ZORZI, Marino
ZORZI, Marino. – Figlio di un Matteo Zorzi e di una donna di nome Maria, di cui si ignora la famiglia, nacque a Venezia nel 1238 o 1239, probabilmente nella parrocchia di S. Giustina nel sestiere di Castello, dove si trovava il palazzo del ramo della famiglia al quale egli apparteneva.
Ebbe una sorella di nome Giovanna. Non sembra abbia avuto fratelli, e se ne ebbe gli premorirono.
Quanto all’anno di nascita, sembra affidabile la notizia del pur tardo (XVI sec.) Gian Giacomo Caroldo, che gli attribuisce 72 anni al momento dell’elezione a doge (G.G. Caroldo, Istorii Veneţiene, a cura di Ş.V. Marin, II, 2009, p. 129). Risulta pertanto da rigettare l’ipotesi, generalmente accettata, secondo la quale sarebbe stato già ottuagenario in quella congiuntura.
Quasi nulla si conosce dei suoi anni giovanili, anche se potrebbe identificarsi con lui un Marino Zorzi molto attivo nell’ultimo ventennio del Duecento: membro del Minor Consiglio nel 1283-84 e ancora nel 1286, giudice del Piovego nel 1284-85, podestà di Chioggia una prima volta nel 1285 e una seconda nel 1297. Fu sicuramente il futuro doge, invece, a essere eletto il 23 novembre 1303 ambasciatore a Roma presso Benedetto XI da poco consacrato al soglio di Pietro; e il 10 novembre 1310 fu destinato dal Maggior Consiglio alla stessa funzione presso l’imperatore Enrico VII di Lussemburgo.
Si trattava di una missione delicata, perché la Repubblica non aveva accolto bene il tono autoritario delle richieste che l’ambasciatore del re dei Romani le aveva presentato prima dell’inizio della spedizione in Italia: che Enrico fosse senz’altro riconosciuto come imperatore e re d’Italia, che fosse inviata un’ambasciata presso di lui, sospesa ogni guerra, e che vi fosse pronta e piena disponibilità ad adempiere gli obblighi – non meglio specificati – dovuti nei suoi confronti. Il doge Pietro Gradenigo aveva risposto congratulandosi per la prossima venuta dell’imperatore e promesso un’ambasciata, ma aveva negato che i contrasti in essere con il papa si configurassero come stato di guerra; quanto agli obblighi, si era tenuto sulle generali assicurandone il rispetto qualora davvero esistessero.
La designazione alla guida di questa ambasciata prova il prestigio di cui godeva Zorzi, che tuttavia non prese parte alla missione, poiché rinunciò all’incarico adducendo motivi di salute e venne pertanto sostituito.
I componenti dell’ambasceria raggiunsero l’imperatore e furono presenti alla sua incoronazione a re d’Italia avvenuta a Milano il 6 gennaio 1311, anche se, al pari dei delegati genovesi, essi non prestarono il richiesto giuramento di fedeltà.
Pochi mesi dopo (13 agosto 1311) morì il doge Gradenigo dopo un governo molto travagliato, caratterizzato negli ultimi anni da eventi decisamente negativi: la guerra per la conquista di Ferrara nel 1308-09 (con il conseguente interdetto e scomunica di Venezia da parte di Clemente V con bolla del 27 marzo 1309), la congiura Querini-Tiepolo (giugno 1310), un’ennesima ribellione di Zara nel 1311.
La morte di Gradenigo non fu dunque rimpianta e soprattutto non pose termine alle divisioni e alle fratture interne del ceto dirigente veneziano, per cui non fu agevole trovare un adeguato successore. In una prima battuta fu eletto Stefano Giustinian, il quale però rifiutò il gravoso incarico, preferendo farsi monaco nel monastero benedettino di S. Giorgio Maggiore.
Il 23 agosto, alla fine, la scelta dei 41 grandi elettori cadde sull’anziano Zorzi, un patrizio conosciuto più per le sue virtù morali e la singolare devozione religiosa – al punto da essere soprannominato «il santo» (Venetiarum historia vulgo Petro Iustiniano Iustiniani filio adiudicata, a cura di R. Cessi - F. Bennato, 1964, p. 288) – piuttosto che per il suo cursus honorum e gli incarichi politici ricoperti.
Quando venne eletto, Venezia era soggetta da oltre due anni a scomunica: tra le ragioni della scelta, vi fu forse la speranza che la riconosciuta religiosità di Zorzi (che effettivamente fece un tentativo in questa direzione, attraverso canali diplomatici) contribuisse a farla revocare. Inoltre, Zorzi poteva avere qualche chances per promuovere una riconciliazione con le famiglie protagoniste del recente grave episodio, visto che attraverso la moglie era imparentato con i Querini (si veda infra) e viveva nella stessa parrocchia dei Tiepolo; tuttavia nella sua promissione dovette giurare di non modificare in alcun modo quanto era stato deciso a carico dei traditori e dei loro seguaci sfuggiti alla morte.
In ogni caso Zorzi dovette subito gestire le complesse crisi che si erano aperte, sia sul fronte del Regno d’Italia che in Adriatico. Ricevuta da Enrico VII una richiesta al riguardo (5 ottobre 1311, da Cremona), Zorzi acconsentì a inviare un’ambasceria a Roma, ove doveva avvenire la consacrazione imperiale, e il 14 ottobre ratificò la composizione dell’ambasciata. Fu inoltre concessa al sovrano la possibilità di arruolare fino a un massimo di millequattrocento balestrieri veneziani, di cui aveva evidentemente bisogno, considerando le ostilità dalle quali era circondato.
Nel settore adriatico, continuava invece la ribellione di Zara, scoppiata nel marzo 1311. L’elezione di Zorzi cadde nel bel mezzo dei preparativi (un prestito pubblico indetto il 17 luglio 1311, poco prima della morte di Gradenigo) per finanziare l’invio di una flotta contro la città ribelle; risultati inutili i tentativi di pacificazione, si era infatti deciso di ricorrere alla forza per soffocare la rivolta. Il comando della squadra fu affidato a Belletto Giustinian, che però venne sconfitto e, fatto prigioniero, fu giustiziato il 9 settembre 1311. La vittoria degli zaratini era stata ottenuta anche grazie all’appoggio offerto a questi ultimi dal re ungherese Carlo Roberto d’Angiò che, come i suoi predecessori, nutriva dichiarate ambizioni di dominio sulla Dalmazia. Zorzi indirizzò due lettere al sovrano, il 14 ottobre e il 12 novembre 1311, nelle quali esponeva i diritti di Venezia su Zara e lo pregava di non fornire ulteriore aiuto ai rivoltosi. Nello stesso tempo, il 17 ottobre, scrisse anche agli zaratini, esortandoli a inviare ambasciatori a Venezia per trattare la pace. Ma i tentativi fallirono e tra il marzo e il maggio del 1312 il governo veneziano provvide a bandire altri due prestiti e fu costretto ad aumentare alcune tasse per sopperire alle spese del conflitto, che rimase aperto.
Miglior successo ebbe l’attitudine alla mediazione di Zorzi nel contrasto con Padova, sin dal 1303 in conflitto con Venezia a causa in particolare di diritti di navigazione lungo il fiume Brenta. Nell’aprile del 1312 fu stipulato un trattato che regolava la questione, prevedendo anche la restituzione dei beni sottratti, il pagamento dei danni subiti, la libertà di navigazione sull’Adige e il trasporto del legname da Bassano, oltre alla possibilità per i padovani di procedere all’acquisto del sale prodotto a Chioggia.
Sposò un’Agnese, quasi sicuramente appartenente alla famiglia Querini, che morì nel 1320 e fu inumata accanto al marito. Dal matrimonio nacque solo una figlia, Elena, unica discendente citata nel testamento e premorta al padre. Aveva infatti fatto redigere le sue ultime volontà il 30 giugno 1312, tre giorni prima della morte, nominando esecutori la moglie, la sorella, i procuratori di S. Marco Gratone Dandolo e Teofilo Morosini, e Marco Vitturi. Alla moglie lasciò la disponibilità del palazzo di famiglia finché fosse rimasta in vita e una rendita annua per le sue necessità. Un altro lascito prevedeva l’erezione di un ospedale per ospitare bambini poveri di entrambi i sessi nei pressi della chiesa in cui venne sepolto. Particolarmente legato ai domenicani, destinò un lascito compreso fra 2500 a 3000 lire per la costruzione di una chiesa e di un convento dove si sarebbero dovuti installare dodici frati predicatori; la costruzione venne ultimata cinque anni più tardi nel suo sestiere natale di Castello con il titolo di S. Domenico.
Morì il 3 luglio 1312, dopo poco più di dieci mesi di governo: uno dei più brevi dogadi della storia veneziana, e fu sepolto nel chiostro della chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo in un’umile tomba, di cui già nel XVIII secolo si era perduto il ricordo dell’ubicazione precisa.
In un antifonario trecentesco, attualmente conservato presso il Museo Correr di Venezia, sì è conservata una miniatura del doge, forse l’immagine miniata ducale più antica: essa mostra Zorzi, nell’atto di offrire un volume – forse lo stesso antifonario – a s. Domenico e a un frate domenicano effigiati fianco a fianco (Pertusi, 1965, pp. 49 s.).
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