annunziata per completare la decorazione di questa con Storie della Vergine (in Vincenzo degli Azani…, doc. XXI, p. 474). Tra il febbraio del 1516 e l’ottobre del 1517 dipinse una pala con i Ss. Domenico, Giovanni Battista, Girolamo e i committenti, destinata all’altare della famiglia Mannara nella chiesa di S. Domenico (Di Marzo, 1899, p. 266; Di Natale, 1980, p. 121); nel luglio del 1522 si obbligò con il rettore della chiesa di S. Nicolò all’Albergheria, il canonico Tommaso di Bellorosso, a dipingere un quadro raffigurante la Madonna col Bambino tra i sette angeli e i ss. Niccolò e Ignazio, dichiarandosi «pintor et civis felicis urbis Panhormi» (Di Marzo, 1899, pp. 266 s.; Di Natale, 1980, p. 122). Seguono quindi le commissioni per una Madonna tra gli apostoli, lo Spirito Santo e i serafini (1522), destinata al monastero di S. Chiara, e una Pietà (1524) per la chiesa di S. Rocco di Messina (Di Marzo, 1899, p. 267; Puzzolo Sigillo; Di Natale, 1980, pp. 123-125). Si hanno, poi, notizie relative a un dipinto con S. Rocco per l’omonima Confraternita palermitana e a un polittico per la chiesa di S. Maria degli Angeli, ancora a Palermo, entrambi del 1526 (Di Marzo, 1899, pp. 267-270; Di Natale, 1980, pp. 125-127). Il 9 ag. 1536 l’indoratore Vincenzo Sanieli affidava a M. il compito di dipingere insieme con il pittore frate Gabriele de Volpe «uno scannello», cioè una predella, recante gli stemmi dell’Ordine carmelitano e dei committenti, Pietro e Anna de Urries signori di Riesi, e altre figure ancora indicate dal padre priore del convento del Carmine di Palermo, a completamento del monumentale polittico («yconam magnam») dell’altare maggiore della chiesa della Madonna del Monte Carmelo. Il polittico, dalla lunga gestazione, in seguito smembrato, constava in origine di nove pezzi; la sua esecuzione rimonta al 1514, quando furono commissionate ad Antonello Crescenzio la pittura dello scomparto centrale con la raffigurazione dell’Assunta e a Pietro Ruzzolone la primitiva predella con il Transito della Vergine; le restanti tavole affidate ad altri sono state assegnate ora al Maestro del Polittico di Castelbuono ora a Giovanni Matta (Pugliatti, p. 92; Abbate, pp. 199, 206; Vincenzo degli Azani…, p. 468).
Al 1536 risale l’unica opera rintracciata con sicurezza tra quante menzionate nei documenti: si tratta di un ciclo pittorico di sedici tele con Scene della vita della Vergine e di Cristo, oggi divise tra il Museo diocesano e la Galleria regionale della Sicilia Palazzo Abatellis a Palermo, destinate alla decorazione del soffitto della chiesa dell’Annunziata a Porta S. Giorgio, a partire dal quale, sulla base del riconoscimento di certa uniformità di stile e costanza tipologica delle figure, si è potuto avviare il processo di attribuzione a M. di ulteriori dipinti e stabilirne un catalogo autografo (Di Marzo, 1899, doc. VII pp. 375 s.; Pugliatti, pp. 137 s.).
Tra le altre opere attribuitegli, si ricorda il cosiddetto Trittico del Cancelliere proveniente dalla omonima chiesa non più esistente e oggi al Museo diocesano di Palermo, databile intorno agli inizi del secondo decennio (Di Natale, 1980, pp. 95-97; Pugliatti, p. 146); nello stesso Museo sono gli Angeli raffigurati negli sportelli laterali di un tabernacolo, già nella cattedrale, attribuiti a M. per la prima volta da Paolini e databili tra il terzo e il quarto decennio (Di Natale, 1980, pp. 105 s.; Pugliatti, pp. 122, 149, 284 fig. 310). Altre opere riferite a M., oggi conservate nella Galleria regionale della Sicilia Palazzo Abatellis, sono la Pentecoste (1515-20) e la Disputa di s. Domenico (1528 circa), provenienti dalla chiesa di S. Domenico (Di Natale, 1980, pp. 97-99, 103 s.; Pugliatti, p. 146); il Dittico della Visitazione (1525), già nella chiesa dei Ss. Giovanni e Giacomo, e la Disputa di s. Tommaso (1528), già nella chiesa di S. Cita (Di Natale, 1980, pp. 99-103; Pugliatti, p. 146). È invece a un aiuto di M. che si ascrivono le dieci tavole oggi nei depositi di Palazzo Abatellis, ma provenienti dal monastero del Ss. Salvatore (Di Natale, 1980, pp. 110-114), fatta eccezione per l’Incoronazione della Vergine senz’altro da ascrivere a M. (Pugliatti, pp. 146 s.).
Sotto il profilo stilistico, la critica ha riconosciuto nell’opera di M. la presenza delle diverse componenti antonellesche e fiamminghe, desunte in parte dal contesto locale, nonché influenze umbro-romane e caratteri napoletani tratti dal luogo di origine. M. fu tuttavia pittore attardato rispetto alla coeva produzione artistica palermitana; la sua opera, come osserva Pugliatti (p. 8), «di impianto tradizionale sebbene talvolta non priva di qualità, non presenta elementi influenti ai fini del progresso pittorico siciliano». Piuttosto M. è rappresentante esemplare di quella numerosa popolazione di artefici che, accanto ai più noti pittori contemporanei quali Vincenzo da Pavia o lo stesso Antonello Crescenzio, animarono la più comune vicenda artistica locale, senza di fatto sensibilmente incidere sulle sorti rinascimentali della pittura della prima metà del Cinquecento in Sicilia.
Le ulteriori notizie documentali relative a M. gettano luce su quegli aspetti della sua opera strettamente legati all’ambiente artistico siciliano del periodo, confermando innanzitutto la conoscenza dell’intensa e variegata attività delle botteghe artistiche, che vedevano il pittore impegnato nella esecuzione in parte o del tutto delle più diverse tipologie di manufatti.
Così, nel luglio del 1510 M. si impegnava con il prete Checco di Ferrario di Isnello per la definizione policroma del gruppo ligneo del Martirio di s. Sebastiano comprensiva del «fercolo» processionale (egli si obbligava a «incarnare et deorare» la «figuram lignaminis Santi Sebastiani cum duobus carnifichis, cum vara et scannello»), opera da Di Marzo ritenuta perduta e da identificarsi invece con il simulacro oggi conservato nella chiesa del collegio di Maria (Di Marzo, 1883, II, doc. CCLXXXVII p. 348; Cuccia); nel 1519 accettava di dipingere uno stendardo con la Trasfigurazione di Cristo per la cattedrale di Cefalù (Meli). Nondimeno, è documentata la più comune pratica dell’artista del tempo, dall’acquisto della materia prima alla commissione dei supporti per le pitture: quando per esempio, come altri pittori suoi contemporanei, M. acquistò oro battuto e colori da tal maestro Stefano La Torre (Di Marzo, 1899, pp. 267 s., 271, 286 s., 291) o quando commissionò all’intagliatore e legnaiolo Diego Ingutterrez una tavola con relativa carpenteria per un dipinto non meglio identificato (Di Marzo, 1883, II, doc. CCCXVIII p. 405; Id., 1899, p. 272). A ciò si aggiunga l’esercizio collaterale di arbitrato e di valutazione dell’opera di colleghi pittori, su cui ragguaglia la perizia effettuata tra l’agosto e l’ottobre del 1530, insieme con i noti artisti palermitani Antonello Gaggini, Antonello Crescenzio e Giovanni Gili, sul quadro raffigurante S. Giacomo di Vincenzo da Pavia (Di Marzo, 1899, p. 271), fatto che testimonia tra l’altro del prestigio raggiunto da M. presso l’ambiente artistico siciliano del tempo.
Sulla morte di M. non si possiede alcuna notizia: sicuramente avvenne dopo il 1536, l’ultima volta in cui il suo nome ricorre nei documenti.
Fonti e Bibl.: G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI, Palermo 1883, I, p. 86; II, pp. 348, 405, docc. CCLXXXVII, CCCXVIII; G. Filangieri, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle provincie napoletane, VI, Napoli 1891, pp. 54 s.; G. Di Marzo, La pittura in Palermo nel Rinascimento, Palermo 1899, pp. 264-272, 274, 286 s., 291, 375 s.; C. Matranga, Nuove attribuzioni di dipinti del Museo di Palermo, in Boll. d’arte, IX (1909), pp. 340-351; G. Di Marzo, Vincenzo da Pavia detto il Romano pittore in Palermo nel Cinquecento, Palermo 1916, p. 112; S. Bottari, M. da Laureto e Simone de Woobreck, in Siculorum Gymnasium, n.s., IV (1951), 2, pp. 234-238; D. Puzzolo Sigillo, Identificazione di una tavola di M. L. trascurata nel Museo nazionale di Messina e meritevole di urgente restauro, in Spirale, II (1952), 4-6, pp. 33-40; S. Bottari, La cultura figurativa in Sicilia, Messina-Firenze 1954, p. 250 n. 18; F. Meli, Nuovi documenti relativi a dipinti di Palermo nei secoli XVI e XVII, in Atti dell’Acc. di scienze lettere e arti di Palermo, s. 4, XVI (1957), 1, p. 196; M.G. Paolini, Note sulla pittura palermitana tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, in Boll. d’arte, XLIV (1959), pp. 122-140 nn. 134, 136; G. Alparone, Francesco Cicino ed altri appunti storico-artistici, Napoli 1969, ad ind.; M.C. Di Natale, M. di L., Palermo 1980; C. Vargas, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1988, p. 174; M.C. Di Natale, in XIV Catalogo di opere d’arte restaurate (1981-1985) (catal.), Palermo 1989, scheda 8, pp. 48-53; T. Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia. La Sicilia occidentale, 1484-1557, Napoli 1998, pp. 8, 92, 122, 137-152, 284; Vincenzo degli Azani da Pavia e la cultura figurativa in Sicilia nell’età di Carlo V (catal.), a cura di T. Viscuso, Palermo 1999, docc. XXI, LXVII, pp. 474, 481 s.; V. Abbate, «Matta me pinxit»: la congiuntura flandro-iberica e la cultura figurativa nell’entroterra madonita, ibid., pp. 197, 199, 206; A. Cuccia, Scultura lignea del Rinascimento in Sicilia. La Sicilia occidentale, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al barocco (catal., Palermo), a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001, pp. 129 s. fig. 6; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXII, p. 459; E. Bénézit, Dictionnaire…, VIII, Paris 1976, pp. 339 s.