CHINI, Mario
Nacque a Borgo San Lorenzo, nel Mugello (prov. Firenze), il 21 luglio del 1876, da Leto, che era un pittore scenografo, e da Maria Pananti, discendente del letterato Filippo Pananti. Licenziatosi dal ginnasio "Gallieni" di Firenze, si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia della locale università, ove fu allievo di Rajna (che ne stimolò l'interesse per la lingua e la letteratura neoprovenzale), Pavolini, Mazzoni, Vitelli, Puini (da cui gli fu trasmessa una feconda curiosità per la cultura cinese e giapponese). Laureatosi nel 1900 in lettere e filosofia, intraprese la carriera dell'insegnamento. Dal ginnasio comunale di Assisi (1904-1908), ove inoltre si impegno a riordinare il museo della città, passò a quelli dell'Aquila e di Spoleto.
Durante il soggiorno aquilano (1908-1914) fondò il Museo civico e svolse un proficuo lavoro di reperimento e pubblicazione di centinaia e centinaia di documenti inediti riguardanti l'arte locale. Dal ginnasio di Spoleto fu trasferito nel '16, perché accusato, tra l'altro, di fare dell'anticlericalismo durante le lezioni. Nel 1916 (ma con effetto dal 1921) Ottenne la libera docenza in letteratura italiana con la monografia Le teorie dei Romantici intorno al poema epico e sui "Lombardi alla prima crociata" di Tommaso Grossi. Dannunziano e attivo interventista, fu, negli ultimi due anni del conflitto, sottotenente e poi tenente, in servizio presso il ministero della Guerra. Dal 1920 al '22 fu professore di lettere presso l'istituto tecnico "Leonardo da Vinci" di Roma, e dal 1922 al '31 presso il liceo scientifico "Cavour" di Roma. Dal 1932 al 1936 svolse le funzioni di preside di liceo a Galatina, Potenza, Lanciano, Sciacca, per ottenere infine il comando per l'insegnamento di lingua e letteratura occitanica presso l'università di Roma (1936). Soggiornò a lungo all'estero: al Cairo nel 1924; a Madrid nel '33, per tenere - presso quella università - un corso di letteratura italiana; a Bengasi nel '34; a Buenos Aires dal 1939 al 1947, come direttore del Centro di studi italiani. Del lungo soggiorno argentino, che vide una sua assidua collaborazione letteraria al Mattino d'Italia di Buenos Aires, si giovò per acquisire una raccolta di lettere inedite mazziniane. Fu socio della R. Accademia di Urbino e della Società dei felibristi, associé étranger dell'Ecole Palatine di Avignone, cavaliere della Legion d'onore.
Sofferente per una grave malattia, trascorse appartato gli ultimi anni. Morì a Roma il 10 febbr. 1959, lasciando alla Biblioteca Alessandrina la sua raccolta di cinquecento volumi e di manoscritti in lingua neoprovenzale.
Il C. svolse un'intensa attività di traduttore e saggista, che si sviluppò prevalentemente in due settori: la letteratura felibristica e quella dell'Oriente cinese e giapponese.
Per quanto concerne la non copiosa produzione poetica originale (se confrontata con quella di poeta-traduttore), il C. esordì nel 1901 con la raccolta di poesie d'amore Di me stesso a me stesso (Rocca San Casciano).
La silloge, che comprende anche una dozzina di traduzioni da Catullo, da Goethe e dal cinese, ha uno spiccato carattere autobiografico (l'amore studentesco per Attilia) e risente di molteplici influenze: da quella dei contemporanei Carducci e Pascoli, a quella della lontana poesia dell'Estremo Oriente, dal Quattrocento italiano al romanticismo tra scettico e sentimentale di Heine.
Nel 1918 fu la volta del poemetto Tela di ragno (Roma), il cui impianto fa pensare al mistraliano Mirejo. Ma, al di là di tale influsso, ciò che lo rende valido e originale sono le genuine immagini limpide e festose di una Toscana felicemente provinciale, di quel Mugello che l'autore così bene conosceva e amava. Infine apparvero riunite in raccolta per la prima volta nel 1939 a Borgo San Lorenzo, in un libricino per nozze intitolato Pulviscolo, varie rime già apparse singolarmente qua e là. Insieme con altre, successive al 1939, furono infine pubblicate postume a Roma nel 1961 dalla moglie del C., con il titolo di Attimi.
Gli "attimi" riproducono nella struttura e nell'ispirazione i haikai giapponesi e cinesi, composizioni dal ritmo serrato, di sole diciassette sillabe. Verso tale tipo di componimento poetico il C. venne orientato oltre che naturalmente dal proprio temperamento, dalla lunga pratica di traduzione e adattamento dal cinese. Gli "attimi" sono, con le parole stesse dell'autore, "balbettii, apparentemente quanto al suono, schizzi in punta di pennello, quanto al segno, sprizzi di pensiero e di sentimento quanto al significato" (Attimi, p. 5).
L'attività di traduttore è quella che risultò senza dubbio più congeniale al temperamento del Chini. Cominciò nel 1904 con la tragedia in versi Regina Giovanna di F. Mistral. L'anno seguente, dello stesso Mistral (con cui aveva instaurato un fecondo rapporto d'amicizia) pubblicava la traduz. di Mirejo (Mirella, Milano 1905), che gli procurò una certa notorietà. Nel 1907 tradusse il poema persiano Rubāiyyat di Omar Khayyām, dalla versione inglese di Fitzgerald. Nel 1914 seguì la traduzione di Tre novellette in versi (Teramo) di Mistral; quindi, nel 1916 quella di un dramma cinese di Wung-Ci-fu, Si-Siang-ki. Del 1916 è la versione in versi e in prosa dei Racconti provenzali (Lanciano) di Giuseppe Roumaniho, un'altra grande voce del felibrismo. Nel 1918 appaiono altre "variazioni" (così il C. chiamava le sue traduzioni libere, orgoglioso di una sua autonomia poetica), questa volta su motivi cinesi, le Nuvole bianche (Lanciano). La traduzione dal greco, con commento, dei Mimi di Eroda (Lanciano 1922) attesta la sua capacità anche di grecista. Nel 1930 (Firenze) è ancora la volta di Mistral - di cui ha così tradotto gran parte dell'opera - con Il poema del Rodano. Nel 1932 si cimenta anche con la letteratura d'oil, traducendo gli Antichi favolelli francesi (Roma).
L'attività di saggista del C. si sviluppò in varie direzioni: la letteratura provenzale, la critica dantesca, la storia dell'arte, la storia del Risorgimento, il folclore.
Tra il 1908 e il 1904, nel corso del soggiorno all'Aquila, pubblicò una serie di saggi su scultori, pittori e orafi abruzzesi: Silvestro di Giacomo di Sulmona (L'Aquila 1908), Dell'oreficeria in Aquila durante il sec. XV (Teramo 1912), L'arte nobile dell'argento in Aquila degli Abruzzi (L'Aquila 1912), Pittori aquilani del Quattrocento (Roma 1914), saggi che nel 1954 sarebbero tutti confluiti nel volume Silvestro Aquilano e l'arte in Aquila nella seconda metà del sec. XV (L'Aquila). Nel 1917 uscì a Todi una raccolta di Canti popolari umbri, frutto del suo soggiorno a Spoleto.
Nel 1920 il C. pubblicò a Lanciano il lavoro che gli era valso, nel '16, la libera docenza: Le teorie dei Romantici intorno al poema epico e sui "Lombardi alla prima crociata" di Tommaso Grossi, in cui sostenne la tesi - da ben pochi condivisa - che il Grossi risulta veramente poeta solo negli scritti in dialetto. Nel 1933 apparve a Roma uno studio su Gli inni sacri di A. Manzoni, ampliamento di una monografia già apparsa a Milano nel 1928. Nel 1936 vide a Torino la luce il più discusso dei suoi saggi, l'Ariosto innamorato;studio sopra le Rime e sopra l'Orlando Furioso.
In esso il C. accusò la critica idealistica di aver giudicato il poema ariostesco "... uno svago di poeta per amore della poesia, un gioco di musico per amore della musica..." (p. 315), nient'altro cioè che un mero gioco poetico. Il lavoro suscitò le aspre critiche del Croce e del Momigliano.
Infine nel 1951 pubblicò a Palermo quelle Lettere di Giuseppe Mazzini a Giuseppe Riccioli Romano, originale contributo alla storia della cospirazione repubblicana in Sicilia tra il 1864 e il 1872, rinvenute in America.
Altri scritti: Note di Samisen (traduzione), Assisi 1904; F. Mistral profilo biografico, Genova 1915; Vita e poesia di s. Francesco, Firenze 1926; G. Parenti,primo generale dell'Ordine francescano, Borgo San Lorenzo 1927; Il canto VII e XXII dell'Inferno,il canto X del Purgatorio, Firenze 1928; Pape Satan,Pape,Satan Aleppe, Milano 1929; Roma e l'Italia nella rinascita neoprovenzale, Bari 1935; I 7 di Font Segugno (traduzione), Firenze 1954.
Fonti e Bibl.: Necrol., in Il Messaggero, 12 marzo 1959; Borgo San Lorenzo, Archivio di stato civile, Reg. atti nasc. 1876, n. 281; Archivio d. ministero d. Pubbl. Istruz., pacco n. 18, versamento 1948-52 (istruz. classica), Fascic. M. C. (visi trova tra l'altro un ampio dattiloscritto autobiografico); Roma, Liceo scient. Cavour, Fasc. M. C.; Firenze, Bibl. Laurenziana, M. Chini, A fior di memoria (manoscritto autobiografico inedito); Chi è? Diz. biogr. 1940, p. 232; M. C., in Il Risveglio (Spoleto), 5marzo 1916; T. Rovito, Letterati e giornal. contemp., Napoli 1922, p. 100; C. Pellizzi, Le lettere it. del nostro secolo, Milano 1929, p. 160; L. Tonelli, M. C., in L'Italia che scrive, XVI (1933), 8, pp. 225 s.; A. M. Brizio, M. C. Silvestro d'Aquila o Silvestro d'Arischia?, in L'Arte, XXXVII (1934), p. 178; E. Santini, Di M. C. "scrittore vario" e poeta, in Convivium. n.s., IV (1961), pp. 489-495.