CORSI, Mario Carlo
Nacque a Pistoia il 19 giugno 1882 da Carlo Alberto e da Caterina Bellotti Bon, figlia del celebre attore Luigi. Compiuti gli studi liceali, il C. esordì come scrittore pubblicando due raccolte di versi, Anime forti (Milano 1900), e Foglie d'edera (ibid. 1902). A Roma, nel 1905, iniziò la sua attività di pubblicista e collaborò, insieme con A. Agresti, C. Barbagallo e C. Monticelli, al quotidiano di ispirazione democratica Il Cittadino; fuquindi, a partire dal 1907, redattore de La Tribuna partecipando alla evoluzione politica del quotidiano che, tradizionalmente liberale, aderì nel 1911 alla propaganda nazionalista. Inviato speciale in Libia a più riprese tra il 1912 e il 1914 offrì nei suoi resoconti, raccolti poi in volume col titolo A traverso il Gebel (Roma 1914), un primo saggio della sua vena di scrittore brillante ed eclettico, attento a tutte le manifestazioni spettacolari. Il suo fervore politico di quegli anni viene documentato dalla collaborazione al quotidiano L'Idea nazionale (fondato il 1° marzo 1911) e al trisettimanale La Preparazione (fondato il 2 febbr. 1909). Nel 1915 fece parte di quel gruppo di interventisti che era guidato da Fausto Maria Martini. Volontario nel 1915, il C. tornò dal fronte l'anno successivo per le ferite riportate in combattimento, che gli lasciarono una invalidità.
Abbandonata la politica, si lasciò attrarre dalla nascente industria cinematografica italiana: "...Anch'io mi sentii attratto, come parecchi altri scrittori e giornalisti dal cinematografo e per due anni scrissi scenari su scenari, alcuni dei quali ebbero una certa fortuna" (M. Corsi, Un grande film del 1918, in Cinema, 10 apr. 1938, p. 226). Nel 1917 Eugenio Sacerdoti e Ugo Falena della Tespi Film di Roma si rivolsero al C. per una sceneggiatura sulla vita di s. Francesco di Assisi, "storicamente e religiosamente inattaccabile" (ibid.).
Sulla base di un'attenta lettura delle biografie francescane, dei Fioretti e degli scritti di fra' Leone e di fra' Celoro, il C. decise di mostrare alcuni episodi documentati creando "un grande quadro di folla, della grande variopinta folla che l'età di mezzo agitava" (ibid.). La prima del film Frate Sole, annunciata come "restituzione francescana in quattro canti di M. Corsi con poema sacro per orchestra e cori di Luigi Mancinelli", ebbe luogo il 7 giugno del 1918 all'Augusteo di Roma ed "assurse - ricorda il C. - a vero avvenimento d'arte", davanti ad un pubblico di eccezione, formato di principi, ministri, prelati, intellettuali.
Il successo ottenuto con quest'opera (di cui fu anche regista in collaborazione con U. Falena) portò il C. alla direzione, insieme con il Falena, della Tespi Film, dove fu attivo fino al 1922 con un certo successo: "l'esperienza più interessante del cinema italiano di questo periodo è quella che aduna alla Tespi Film un gruppo di scrittori e giornalisti, Umberto Fracchia, Ugo Falena, Mario Corsi e Arnaldo Frateili" (Paolella). Anche se le opere di maggior rilievo allora prodotte dalla casa cinematografica romana sono quelle dirette dal Frateili, si deve al C. l'indirizzo culturale della Tespi Film improntato a grande dignità, nelle sceneggiature e nelle realizzazioni, e a una cura particolare del dato storico. In questi cinque anni egli partecipò con funzioni varie - riduttore, regista o soggettista - alla realizzazione di circa venti film di discreto livello; alcuni dei quali interpretati dall'attrice Rina Calabria, che il C. aveva sposato nel 1918. Di particolare interesse due regie del 1919: La scimitarra del Barbarossa, girato completamente nell'Africa settentrionale e L'amore di Loredana, tratto con fedeltà dall'omonimo romanzo di Luciano Zuccoli.
Nel 1922, alle prime avvisaglie della crisi del cinema muto, il C. lasciò la Tespi Film e riprese la sua attività di critico teatrale, prima a La Tribuna, quindi, nel 1924 a La Gazzetta del popolo di Torino, prendendo a modello Renato Simoni: "E nel giornalismo egli va prodigando - scrive di lui il C. nel 1938 - tesori di fantasia e di studio, di intelligenza e di operosità... scrivendo critiche drammatiche nelle quali non saprei se lodare di più la chiarezza espositiva, l'acume dei giudizi, improntati sempre a indulgenza bene intesa e feconda, o la solida cultura" (in Scenario, VII [1938], 10, p. 522).
Gli articoli del C. di questi anni hanno per oggetto il variopinto mondo degli attori, animato di ricordi, di figure, di citazioni, descritto con vivacità e con un gusto sconosciuto alla aneddotica teatrale del tempo. Innamorato del palcoscenico di vecchio stampo, non si contentava di seguire attori e commediografi dalla platea, li conosceva di persona, ne studiava le abitudini fin nella vita privata, li accompagnava con consigli e giudizi (cfr. Il Giornale d'Italia, 6 apr. 1954).
Tra il 1924 e il 1929 scrisse libretti d'operetta (Don Gil dalle calze verdi, e Bambù, musicate da Carabella nel 1924-25) e commedie (Il mondo di carta, in coll. con M. Salvini, Milano 1924; Uccidimi, ibid. 1925 e Il cavaliere azzurro, Torino 1928, sempre in coll. col Salvini; Tempo di valzer, Roma 1929, in coll. con F. Paolieri). Dopo Terre dell'Islam del 1927, un resoconto di viaggio, il C. inizia con Le prime rappresentazioni dannunziane (Milano 1928) una lunga serie di libri di argomento teatrale dedicate ad aspetti e protagonisti della scena, per lo più contemporanea. Come scrive il C. nella prefazione a questo primo testo si tratta di opere "non di critica ma di preparazione alla critica" (p. 4), in cui l'interesse del C. s'indirizza soprattutto verso la ricostruzione dell'ambiente e la raccolta di dati. Direttore dal 1928 dell'ufficio romano della Società italiana degli autori, sospese parzialmente l'attività di scrittore che riprese nel 1935 con un'intensa collaborazione alla rivista Il Dramma e con due libri (Adriana Lecouvreur, Milano 1935 e Fregoli raccontato da Fregoli, ibid. 1936).
Gli articoli apparsi sul quindicinale di L. Ridenti tra il '35 e il '37 danno un'immagine "ufficiale" del C., commentatore di spettacoli "alla presenza del duce", di manifestazioni pubbliche, di interventi di politica culturale, mentre i pezzi di costume (Il teatro e la moda, in Il Dramma, 15 marzo 1937) 0 di cinema (Scipione l'Africano, ibid., 1° sett. 1936) rappresentano un interesse del tutto marginale. Diversa la collaborazione a Scenario iniziata nel 1937 con un necrologio (2 febbr. 1937) caratterizzata da un ritorno alla passione originaria per gli interpreti e il loro universo. Virginia Reiter, F. Tamagno (di cui il C. scrisse una biografia), Giacinta Pezzana, Giuditta Rissone e Petrolini furono, insieme con tanti altri, oggetto di scritti briosi e ammirati in cui era possibile al C. mostrare tutta la sua arguzia.
Accanto a questi ricordi, saggi di cultura teatrale - spesso di una certa erudizione -, di pratica scenica, aneddotica sul pubblico (si ricordano Il teatro all'aperto in Italia, Milano-Roma 1939; Maschere e volti, Milano 1942) è ricorrente, l'omaggio alla figura di Simoni. Nel 1937 iniziò a scrivere la sua opera più famosa, Vita di Petrolini, pubblicata a Milano nel 1944. Nella stesura di queste memorie petroliniane il C. rivelava tutta la sua abilità di biografo, nascondendo la sua mano dietro le parole dell'attore o dietro le numerose testimonianze raccolte con cura scrupolosa e ricreando così la figura di Petrolini in tutta la sua viva umanità. Qualche anno dopo scriverà Ecco Trilussa, Roma 1945.