BIRAGO, Mario
Nacque a Milano verso la metà del sec. XVI dal protonotario apostolico Giacomo Antonio e da Costanza Scarpa. Dal padre, prelato concubinario ben fornito di benefici ecclesiastici, ereditò terre e feudi, oltre al mestiere di spione al servizio degli Spagnoli. Un documento del 19 apr. 1558 attesta che il B. e i suoi fratelli pagavano "di livello al abbatia di S. Vincenzo in Prato de Milano (della quale il padre era stato titolare) libre settecentodue et soldi dieci" e in un altro documento del 2 dic. 1559 il B. stesso dichiarava di possedere duecento pertiche di pascoli nel territorio di Corbetta.
Ben altrimenti redditizia era l'altra eredità paterna: il protonotario Birago aveva svolto per decenni un'intensa attività di informatore politico al servizio del governo dello Stato di Milano, sfruttando ampiamente la presenza dei suoi fratelli Ludovico, Girolamo e Carlo nell'esercito francese del Piemonte e del cugino Renato Birago nelle più alte cariche del regno di Francia. Alla sua morte il B. ne continuò l'attività, recandosi spesso in Piemonte presso gli zii per raccogliere notizie da trasmettere agli Spagnoli.
Come riferì a Filippo II nel 1572 il comendador mayor de Castilla don Louis de Requesens, il B. "sirvió mucho en tiempo del duque de Sessa y del marques de Pescara", cioè negli anni compresi tra il 1559 e il 1563, quindi abbandonò l'Italia e si trasferì in Francia, dove tenne per sette-otto anni il comando di una compagnia di trecento fanti partecipando alle guerre di religione col grado di "Lugarteniente de maestre de campo general". Nel 1571 ritornò in Italia e riprese i contatti con gli Spagnoli: il governatore interino dello Stato di Milano don Alvaro de Sande lo invitò a riprendere la vecchia attività di informatore politico e a tal fine lo fece venire a Milano per concordare le modalità del lavoro da svolgere. Per un compenso di 100 scudi e la promessa di ottenere alla prima occasione una carica militare, il B. cominciò a fornire le prime notizie politiche provenienti da Parigi.
L'arrivo a Milano del governatore effettivo, il comendador de Castilla don Louis de Requesens, non interruppe i rapporti del B. che gli si presentò e gli annunciò un prossimo viaggio in Francia con l'intenzione di raccogliere notizie di prima mano negli ambienti della corte. Da Parigi il B. inviò a Milano numerosi avvisi con importanti notizie sulla situazione interna francese e sugli affari di Fiandra e di Piemonte. La sua richiesta di avere una carica stabile e decorosa nell'esercito spagnolo di Lombardia non ebbe però alcun seguito, cosicché il B. lasciò cadere la sua attività in favore degli Spagnoli. La riprese nel 1574, quando il nuovo governatore del Milanese, il marchese di Ayamonte, lo fece chiamare, proponendogli di riprendere il solito lavoro di informatore. Neanche questa volta si fece pregare troppo e all'Ayamonte, che voleva approfittare della morte di Carlo IX per tentare un colpo di mano sul marchesato di Saluzzo del quale aveva il governo Carlo Birago, propose di consegnare Carmagnola. L'avventuroso progetto non ebbe però alcun seguito per l'opposizione di Filippo II. Il B., che nel frattempo era ritornato a Parigi, continuò a fornire informazioni riservate all'Ayamonte che vantò a Filippo II le sue benemerenze di informatore e lo propose per una carica militare capace di legarlo definitivamente al servizio del re cattolico. Filippo II si guardò bene dall'accogliere le sollecitazioni del suo ministro con la conseguenza che il B., stanco ormai di promesse, si decise con rapido voltafaccia a riservare i suoi preziosi servizi al re cristianissimo e troncò ogni rapporto con gli Spagnoli.
L'estrema facilità con cui operò la sua conversione al servizio francese lascia supporre che anch'egli, come già il padre, avesse svolto in passato il classico doppio gioco, fornendo agli Spagnoli le notizie raccolte in Francia e in Piemonte e ai Francesi quelle raccolte a Milano. Ma al di là di questo piccolo cabotaggio di informatore politico, si arrivano ora al B. prospettive di sistemazione e di carriera ben altrimenti concrete e prestigiose. Mentre a Milano era solo una spia che riceveva un po' di denaro e molte promesse, a Parigi il B. aveva rango e dignità di gentiluomo, poteva vantare la sua appartenenza al clan dei Birago fuorusciti in Francia e Piemonte e godere di tutto l'appoggio dell'influente cancelliere del regno Renato Birago, cugino del padre.
Nel maggio del 1575 il B. fu nominato ambasciatore del re cristianissimo a Genova, dove nel febbraio era scoppiata una grave crisi politica suscettibile di offrire qualche possibilità di penetrazione dell'influenza francese nella vita politica dell'inquieta Repubblica.
La crisi genovese aveva alla base il secolare conflitto tra le due fazioni nelle quali era diviso il patriziato cittadino. Ai nobili "vecchi" che detenevano tutte le leve del potere si contrapponevano i "nuovi" che, facendo leva sul malcontento popolare e sui diffusi risentimenti antioligarchici, miravano alla conquista delle più alte cariche di governo. Nel marzo del 1575 il conflitto era esploso in una rivolta popolare che strappò l'abolizione della legge del "garibetto", invisa ai "nuovi" perché permetteva ai "vecchi" di controllare l'accesso alle cariche pubbliche, l'aggregazione alla nobiltà di trecento nuovi membri e l'abolizione o riduzione delle gabelle più odiate dai ceti popolari. Il successo della rivolta, che portò anche i "nuovi" al governo della Repubblica, provocò l'immediata reazione dei "vecchi" che, guidati da Giovanni Andrea Doria, abbandonarono in massa la città per organizzare la rivincita a mano armata, con l'appoggio spagnolo. Il rischio di un appesantirsi della influenza spagnola sulla Repubblica non mancò di richiamare sulle vicende genovesi l'attenzione delle altre potenze. La Francia in particolare, pur avendo in quel momento terribili problemi interni da affrontare, non poteva starsene in disparte. L'intervento della corte di Parigi fu sollecitato del resto dagli stessi nobili "nuovi" che in Francia e in Piemonte trovarono l'appoggio incondizionato dei Birago, quanto mai desiderosi di risollevare le fortune dell'influenza francese in Italia. Al centro degli intrighi franco-genovesi erano Carlo Birago, governatore del marchesato di Saluzzo per Enrico III, e il cancelliere Renato che fecero tutto il possibile per forzare la mano al re e indurlo a una pericolosa politica di prestigio se non addirittura a un intervento armato a Genova. In questo quadro la scelta del B. riesce perfettamente comprensibile: una volta stabilito di mandare a Genova un ambasciatore del cristianissimo col compito dimostrativo di assicurare ai "nuovi" la protezione francese, riuscì facile al cancelliere Birago ottenere la nomina di una persona di sua piena fiducia, di un italiano devoto alla causa francese capace di svolgere perfettamente i compiti diplomatici ufficiali e quelli meno ufficiali, di sostenere e animare il partito filofrancese a Genova in ben congegnato accordo con l'altro Birago governatore del marchesato di Saluzzo.
Il B. arrivò a Genova con due navi di Galeazzo Fregoso, esponente dei "nuovi", ai primi di luglio. Il suo arrivo fu accolto dai popolari con le più vive manifestazioni di gioia e non senza preoccupazione dell'ambasciatore spagnolo don Juan de Indiaquez che, fermamente deciso a bloccare ogni possibile inframmettenza francese nella crisi genovese, predispose tutte le necessarie misure per ottenere dal governo della Repubblica un rapidissimo disbrigo delle formalità d'uso e l'immediato congedo del pericoloso inviato del cristianissimo. Sapeva assai bene che il soggiorno genovese del B. era stato concepito essenzialmente in funzione antispagnola e temeva che le calde accoglienze ricevute e gli stretti contatti subito stabiliti con vari esponenti dei "nuovi" lo inducessero a tentare subito l'avventura di un colpo di mano.
Dal B. niente di buono si aspettava neanche il legato pontificio, il cardinale Giovanni Morone, che era venuto a Genova per trovare una soluzione di compromesso tra le due opposte fazioni e temeva un inasprimento dei contrasti e la ripresa dei tumulti.
Né l'Indiaquez né tanto meno il Morone si resero però conto della sostanziale inconsistenza della minaccia francese su Genova e del carattere puramente diplomatico della missione del Birago. Nelle schermaglie diplomatiche, il B., definito dal Morone "uomo di qualche lettere et d'ingegno, et pratico", rivelò in effetti un'indubbia abilità. Deciso a prolungare il più a lungo possibile il suo soggiorno a Genova, e a garantire la presenza dell'influenza francese, tanto desiderata dai "nuovi" per controbilanciare l'appoggio spagnolo ai "vecchi", egli cercò di ritardare la sua partenza, ricorrendo a vari espedienti, ora dichiarandosi ammalato, ora sollecitando dalla Signoria una relazione scritta sulla crisi politica genovese. I suoi espedienti trovarono credito presso il governo della Repubblica, sensibile certo alle pressioni dell'Indiaquez; e del Morone, ma non disposto a congedare bruscamente l'inviato del cristianissimo, nel timore di una rottura con la Francia che sarebbe andata ad esclusivo vantaggio dei "vecchi" e dei loro alleati. Il 10 luglio il Senato dette risposta al B., incaricandolo di esprimere a Enrico III tutta la sua gratitudine per l'aiuto offerto, che il governo della Repubblica si riservava di prendere in considerazione in caso di bisogno. Ora sembrò all'ambasciatore spagnolo che il B. non avesse più ragione di protrarre oltre il suo soggiorno a Genova e alla Signoria dichiarò risolutamente che doveva scegliere tra l'ambasciatore del re di Francia e quello del re di Spagna. Posta davanti a tale alternativa, la Signoria si decise a congedare il B., che dovette affrettarsi a lasciare la città. Si concludeva così la sua missione genovese, con indubbio successo, se si considerano le effettive possibilità concesse alla sua azione. Come osservò il Morone in un dispaccio del 16 luglio al cardinale Gallio, i "nuovi" erano più che soddisfatti "d'haverlo fatto venire, ricevere et honorare, et dicono che il re temeva che non fusse admesso, et però era andato lento in mandarlo et non gli haveva dato titolo d'ambasciatore, et si come questi tali hanno trattato a parte con esso Birago più oltre che non si è trattato in Signoria, così stimano con molto servizio di Francia di haver fatto piegar alla sua devotione buona parte degli animi di questo popolo..." (Arch. Segr. Vat., Genova, vol. 3, f. 401r).
Abbandonata Genova, il B. si diresse a Saluzzo dove si abboccò con lo zio Carlo Birago, che credeva nella possibilità di un colpo di mano sulla vicina Repubblica e tempestava in tal senso la corte francese. Dopo una breve sosta a Saluzzo, raggiunse Parigi ai primi di agosto e riferì a corte sulla questione genovese. Soddisfatto del successo diplomatico ottenuto dal B., Enrico III lasciò intendere pubblicamente di avere quasi in mano la città ligure e di preparare una spedizione francese al più presto. Sembrava che la corte accedesse al punto di vista sostenuto tanto calorosamente dai Birago, ma si trattava di semplici minacce intese a contenere l'eccessiva ingerenza spagnola nelle vicende interne della Repubblica genovese. Il timore di un intervento francese fu avvertito in effetti alla corte di Madrid che, ad evitare sorprese, inviò una flotta al comando di don Giovanni d'Austria nelle acque di Genova. L'abile gioco diplomatico francese otteneva così risultati assai brillanti, ai quali non erano certo estranei i Birago con il loro continuo affannoso agitarsi per promuovere una diretta ingerenza francese nella questione genovese: a Parigi ai primi di ottobre del 1575 si parlò di una seconda ambasceria presso il governo della Repubblica da affidare ancora una volta al Birago. A questo punto l'ambasciatore spagnolo a Parigi, Diego de Zuffiga, tentò di prendere contatto col B., nella speranza, tutt'altro che mal fondata, di convincerlo a riprendere il vecchio lavoro di spia al servizio del re cattolico. Il tentativo riuscì perfettamente, stando a quanto lo Zuffiga riferì a Filippo II il 3 ottobre, seppure la documentazione disponibile non ci consenta di conoscere gli sviluppi della vicenda.
Di una seconda missione del B. a Genova non si ha notizia né pare che abbia mai avuto luogo. Del resto ormai la crisi genovese volgeva decisamente verso una soluzione per la mediazione del legato pontificio che tra il settembre e l'ottobre del 1575 convinse le due fazioni a rimettersi all'arbitrato dei rappresentanti del papa, del re cattolico e dell'imperatore: il lodo arbitrale pronunciato a Casale il 10 marzo 1576 tolse definitivamente ai Birago ogni speranza di giocare la carta dell'avventura genovese.
L'attività di spia svolta per conto degli Spagnoli restò sempre del tutto sconosciuta alla corte di Parigi, dove il B. continuò a godere della solita considerazione. Nel 1579, in occasione della grave crisi scoppiata nel marchesato di Saluzzo, il B., che figurava come cavaliere e consigliere del re, fu mandato in Piemonte col compito di trovare una soluzione compromissoria del conflitto insorto tra lo zio Carlo Birago e il maresciallo di Francia Roger de St.-Lary, signore di Bellegarde, il quale comandava due piazze del marchesato e minacciava di scacciare il governatore Birago con la forza.
Il B. compì la sua missione (doveva sollecitare anche una mediazione del duca di Savoia) tra il gennaio e il febbraio del 1579, ma non ottenne il risultato che si riprometteva, di convincere cioè il Bellegarde a desistere dai suoi minacciosi propositi nei confronti di Carlo Birago. Né era la persona più adatta a conseguire un tale risultato, dati i suoi stretti rapporti di parentela col nemico del Bellegarde, al quale ultimo la missione apparve come un evidente tentativo del clan dei Birago di neutralizzare, con l'appoggio dell'autorità reale, le sue manovre contro il governatore di Saluzzo. Il Bellegarde dichiarò sprezzantemente al B. che se il re non gli concedeva entro sei settimane al massimo la carica che gli spettava per via del suo rango sarebbe passato all'azione di forza. Al B. non restò che tornare a Parigi e riferire al re il risultato fallimentare della sua missione. Le minacce del Bellegarde non restarono tali: fallito un secondo tentativo di accordo patrocinato dal duca di Savoia, il 14 giugno 1579 marciò alla testa delle sue truppe su Saluzzo abbandonata precipitosamente da Carlo Birago, che il B. accompagnò nel settembre a Lione per sollecitare da Caterina de' Medici un intervento risolutivo della corte contro il Bellegarde.
Di un'ultima missione diplomatica del B. al servizio di Enrico III dette notizia a Filippo II il 10 febbr. 1582 da Milano Diego Garcia de Padilla. Il B. era in quel momento in Svizzera col compito di confermare una certa "liga", non identificata, relativa con tutta probabilità all'assoldamento di truppe svizzere al soldo del cristianissimo. Il Padilla entrò in contatto con lui, riuscì a convincerlo senza fatica e lo incaricò di avviare trattative per indurre a passare al servizio spagnolo Carlo e Renato Birago, in quel momento particolarmente "desdeñados de su amo". Ne ebbe in risposta la promessa di iniziare il sondaggio a condizione che Filippo II si decidesse a concedergli quella carica onorata nello Stato di Milano da tanti anni e sempre invano richiesta. Neanche questa volta però il re prudente volle conferire a un avventuriero come il B. una qualsiasi carica.
Conclusa la sua missione in Svizzera, il B. ritornò in Francia, e quindi seguì il duca Francesco d'Angiò nella sua spedizione in Fiandra. Morì nel febbraio del 1583, nel corso del fallito tentativo ftancese di prendere Anversa.
Fonti e Bibl.: Archivo General de Simancas,Estado, legg. 1232, f. 70; 1235, ff. 5, 85, 86; 1239, ff. 24, 81, 192; 194; 1253, f. 1; K 1537, ff. 53, 54, 58, 69, 75, 116; 1407, ff. 56, 57, 58; Arch. Segr. Vat.,Segreteria di Stato,Genova, vol. 3, ff. 362 r, 364 r, 366 r, 368 r, 371 r-v, 373 v, 375 r-v, 380 v, 381 r, 383 r, 385 r, 393 v, 394 r, 396 r, 401 r; Milano, Archivio storico civico,Famiglie, cart. 199; Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, a cura di G. Canestrini e A. Desjardins, IV, Paris 1872, p. 453; Calendar of State Papers,Foreign Series,of the reign of Elisabeth, 1579-80, a cura di A. J. Butler, London 1904, pp. 30-35; Nunziature di Napoli, I, 26 luglio 1570-24 maggio 1577, a cura di P. Villani, Roma 1962, pp. 332 s.; A. Pascal,Ilmarchesato di Saluzzo e la Riforma protestante durante il periodo della dominazione francese, Firenze 1960, pp. 429, 432, 486; P. Litta,Famiglie celebri italiane, Birago di Milano, tav. IV.