CARRARA, Mario
Nato a Guastalla (Reggio Emilia) il 2 novembre del 1866 da Lodovico e da Bianca Zanotti. studiò a Bologna, ove nel 1889 si laureò in medicina e chirurgia. Allievo di P. Albertoni e A. Murri, subito dopo la laurea si indirizzò verso la carriera universitaria, segnalandosi ben presto per la tenacia e la serietà che poneva a base del proprio lavoro. Nel 1891 si trasferì a Torino, chiamatovi da C. Lombroso, nel cui istituto di antropologia criminale e medicina legale iniziò subito un paziente e ponderoso lavoro di ricerca e di sistemazione bibliografica, di sperimentazione, di organizzazione degli ambienti di lavoro. Dopo aver esercitato per un certo tempo l'attività di medico condotto, fuori di Torino, nel 1894 tornò definitivamente presso il Lombroso in qualità di aiuto, e iniziò la carriera didattica. Dal 1891, intanto, aveva ottenuto il titolo di assistente del Lombroso nel servizio medico presso le carceri. Nel 1898 fu chiamato a dirigere la cattedra di medicina legale dell'università di Cagliari, e qui rimase fino al 1903, quando fu chiamato nuovamente all'università di Torino a ricoprire la cattedra di antropologia criminale e medicina legale, lasciata libera dal Lombroso che era passato all'insegnamento della psichiatria.
Tutta l'opera scientifica e didattica del C. fu prevalentemente orientata nel campo della medicina legale. Formatosi alla scuola antropologica del Lombroso, il C. impostò tale disciplina su basi e concezioni assolutamente nuove.
Profondamente influenzato dalla dottrina del proprio maestro, il C. introdusse il metodo antropologico nella metodologia medico-legale: tale impostazione lo portò ad abbandonare le regole classiche e i rigidi schematismi delle perizie e dei giudizi medico-legali e a ricercare nel concorso e nella sequenza dei vari fattori umani, ambientali, costituzionali la spiegazione dei fatti osservati. L'applicazione di tali principî alla dottrina classica poneva per la prima volta i medici legali di fronte a problemi fino ad allora trascurati, e alla esigenza di accertamenti più profondi, che dovevano far luce su tutte le possibili circostanze attinenti al caso in studio. Secondo il C., quindi, un giudizio medico-legale veramente convincente non doveva fondarsi soltanto su accertamenti tecnici, ma su una serie di indagini e di dimostrazioni che costituivano, nel loro insieme, la penetrazione del criterio antropologico nella elaborazione e nella formulazione del giudizio stesso. Validi esempi dell'esigenza di questa impostazione per la risoluzione di particolari problemi medico-legali il C. indicò nelle perizie tossicologiche: dal momento che è noto che molte sostanze venefiche possono non lasciar traccia nei tessuti e nel sangue, come può un perito affermare con sicurezza che non v'è stato delitto soltanto in base ai risultati di ricerche chimiche e tossicologiche, trascurando tutti gli altri elementi di giudizio? Questa nuova concezione dinamica delle perizie e dei giudizi, che il C. estese poi a tutte le branche della disciplina, dette inizio a quell'indirizzo clinico della medicina legale, che si è poi rapidamente e saldamente affermato. Studioso profondo dei vari settori della medicina legale, il C. fu autore di numerose pubblicazioni, tra le quali meritano soprattutto di essere ricordate: Diagnostica anatomo-patologica, Torino 1911 (in coll. con J. Orth) e Manuale di medicina legale, ibid. 1937-40 (in coll. con R. Romanese, G. Canuto, C. Tovo). Egli si segnalò fra l'altro come uno dei primi ricercatori italiani di ematologia forense, e fu noto per aver ottenuto da conigli, nei quali aveva iniettato nucleoproteidi di reni di cani, sieri antisangue di cane e antinucleoproteidi dei reni di altre specie (Siero precipitante specifico per il sangue ottenuto mediante iniezioni di nucleoproteidi, in Riv. critica di clinica medica, III[1902], pp. 673-679).
Il C. curò l'organizzazione del Museo di antropologia criminale di Torino, che diresse fino al 1931, e dal 1909 fu direttore della rivista Archivio di antropologia criminale, psichiatria emedicina legale, succedendo al Lombroso morto in quell'anno.
Con la moglie Paola, figlia del Lombroso (la scrittrice "zia Mariù") il C. mantenne contatti con F. Turati, al quale ebbe cura di far pervenire regolarmente i vari numeri dell'Archivio (cfr. F. Turati-A. Kuliscioff, Carteggio, I, Torino 1949, pp. 151, 211, 261, 271, 322, 344). Nel novembre 1931 fu esonerato dall'insegnamento (e dall'incarico di medico delle carceri) in seguito al rifiuto di prestare il giuramento di fedeltà al fascismo reso obbligatorio per tutti i professori universitari, e dovette quindi dedicarsi alla pratica professionale.
Il C. morì a Torino il 10 giugno 1937.
Bibl.: Notizie biograf. e illustr. dei vari aspetti dell'opera del C. si trovano nell'Archiviodi antropologia criminale, psichiatria e medicina legale, s.4, LVII (1937). Di particolare rilievo in questo volume sono i seguenti articoli: G. Aschaffenburg, Bin Wart der Erinnerung an M. C., pp.334-343; A. Della Volta, M. C. e l'indirizzo clinico della medicina legale, pp.386-392; G. Lombroso, M. C. nella scuola lombrosiana, pp.436-446; F. Nicoletti, Contributi del prof. N. C. nel campo dell'ematologia forense, pp.476-480; cfr. inoltre I. Fischer, Biograph. Lexikon der hervorragenden Ärzte der letzten fünfzig Jahre, I, pp. 221 s.