Costa, Mario
Regista cinematografico, nato a Roma il 1° giugno 1908 e morto ivi il 22 ottobre 1995. Interprete di un cinema popolare non indifferente a valori formali e a contenuti anche impegnativi, C. fu regista fecondo e versatile, a suo agio nel documentario d'arte come nel cinema avventuroso, nella commedia farsesca come nel film-opera, genere della cui breve fortuna popolare egli fu, nell'immediato dopoguerra, uno degli artefici più attivi.
La facilità con cui si mosse entro filoni cinematografici eterogenei gli veniva dal lungo e composito tirocinio avviato verso la metà degli anni Trenta, dapprima come assistente al montaggio presso l'Istituto Luce, poi con mansioni di direttore del doppiaggio e ispettore di produzione, quindi come autore di soggetti e sceneggiature, fino ad approdare, nel 1938, alla regia del cortometraggio Le fontane di Roma. Insieme al successivo I pini di Roma (1941), quest'opera si affermò come originale rielaborazione figurativa degli omonimi poemi sinfonici di O. Respighi, e mise in luce tanto l'inclinazione musicale del regista quanto un gusto descrittivo acceso ma non sempre infallibile, e tuttavia permeato da felici intuizioni e molte ambizioni estetiche: le une e le altre malauguratamente destinate a un graduale, malinconico ridimensionamento negli esiti successivi. L'esordio nel lungometraggio avvenne nel 1946, con La sua strada, dramma sentimentale interpretato da Lída Baarová; a questo seguirono ventinove film a soggetto e una decina tra corto e mediometraggi. Sempre nel 1946 C. fu tra i primi, insieme a Piero Ballerini e al più famoso Carmine Gallone, ad accendere l'interesse per l'opera lirica in formato cinematografico, portando sullo schermo un compito ma incolore Il barbiere di Siviglia, dall'opera di G. Rossini, cui seguì nel 1947 L'elisir d'amore (dall'opera di G. Donizetti) che, oltre a presentare una più risolta integrazione dei linguaggi cinematografico e teatrale, segnò il debutto di Silvana Mangano e mise in evidenza una Gina Lollobrigida destinata, già l'anno dopo, a partecipare, da protagonista, a Pagliacci ‒ Amore tragico, adattamento cinematografico del capolavoro di R. Leoncavallo, in cui il regista si cimentò con l'opera verista. Con Perdonami! (1953), Per salvarti ho peccato (1953), Pietà per chi cade (1954), C. si accostò al neorealismo popolare e melodrammatico di Raffaello Matarazzo, di cui seguì le orme con diligenza, ma con poco estro. Dopo un breve interludio con commedie di gusto più popolare come, nel 1957, Arrivano i dollari!, e l'anno seguente Via col…paravento, alla vigilia degli anni Sessanta C. si misurò con il cinema d'azione: dal genere cappa e spada (Il cavaliere del castello maledetto, 1959; I reali di Francia, 1959) alle imprese corsare (La Venere dei pirati, 1960; Gordon, il pirata nero, 1961), senza disdegnare avventure nel deserto (Il figlio dello sceicco, 1962) né incursioni nel peplum (Il conquistatore di Corinto, 1961; Il gladiatore di Roma, 1962). Per mera coincidenza cronologica, nel 1964, cioè nello stesso anno della realizzazione di Per un pugno di dollari di Sergio Leone, destinato a rinnovare e destrutturare, in chiave di consapevole manierismo e di calcolata ironia l'epopea western, C. realizzò Buffalo Bill, l'eroe del Far West, che replicava con puntiglio convenzioni e figure del modello classico. Più tardi, il regista tentò senza convinzione di emulare la formula del western all'italiana, ma La belva (1970), suo ultimo film, denunciò l'incapacità di assecondare un modello di cinema d'azione ormai radicalmente trasformato.