Casella, Mario
, Filologo (Fiorenzuola d'Arda 1886 - Firenze 1956), professore ordinario di filologia romanza prima all'università di Catania e poi, per parecchi decenni, all'università di Firenze. Dedicò la parte più cospicua della sua attività scientifica all'opera di D., verificando soprattutto su di essa talune sue scelte metodologiche e talora proprio su di essa fondandole. Le sue indagini dantesche, frutto di un impegno protrattosi per oltre un quarantennio quasi senza soluzioni di continuità, nascono da una duplice e distinta prospettiva di ricerca e rispondono a due diverse tematiche, distinguibili anche cronologicamente: da una parte, egli condusse accorte e concrete indagini di carattere testuale, ampliate sino a investire complessi problemi d'ordine filologico ovvero limitate a esami d'ordine erudito; dall'altra, svolse analisi a carattere esegetico, rispondenti alla profonda esigenza di cogliere il valore della poesia dantesca sul fondamento di un sapere speculativo che tenga conto dei presupposti metafisici, assunti quale criterio unico e proprio per individuare le ragioni della grandezza poetica della Commedia.
Al primo periodo di attività del C. appartengono due scritti di codicologia dantesca, il primo dei quali illustra il manoscritto Landiano di Piacenza (Notizia sul codice dantesco di Piacenza e note ai primi sei canti, in Sei canti della D. C. [Inf. I-VI ] riprodotti diplomaticamente secondo il cod. Landiano della Comunale di Piacenza, Piacenza 1912, pp. XIV-LII); mentre il secondo descrive il manoscritto Escurialense e. III. 23 (descrizione stampata dal Barbi nei suoi Studi sul Canzoniere di D., Firenze 1915). Tuttavia, intorno a questi anni, in tutta una nutrita serie di recensioni e rassegne mai puramente espositive, il C. già dava ampia testimonianza di possedere solidamente la problematica, specialmente filologica, riguardante D. e la sua età, dimostrando in tal modo di essere degno allievo del Rajna, del Mazzoni, del Parodi, alla cui scuola si era educato. Una prova conclusiva, in questo ambito, egli forniva nel 1921, in occasione della stampa del testo della Società Dantesca, al quale collaborò approntando l'Indice analitico, e cioè un repertorio d'indiscussa utilità che si guadagnò unanime elogio per l'esaustività e la precisione con cui era stato condotto e ordinato. Solo due anni più tardi il C. dava alla luce, presso l'editore Zanichelli, la sua edizione della Commedia, alla cui elaborazione aveva dedicato lunghi anni. Nella prefazione al testo, anche a causa del formato del volume, egli non potè dilungarsi a dar conto dei risultati conseguiti attraverso l'esplorazione e il riesame di buona parte della tradizione manoscritta, ma l'anno successivo, in un'ampia memoria (Sul testo della D.C., in " Studi d. " VIII [1924] 5-85), lumeggiò, in forma asciutta e per tratti essenziali, la natura e le conclusioni della sua inchiesta; la quale, condotta fondamentalmente su capostipiti di famiglie di codici particolarmente autorevoli, lo indusse al riconoscimento di due rami, poi variamente sviluppatisi, provenienti da un comune apografo esemplato in area settentrionale. La condizione dell'apografo da cui derivano le due tradizioni fondamentali (postulata già da altri prima di lui), gli appariva non genuina, ma inquinata da " manifesti errori ", i quali causarono, nelle esemplazioni susseguenti, una serie di tentativi d'emendamento. Affianca la discussione sulla natura della tradizione una verifica ottenuta tramite l'esame di due fenomeni utili tanto alla problematica testuale, in ordine al dato di trasmissione, quanto a quella relativa alla constitutio textus. Analizzando le dialefi e le dieresi d'eccezione ed espressive, nonché lo scempiamento del dittongo sia in rima sia fuori di essa, il C. è infatti portato a conclusioni che non sono solo d'ordine metrico e linguistico, ma investono pienamente, e in forma parallela e concomitante, la tematica del testo sia nell'aspetto recensivo come in quello esaminativo.
A questa stessa fase di studi possono ricondursi anche alcuni saggi posteriori, epperò governati da intenti diversi. Nello scritto intitolato Filologia e storia, del 1925, il C. volle ribadire, contro le obiezioni mossegli dal Debenedetti, l'opportunità di riconoscere dialefi e dieresi espressive in alcuni versi della Commedia. La lectura del XXXIII del Paradiso è intesa a cogliere l'interno moto del canto, che " è tutto un movimento immateriale: un accenno più che una figurazione. C'è solo la linea; non c'è il disegno " (ristampa del 1961, p. 679). Nell'articolo su Il " Volgare illustre " di D., il C. profila la ricerca linguistica di D. come proiezione di un ideale stilistico che non riesce a saldarsi con quello di lingua collettiva, mentre, nella ricerca cartografica intitolata Questioni di geografia dantesca (in " Studi d. " XII [1927] 65-77), riesamina con cura il problema del mappamondo conosciuto da Dante.
Dopo una pausa e un silenzio durati all'incirca un decennio, il C. avviò, il 1940 e poi sempre più decisamente negli anni seguenti, quella che sarà la sua scelta definitiva nell'esegesi della Commedia: cioè, un criterio interpretativo che, muovendo da presupposti metafisici e fondato su una rigorosa linea neoplatonica, si manifesta palesemente d'ordine spiritualistico e si assume come esclusiva chiave per l'intelligenza del testo. E necessario ricordare che, nel decennio fra il 1930 e il 1940, il C. aveva sperimentato il suo criterio interpretativo (nel quale è evidente l'influenza esercitata dalle proposte filosofiche di J. Maritain) su testi di ardua penetrazione critica, quali quelli dei primi trovatori provenzali e il capolavoro del Cervantes, talché, quando s'adoperò a leggere D. in codesta luce, aveva già maturato compiutamente sia i presupposti di metodo sia i particolari modi d'analisi. Affermazioni in tale direzione si trovano già nelle prime pagine della lectura del V dell'Inferno, risalente al 1940, mentre nell'articolo di tre anni posteriore, " L'amico mio e non della ventura ", il C. legge il verso in chiave rigorosamente agostiniana, proponendo l'interpretazione: " colui che amò me per me stessa di un amore disinteressato ". Anche alcuni problemi testuali del Convivio e della Commedia, in un saggio apparso nel 1944, vengono prospettati a norma dell'indicato criterio esegetico, tentandosi per tal via una chiara saldatura fra filologia puramente testuale e analisi critica.
L'istanza spiritualistica e i presupposti metafisici che governano questa seconda fase degli studi caselliani - assunti sempre più decisamente quale sistema più proprio e unico per attingere il valore poetico e applicati con un'ansia di penetrazione critica che comportò un'aspra tensione intellettuale - trovano la loro più rigorosa applicazione nell'ampio scritto su Le guide di D. nella " D. C. ", del 1946, in cui il C., fondandosi soprattutto sulla nozione maritainiana di analogia, tenta di comporre in un quadro organico il movimento dell'ascesi dantesca sotto l'egida di " saggezze " ordinate a Dio. Con la serie di scritti intitolati Interpretazioni (dal 1949 in poi), invece, lo studioso sembra stemperare e ammorbidire talune delle più rigide posizioni precedenti, ma senza abbandonare sostanzialmente un criterio, che, per altro, ha recato considerevoli contributi in sede interpretativa: come può vedersi, e più agevolmente, nelle meditate ‛ voci ' dantesche del Dizionario Bompiani, raccolte poi in volume (1966), che offrono un rapido ma assai denso consuntivo della sua prospettiva critica.
Bibl. - Si rinvia, per il congruo numero degli scritti danteschi del C., alla bibliografia allestita da F. Mazzoni, in " Studi d. " XXXIII (1955-56) fasc. II 43-60, nonché al profilo di G.E. Sansone, in Letteratura italiana. I critici, Milano 1969 (particolarmente il § 6). Si veda inoltre G. Tammi, M.C. dantista, in Piacenza a D., Piacenza 1967, 170-179.