BUCCELLATI, Mario
Nacque ad Ancona il 29 apr. 1891 da Lorenzo e da Maria Colombani, ambedue originari dell'Oltrepò pavese. A causa della precoce scomparsa del padre, con la madre e i fratelli fece ritorno in Lombardia e a Milano, all'età di quattordici anni, entrò come apprendista nella gioielleria Beltrami e Besnati, situata in via S. Margherita al n. S. La scelta professionale non aveva precedenti nella tradizione familiare nonostante sia testimoniata la presenza in Milano, agli inizi dell'Ottocento, di orafi di nome Buccellati, mentre gli ascendenti del B. si erano distinti nel corso del secolo XIX nell'ambito pavese. Chiamato alle armi allo scoppio del conflitto mondiale nel 1915, ferito sul Carso e insignito della croce di guerra, nel 1918 fece ritorno a Milano. Nel medesimo anno la ditta Beltrami-Besnati si era sciolta e il negozio di via S. Margherita era stato ceduto ad un commerciante di pietre preziose che nel 1919 lo vendette al B. il quale, avendo già acquisito una straordinaria abilità artigianale e sviluppato una personale disposizione inventiva, decise di continuare l'attività con il proprio nome (il negozio è stato ora trasformato nella sede milanese della Banca popolare di Novara).
La rapida fortuna dell'impresa lo convinse ad aprire nel 1925 un secondo negozio a Roma, al n. 31 di via Condotti, cui sarebbe seguita, nel 1929, l'apertura della sede fiorentina di via Tornabuoni; a conferma della fama ormai raggiunta, il gioielliere nel 1921 venne ufficialmente invitato ad esporre le proprie creazioni ad un'importante mostra a Madrid, nel palazzo della Casa Errayz y Comp. La fama sempre crescente del B., cui cominciavano a ricorrere personalità italiane e straniere (dai Savoia al Vaticano, dal re d'Egitto all'aristocrazia, dall'alta borghesia imprenditoriale a celebri attori), si accompagnava ad un progressivo affinarsi del suo stile e nelle tecniche d'esecuzione e nella varietà delle concezioni, che egli realizzava mantenendo un continuo rapporto diretto con gli artigiani cui affidava i propri disegni esecutivi.
Ogni oggetto prodotto nel negozio milanese era singolo e veniva catalogato con un numero progressivo, descrizione, disegno e prezzo su appositi registri in parte conservati dagli eredi.
Un evento fondamentale nella vita del B. fu l'amicizia con Gabriele D'Annunzio, uno dei suoi più fedeli e prestigiosi committenti. Il poeta era entrato per la prima volta nel negozio milanese nel 1922 e immediatamente aveva ordinato una serie di oggetti; da quel momento aveva avviato un rapporto costante con l'orafo, di cui testimonia il ricco epistolario, conservato dagli eredi, che conta ottantatré lettere dal 7 nov. 1922 al 23 dic. 1936 pubblicate solo in parte (Bossaglia, 1977), sia per acquistare pezzi della produzione del B., sia per chiedergli ideazione ed esecuzione di opere speciali, delle quali lo stesso D'Annunzio in molti casi forniva sOmmari progetti verbali e persino schizzi.
Nella lettera del 19 dic. 1926 il poeta chiede: A una bella testina di bronzo dorato, d'arte indica, decapitata, voglio apporre il getto di sangue: nello stile di getti sanguigni sgorganti dal capo mozzo di Giovanni, nelle pitture dei primitivi. La testa di bronzo, posata sull'orlo di un marmo, deve grondare sangue non orizzontalmente ma verticalmente [disegno]". Così nello stesso anno nella missiva del 5 dicembre afferma: "Adoperi le scararnazze con un'arte acutissima. E i talismani si accrescono di efficacia per l'incisione "Mastro Paragon Coppella" che è il tuo nome di gloria nella posterità", coniando l'emblernatico appellativo che il B. adottò come blasone (con riferimento al piccolo crogiolo per raffinare oro e argento) e che è tuttora utilizzato dal figlio Federico, continuatore del negozio di via Condotti. Il carattere riservato e schivo del B. ha fatto sì che l'identità di "Mastro Paragon Coppella", così come molte notizie biografiche, sia restata per vario tempo ignota ai più, anche agli esegeti dell'opera di D'Annunzio.
Per il B. la preziosità non era nel valore intrinseco delle pietre, ma nelle loro particolarità. Dovevano essere difficili da montare e da commerciare: perle barocche e scaramazze, smeraldi, rubini e zaffiri dalle forme inconsuete, pietre dure di poco valore, ma tutti comunque pezzi unici e irripetibili. Le stesse legature erano spesso di materiale non pregiato, tant'è che durante il secondo conflitto mondiale creò oggetti straordinari in rame con minime percentuali in argento e nel primo dopoguerra anelli in acciaio e oro. Lo stile inizialmente legato alle forme del gusto Liberty, a cui bene si adattavano pietre particolari, subì un'evoluzione sotto l'egida dannunziana secondo modi che il poeta stesso definì "stile Vittoriale" (lettera del 1° apr. 1932), ispirato o arieggiante a corone, monili, collari bizantini e barbarici, dove si accentuano l'impiego degli smalti, i lavori in argento cesellato e le pietre tagliate "a cabochon". Negli anni Trenta si assiste ad un recupero neocinquecentesco (legato al filone rappresentato nelle arti figurative da G. Cellini, A. De Carolis e G. A. Sartorio) caratterizzato dall'impiego dell'oro,giallo di tonalità differenti, da incassi di pietre non tagliate, perle scaramazze e da forme ricavate da iconografie rinascimentali. Nel secondo dopoguerra i mutamenti del gusto non attenuarono l'originalità e il senso cromatico dell'orafo che in sintonia con le mutate esigenze della clientela iniziò a produrre clips, bracciali a lastra, anelli a fascia intera, lavori di raffinata incisione su metalli di varia natura con tecniche nuove: "il telato", "il rigato", "il segrinato", "il modellato".
Nel 1956 il B. aprì un nuovo negozio a New York sulla Fifth Avenue nell'effificio dell'Hotel Regis (attualmente sempre sulla stessa strada nella Trump Tower) e nel 1958 una seconda sede statunitense sulla Worth Avenue a Palm Beach: iI successo d'Oltreoccano dei gioielli firmati dal B. si dovette proprio a quella fedeltà alla forbitezza artigianale e al caratteristico stile definito "all'italiana", identificato nelle particolari montature a traforo e nell'impiego di materiali talvolta non preziosi, ma estremamente decorativi.
Il B. morì a Milano il 5 maggio 1965. Nel 1921 aveva sposato Maria Rodolfi, dalla quale aveva avuto cinque figli, due dei quali, Lorenzo e Federico, hanno continuato l'attività paterna, ma esclusivamente sul piano commerciale con una riproposta delle invenzioni dei Buccellati.
Fonti e Bibl.: M. B. orafo, note manoscritte dei figlio Federico (1985, proprietà credi Buccellati); M. Di Lorenzo, Da Roma a New York l'impero del "Principe dei gioiellieri", in Il Parlamento italiano, VII (1959), n. 3-4, pp. 42 ss.; R. Bossaglia, I gioielli di Gabriele D'Annunzio, in Bolaffi Arte, novembre-dicembre 1977, n. 74, suppl., pp. 40-47; AA. VV., I gioielli degli anni '20-'40: Cartier e i grandi del Déco (catal.), Milano 1986, n. 47.