MORETTI, Marino
MORETTI, Marino. – Quartogenito di otto figli, nacque a Cesenatico nella casa dei nonni paterni in via Mazzoni, il 18 luglio 1885, da Ettore, impiegato comunale e imprenditore di trasporti marittimi, e da Filomena Moretti (stesso cognome del marito, anch’egli di famiglia di provenienza marchigiana), maestra elementare di origine pesarese.
In seconda elementare Moretti fu scolaro della madre, mentre ebbe un rapporto difficile col padre. Scomparsa lei, ribattezzata «Suor Filomena», il 15 agosto 1922, figlio e padre si ritrovarono vicini ma reciprocamente assenti. Il padre morì il 28 ottobre 1928. Dei suoi fratelli, prima di lui, Libero e Luigia morirono a meno di un anno dalla nascita, come, dopo di lui, anche Bice e Vittorina. Olindo, nato nel 1882, si suicidò il 28 giugno 1904. Così solo Anna (Nina) e Ines, le ultimogenite, entrambe sposate, costituirono la sua famiglia terrena.
In una precoce sintetica biografia (v. La Nuova Lettura, 15 marzo 1906), si legge: «Nacque, vent’anni fa, a Cesenatico, un paesello dell’Adriatico. Romagnolo nell’anima, elesse la Toscana a sua patria ideale». Il mito eroico e paesistico della Romagna (Antonio Beltramelli, Alfredo Oriani) fu tuttavia completamente trasceso: «lapis», parola morettiana incisa sulle poesie scritte fra il 1905 e il 1909, stava a indicare una letterarietà debole, consunta, con una vena di degradazione comico-crepuscolare (introdotta dai Colloqui di Gozzano), così che il paradisiaco hortulus animae si crepuscolarizzava in hortulus animulae. Ideali antieroici («Chinar la testa che vale? / Che vale fissare il sole? / Ciò che vorresti non vuole / chi è più forte, o mortale» (da Che vale?) e un orizzonte di noia. Di Carducci Moretti dette una definizione, come di «una specie di Sardou della grande lirica teatrale e declamatoria» (Il tuon di maggio e nonna Lucia: da Via Laura, p. 331). Il pascolismo, in variante crepuscolare, ironicamente eufemistica e attenuativa, forgiò la sua vena morbida e cangiante, in verso e in prosa. Dati biografici, variamente traslati e romanzati, sono rintracciabili in: Il segno della croce (Milano 1926), La Casa del Santo Sangue (ibid. 1930), I grilli di Pazzo Pazzi (ibid. 1951), Il libro dei miei amici (ibid. 1960), Anna degli elefanti (2ª ed. rivista, ibid. 1963, ma 1937), Diario senza le date (ibid. 1974). Eminente ritrattista letterario, ha lasciato una serie di cammei, maestri e amici: Pascoli, d’Annunzio, Serra, Borgese, Ojetti, Valgimigli.
Epistolografo di gran lena, bussò alla porta del cuore degli amici (in particolare di Aldo Palazzeschi), con costante ma non sempre ricambiata frequenza. L’intero carteggio è rilevante a fini autobiografici, anche per le rivelazioni più intime: descrisse i ritmi biologici, l’educazione letteraria, una insistita malinconia, interrotta da estri poetici e divagazioni, e un sostanziale autodidattismo.
Moretti ebbe un’esistenza solitaria, integralmente vissuta come proiezione letteraria, fra esaltazione e vittimismo, e assunse lo pseudonimo Aliosha, tratto dai Fratelli Karamazov di Dostoevskij. Studente svogliato, dopo le elementari alla «2 agosto 1849» di Cesenatico (rimangono tre quaderni autografi, datati ottobre 1893 - luglio 1894, con lettere ed esercizi, riassunti e composizioni, completi dei voti della maestra), frequentò nel 1896 l’istituto Sant’Apollinare di Ravenna e, nell’autunno 1897, il ginnasio-liceo Vittorino da Feltre di Bologna; quindi, nell’autunno 1901, la scuola di recitazione Tommaso Salvini nella fiorentina Via Laura n. 58, fondata e diretta dal ravennate Luigi (Gigi) Rasi. Nel gennaio 1902 risiedette in via del Proconsolo; successivamente in via Laura n. 14, quindi al n. 7, in una stanza vicina a quella che sarà poi di Renato Serra.
Fu proprio in Via Laura (Milano 1931, quindi accr. e riproposto come Il libro dei sorprendenti vent’anni (Via Laura), 1944; 3ª ed., 1955), che Moretti seppe guardare ai personaggi di ieri e di oggi, fra cui Tommaso Salvini, morto il 31 dicembre 1915, ed Eleonora Duse, leggende del teatro. Via Laura, che entra a far parte di Tutti i ricordi, è il libro della formazione concentrata nell’unità di luogo (la strada fiorentina, sede di «scuola, teatro e stanzetta mercenaria», ibid., p. 291), la «zona del ricordo» (ibid., p. 313), composto di ritratti, nitide rievocazioni dal passato («il passato è la mia sola ricchezza e, dirò, il mio avvenire alla rovescia», ibid., p. 295), una narrazione che è anche una poetica della memoria (la giovinezza come racconto, il tempo vivente solo nella scrittura), l’opera più felice e complessa per concepimento, esecuzione e ritmo narrativo.
Strinse amicizie con il filosofo-pedagogista Giovanni Calò, l’attore Annibale Ninchi, il tenore Italo Cristalli, e, su tutti, l’amatissimo Do (Palazzeschi). Rasi si accorse ben presto – fin dal 1903 – della mancanza d’attitudine drammatica di Moretti e, non potendo farne un attore, lo impiegò come segretario-bibliotecario e addetto al museo teatrale della Rotonda del Brunelleschi, associandolo, con la moglie Teresa Sormanni e altri collaboratori, alla compilazione del repertorio dei Comici italiani. Qui ebbe per compagno il mite Gabriellino d’Annunzio, figlio del poeta (la cui vita nel teatro e nel cinema è stata raccontata da F. Di Tizio, La tormentata vita di G. d’Annunzio. Nel carteggio inedito con il padre, Pescara 2010), che, fra l’altro gli mostrò in segreto l’autografo della Fiaccola sotto il moggio, «superbo manoscritto rosso-nero tutto di pugno del poeta che aveva ereditato anche la pazienza e l’amore degli antichi alluminatori e copisti» (in Gabriellino: cfr. Via Laura, pp. 421 s.). Fu l’emozione, prima scintilla di una passione letteraria poi domata: in una lettera a Palazzeschi del settembre 1905, Moretti – che si riteneva poeta «sano e sincero» – rivelava la tendenza ad ammirare «per suggestione » i decadenti: Wilde, Verlaine, Rossetti, Maeterlinck, Baudelaire.
A Firenze, dove si trattenne fino al 1907, visse la giovinezza («lasciai la spoglia della mia primavera», ibid., p. 417). Sempre animato di curiosità, incontrò i grandi vecchi degli studi come Isidoro Del Lungo, Paolo Mantegazza, Angelo Conti; avverso al futurismo, criticò l’adesione futurista e la dedica palazzeschiana a Marinetti de L’incendiario (1913); apprezzò Il Leonardo, prima rivista d’avanguardia. Artefice di una poetica provocatoria («Ed io son l’unico al mondo / che non ha nulla da dire»: da Io non ho nulla da dire, Milano 1915) divenne presto bersaglio di alcuni critici, come Giuseppe De Robertis (lettera a Palazzeschi, 31 dicembre 1915), e anche l’incontro alle Giubbe Rosse con Papini, «l’occhialuto giudice grifagno», fu burrascoso («Come è mai noioso quel suo romanzo!», in Ritratti letterari, daTutti i ricordi, p. 1076).
L’autobiografo accumulò un’annalistica ricca di umori, sapori d’epoca, non dimenticabili incontri. Il romanzo La voce di Dio uscì in otto puntate nella Rassegna italiana (15 ottobre 1918 - 15 giugno 1919). Romanzo di forti contrasti sociali e psicologici, con una dialettica che esaspera il conflitto fra i valori tradizionali (della terra e della religione) e quelli della società economica (il paese). Importante fu la scoperta di Pascoli, che ebbe un ruolo nella sua poesia ma anche nel plasmare personaggi romanzeschi. Il 4 febbraio 1905 aveva scritto al baronetto Giurlani (Palazzeschi) un’epistola in versi: «E ti ringrazio, baronetto perfido, / dei Poemetti di Giovanni Pascoli!». Ma anche con Pascoli, scriveva sempre a Palazzeschi poco dopo (settembre 1905), bisognava fermarsi a tempo (non spingersi oltre i Poemetti e i Canti di Castelvecchio).
Scrittore costante e prolifico, nel 1902 Moretti aveva pubblicato Le primavere: novelle (Firenze); prima di Fraternità (Palermo 1905), si contano alcune plaquettes, dimenticate o respinte, poi riesumate: Il Poema di un’armonia (Firenze 1903), La sorgente della pace (ibid.), L’autunno della vergine (ibid.), a conclusione del trittico precrepuscolare. Dal 9 gennaio al 23 novembre 1902 pubblicò Notturno e sette pezzi (Latinorum, La carrozza postale, La vecchia casa, Farfalla argentea, Attore e autore e La mancia) in Il paese degli equivoci (Milano), cui seguirono Sentimento: pensieri, poesie, novelline per la giovinezza (ibid. 1908), I lestofanti (ibid.1910; rist. pei tipi di Treves, 1921, e Vallecchi, Firenze 1955) e Ah, Ah, Ah! (Milano- Palermo-Napoli 1911). Altre raccolte di novelle per Treves furono: I pesci fuor d’acqua (1914), La bandiera alla finestra (1917), Conoscere il mondo (1919), Personaggi secondari (1920), La vera grandezza (1925), Allegretto quasi allegro. Variazioni su un unico tema (1927); per Sonzogno Adamo ed Eva (1919); per Mondadori: Una settimana in paradiso (Roma-Ostiglia 1920) e Sorprese del buon Dio (1932). La folta produzione narrativa, sparsamente pubblicata tra il 1902 e il 1958, fu da ultimo riunita nel volume mondadoriano Tutte le novelle (Milano 1959; 4ª ed., 1966, che raccoglie 100 testi, distinti in 4 sezioni). Personaggi secondari è il titolo di una raccolta del 1920, rivelatore di un gusto narrativo e di scelte tematiche che certificano un’analogia fra novelle e romanzi.
Cospicua fu parimenti la produzione in versi: ai poemetti de La serenata delle zanzare (Torino- Genova 1908), fecero seguito le raccolte che sono da considerarsi archetipi della condizione crepuscolare: Poesie scritte col lapis (Napoli 1910), Poesie di tutti i giorni (ibid. 1911), Il giardino dei frutti (ibid. 1916), inframezzate dai Poemetti di Marino (Roma 1913). Se al 1919 risale l’edizione Treves delle Poesie: 1905-1914, si dovette attendere a lungo prima di veder ristampate Poesie scritte col lapis per Mondadori (1949; quindi per gli «Oscar» fra gli anni Settanta e Ottanta), mentre il volume di Tutte le poesie (con una introduzione di G. Pampaloni, Milano 1966) stabiliva un corpus comprensivo anche della «terza stagione».
Gli anni degli esordi erano stati caratterizzati da rapporti di fraterna amicizia intessuti con i poeti crepuscolari più in vista: Corrado Govoni, Sergio Corazzini, Guido Gozzano, Fausto Maria Martini, ma, nella primavera del 1910, vi era stato anche uno scambio di doni con Umberto Saba (Poesie scritte col lapis e il primo libro di versi del poeta triestino): la corrispondenza documentabile fra i due va dal 17 gennaio 1911 al 27 aprile 1914. Nel novembre del 1907 Ada Negri gli aveva scritto a proposito della raccolta Fraternità, inaugurando un altro carteggio, e numerosi altri se ne contano, fra cui quello più significativo, per quantità e qualità, con Palazzeschi; e ancora con Mario Novaro (dal 12 luglio 1907 al 28 agosto 1943 le lettere di Moretti, dal 19 agosto 1910 al 28 luglio 1942 quelle di Novaro), Martini (45 lettere di Martini tra il 1907 e il 1931 e una ventina di Moretti), Gozzano (23 lettere e cartoline «superstiti» tra fine luglio 1907 e il 24 ottobre 1914, cui corrisponde la totale, e ormai irrimediabile dispersione delle lettere di Moretti). Corrispondenze professionali (con Vincenzo Cardarelli, Saba, Luciano Zuccoli) ruotarono intorno a La Grande Illustrazione, edita dai Cascella a Pescara dal gennaio al dicembre 1914, cui Moretti collaborò anche come redattore. Nel tempo i rapporti meglio si delinearono, fra coloro cui si legò per solidarietà regionale (Beltramelli, Alfredo Panzini), letteraria e intellettuale (Federigo Tozzi, Giuseppe Antonio Borgese, Goffredo Bellonci, Pietro Pancrazi), con schietta e intensa amicizia (Francesco Cazzamini Mussi, Carlo Felice Zanelli, Vittorio Fossati Bellani, Filippo De Pisis, Gino Brosio, Ugo e Nanda Ojetti, Manara Valgimigli). Tra le amicizie editoriali fu in contatto con Riccardo Ricciardi, Emilio e Guido Treves, Giovanni Beltrami, ma soprattutto con Arnoldo Mondadori cui si affiancò poi anche il figlio Alberto. Fra i corrispondenti dello scrittore ormai celebre spiccano invece i nomi di Luigi Albertini, Luigi Russo, Guido Piovene, Diego Valeri, Giuseppe Prezzolini, Giovanni Spadolini, Gianfranco Contini, Andrea Zanzotto, Luciano Anceschi, Lanfranco Caretti, per non citarne che alcuni. Quarantasette scatoloni d’archivio, articolati in 1374 dossier, per più di 13.000 lettere, quantificano in cifre la misura della corrispondenza ricevuta.
In particolare le lettere a Palazzeschi, conosciuto all’epoca della scuola di recitazione di Rasi, mantengono un valore primario sia per il numero sia per il grado elevato di complicità e reciproca comprensione. Tutta una vita scorre attraverso questi manoscritti, mentre in altri epistolari e carteggi affiora l’interlocutore di una sola stagione culturale, o perché scomparso precocemente (Corazzini, Gozzano), o perché legato il rapporto a iniziative circoscritte e strumentali. Lungo la vita di Moretti, l’epistolario illumina anche gli angoli più in ombra, privati e intimi, fino a costituire una vera autobiografia inedita.
Dal celebre saggio di Borgese, Poesia crepuscolare (in La Stampa, 10 settembre 1910), Moretti si sentì incatenato alla metafora crepuscolare: «Ecco tre giovani poeti crepuscolari – Marino Moretti, Fausto Maria Martini, Carlo Chiaves». Cosa avevano da cantare questi lirici?: «la torbida e limacciosa malinconia di non aver nulla da dire e da fare». Ma, in quella poesia, il domicilio del quotidiano non mancò d’insinuarsi, con echi e scrupoli del realismo. La polemica mai dismessa verso quella fortunata categoria critica derivò dall’orgoglio morettiano di avere rappresentato la vita nella sua interezza, lungi da certi manierismi degli esordi.
Molti romanzi vennero anticipati a puntate in riviste, poi revisionati per il corpus mondadoriano. Fra le carte autografe del Fondo Moretti, tra i 25 manoscritti di romanzi, si contano tre stesure per l’Andreana e quattro per il Pudore (riscrittura de I due fanciulli, Milano 1922). Le elaborazioni si avvalgono più di tagli che di incrementi, con l’eccezione dei romanzi cresciuti intorno a un centro. Moretti si muoveva intorno all’idea del «puro racconto», riproduzione dal «verum-factum», evitando ogni sorta di ibridazione. In Doctor Mellifluus (in Uomini soli, ibid. 1954) e La camera degli sposi (ibid. 1958) dell’ultimo quadriennio, le squisite morbosità che increspavano i romanzi del decennio 1913-23 si rapprendono nella glaciazione dell’ultima età, che significa freddezza ma anche tendenza al grottesco e al paradossale. I romanzi di matrice simbolistica, La voce di Dio (ibid. 1920) e I puri di cuore (ibid. 1923), Moretti li considerava la sua «cosa migliore » come «puro racconto», tendendo a non creare una cesura fra un tempo simbolistico e uno realistico, e a uniformare il suo stile di narratore. Come dimostra il corpus delle Novelle, intendeva far confluire la sua narratività in un lungo racconto fuso e uniforme nel tempo.
Dal Giornale d’Italia (4 giugno - 31 luglio 1913), Il Sole del sabato – romanzo della pace, così tipico della sua concezione della storia – approdò a Treves nel 1916, prima che Moretti divenisse uno fra i «primogeniti» di Arnoldo Mondadori: la prima lettera (sono 219 fino al 1971), gli giunse da Verona il 12 ottobre 1919 per Una settimana in paradiso. Guenda (ibid. 1918), L’isola dell’amore (ibid. 1920), La voce di Dio, Né bella né brutta (ibid. 1921), I due fanciulli (ibid. 1922), Mia madre (ibid. 1923), Il romanzo della mamma (ibid. 1924), Il segno della croce (ibid. 1926), Il trono dei poveri (ibid. 1927) furono editi da Treves, mentre I puri di cuore da Mondadori.
La sperimentazione di genere, la precoce vocazione alle scene, fin dagli anni della giovinezza lo avevano spinto a confrontarsi anche con il teatro: L’isola dell’amore (in Rassegna italiana, febbraio-aprile 1924, con Ezio Camuncoli), già provato con Cazzamini Mussi, coautori di Leonardo da Vinci, poema drammatico in quattro atti (1909), illustrato da Felicetto Zanelli, Gli Allighieri (1910), Frate Sole (1911), cui s’aggiunse il dramma in tre atti sullo sfondo cinquecentesco di Venezia Giuditta (1912). Incompiuto, e del solo Moretti, fu invece il poema tragico in 5 parti, L’apostata (novembre 1912).
Scoppiata la Grande Guerra, dal 15 agosto 1915 fu volontario crocerossino presso l’ospedale n. 52 di Arta (Udine) e, dal novembre, maresciallo addetto all’ufficio stampa nel comitato centrale romano della Croce rossa italiana (CRI) in via Nazionale n. 149: un’esperienza che s’affaccia fra i temi di Bandiere alla finestra e nell’irenismo di Inter Arma Charitas nel Trono dei poveri, così come un taccuino autografo (Arta-Carnia 17 agosto - 14 ottobre 1915), piccolo diario nel moto degli avvenimenti, risentiva assai più che della guerra della quiete di un ospedale. Il periodo romano fu comunque segnato dall’incontro con Tozzi.
Il 21 luglio 1923, su invito di Luigi Albertini, entrò al Corriere della sera, ove collaborò fino al ’53. Negli anni del regime, la firma sul Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da Croce e apparso il 1° maggio 1925, fu anche sanzione politica a un sostanziale isolamento: dai carteggi affiorano testimonianze di noia, fastidio e avvilimento. La confidenza con Palazzeschi era tale da oscurare il buio o accenderlo con le escursioni di un eros costretto al nomadismo e poi rifugiato, dopo Parigi e Bruges, nella Cesenatico invernale. L’amico gli aveva consigliato fin dal 1914 il viaggio parigino: Moretti vi si recò solo nel 1925, alla soglia dei quarant’anni, e vi soggiornò, preferibilmente fra aprile e giugno, dal 1925 al 1932, ancora nel 1934, dal 1937 al 1939 e, dopo la guerra, nel 1948 (altri viaggi sono documentati fra dal 1953 fino al 1962).
Guide nella metropoli, e in quartieri d’inesauribili risorse vitalistiche come Montparnasse e Montmartre, furono Gino Brosio (Gino I, per distinguerlo da Gino Sensani, Gino II) e Pippo De Pisis. Lo snodo di più acuta tensione esistenziale, relativamente a scelte di vita privata, fu comunque il 1925-26: dalla capitale francese, in cui trascorse giorni memorabili, inviò lettere importanti per la biografia, e riservatissime, il 2, 4 e 12 giugno 1925. Nel maggio 1926 si trovava ancora a Parigi e il 29 di quel mese spedì da Bruges una lettera la cui drammaticità coincideva con un fatto di violenza subìto: «Ebbene, Aldo mio, ti dirò – solo a te, a te e a Gino – che mi è accaduta a Brux. la cosa più grave di tutta la mia vita, che ho vissuta un’ora tragica, che anzi non mi son più sentito vivere, ma morire – e che ho pensato veramente alla morte. Sono stato spogliato di tutto, capisci? di tutto» (Carteggio, II, 1926-1939, p. 25). Ciò nonostante, il pensiero continuava a vagare, per desiderio di libertà ed emancipazione, sugli itinerari del Nord, il Belgio, Bruxelles, la Germania, Aquisgrana e Colonia. Firenze e Venezia, le città che amava.
La vita era sempre in un altrove, soprattutto Parigi, dove avrebbe voluto liberamente vivere secondo un impulso dei sensi che allora non era dato neppure manifestare, se non con sodali e affini (Aldo, Brosio, De Pisis), con i quali vigeva un codice comunicativo. Come sintesi di questa stagione inquieta e di fatto segregata, si legga la lettera a Palazzeschi, da Roma, del 12 aprile 1925: «Voi e Parigi mi ridarete un po’ di giovinezza e il piacere di vivere che pareva perduto per sempre» (ibid., I, 1904- 1925, p. 464).
Nella Lettura di Milano, fra aprile e novembre del 1929, apparve uno «strano ritorno al crepuscolarismo», La casa del Santo Sangue, poi riunito in volume (Milano 1930). Nel 1931, con le novelle di Sorprese del buon Dio, pubblicò nella mondadoriana «Biblioteca romantica » – diretta da un Borgese divenuto amico – la traduzione di Una vita di Maupassant. Le Fantasie olandesi migrarono dal Corriere (1928- 30) al volume Treves-Tumminelli (ibid. 1932). Uscirono, a comporre il quadro d’anteguerra, l’Andreana (ibid. 1935), Anna degli Elefanti (ibid. 1937), La vedova Fioravanti (ibid. 1941), che restò a lungo il suo maggior successo e l’opera più popolare. Libro di lettura per fanciulli fu, invece, Il piccolo Lord, il romanzo di Burnett, narrato da Moretti nel 1935, mentre Scrivere non è necessario. Umori e segreti di uno scrittore qualunque (ibid. 1938), Pane in desco (ibid. 1939), L’odore del pane (ibid. 1942), I Grilli di Pazzo Pazzi (ibid. 1951), Il libro dei miei amici (ibid. 1960, poi rifuso e ridotto in Ritratti letterari) completano l’edificio memoriale. Il tomo di Tutti i ricordi, variamente rifuso, forse oggi si afferma come il capodopera dello scrittore memorialista.
L’unico impatto ufficiale col regime fu la negazione, decretata dal duce in persona, del premio Mussolini «Corriere della sera», conferitogli unanimemente dall’Accademia d’Italia nell’aprile del 1932, poi dirottato su Silvio Benco. Il 25 aprile del 1944 l’Accademia gli confermò il premio, ma stavolta fu Moretti a negarsi.
Nella produzione letteraria del dopoguerra, I coniugi Allori (Milano 1946) ha tratti di limpidezza cristallina, biglietto da visita della vecchiaia, mentre Il fiocco verde: scene e figure dell’estremo Ottocento (in Nuova Antologia, gennaio- luglio 1947; poi in volume, Milano 1948 e 1956), rappresenta il libro del tempo e del piacere della memoria. Con la revisione de I due fanciulli in Il pudore (ibid. 1950,) si ebbe invece il gradito ritorno dello scrittore delle città del silenzio; Doctor Mellifluus, prima fra le novelle di Uomini soli (ibid. 1954) e La camera degli sposi (in Nuova Antologia, gennaiomarzo 1957, poi 1958), presentano nuove e inedite tonalità.
In una lettera chiave del 7 dicembre 1962 a Giovanni Titta Rosa, Moretti fissò i cardini della propria personalità: la solitudine (dopo la morte di Pancrazi, una colonna della sua vita), lo scarso credito verso se stesso, l’infelicità dopo la scrittura, sfiducia e paura nei confronti del pubblico.
Fra i riconoscimenti che gli vennero attribuiti spiccano il premio Fila (1948), il premio dei Lincei (1952), il premio Napoli (1958) e infine il Viareggio nel 1959 per Tutte le novelle, ma non si trattò di tombeaux puramente celebrativi dell’ottuagenario.
L’ultima estate fu edita nel 1969. L’unità massiccia «d’ottanta anni sonati, d’ottant’anni spietati» (Nostra inquietudine) era nel taccuino del vecchione, «che non trema... che non cade... che si rade benissimo da sé» (Difesa del diario), che diceva il suo amore ma non a tutti (Vince l’assassino). Moretti rifiutò recisamente la patente di «epigono» e l’investitura da tesi di laurea «poeta minore della prima metà del Novecento» (v. Epigono: in Tre anni e un giorno, 1971).
Le poverazze: diario a due voci (Milano 1973) e Diario senza le date (1974) furono gli ultimi fogli del calendario. «La morte ignobile» lo trovò vivo: «Io so che la mia fossa non sarà nuda e avrà da dir qualcosa» (Fine di calendario).
Mai dismesso il dialogo con Palazzeschi, epistolario di confidenze e commenti sui fatti del giorno, e più il tempo avanzava più s’accresceva la «geremiade sconfinata», i molti amici di diverse generazioni lo onorarono, nel novantesimo anno, con un convegno solenne (tenuto nell’ottobre del 1975 nel paese natale).
Venuto al mondo un anno prima di Corazzini e due dopo Gozzano, Moretti tramontava in un’altra epoca: morì a Cesenatico il 6 luglio 1979.
La sorella Ines, coniugata Bartoletti, scomparsa il 20 agosto 1982, ne fu l’erede universale. Casa Moretti, sulla riva sinistra del Porto Canale, sede degli Archivi e primaria promotrice degli studi morettiani, diretta da Manuela Ricci, presenta al visitatore «stanze leggiadre di mobili antichi e di guizzanti quadri moderni» (cfr. G. Deledda, La Vigna sul mare, Milano-Roma 1930). A Moressa (L’amara felicità, 2009, pp. 136 s.), si deve, invece, una toccante descrizione dell’estrema dimora, nel cimitero di Cesenatico: «Il frammento lapideo, solido e sbrecciato, che ricorda Marino sormonta la tomba e reca soltanto il suo nome con le date estreme, di nascita e di morte. […] La visita alla tomba di Marino Moretti non è senza emozione; il raccoglimento del luogo, la solitudine da cui lo scrittore si sentì ispirato richiama una poesia che circola ancora su pagine rese attuali dalla profondità del sentimento, destinato a risuonare come autentico finché l’uomo vivrà».
Opere: Tutte le novelle, Milano 1959 e 1961; Romanzi della mia terra, ibid. 1961; Tutti i ricordi, ibid. 1962; Romanzi dal primo all’ultimo, ibid. 1965; Romanzi dell’amorino, ibid. 1968; Marino Moretti in verso e in prosa, a cura di G. Pampaloni, «I Meridiani», ibid. 1979. Fra le edizioni più recenti: Poesie scritte col lapis, con una nota di F. Pappalardo, Bari 2002; Il trono dei poveri. Romanzo di San Marino, Faetano 2010 (pubblicato insieme con Per una storia dell’autore e del romanzo).
Fonti e Bibl.: Cesenatico, Arch. di casa Moretti (1, via M. Moretti - 47042 Cesenatico; casamoretti@cesenatico.it). L’archivio subì gravi perdite nelle vicende belliche e fu reintegrato in seguito ad acquisti e ricerche per i convegni del 3-5 ottobre 1975, del 19-21 maggio 1983 e della mostra documentaria, luglio-settembre 1999. Archivi del Nuovo. Notizie di Casa Moretti, è una rivista con cadenza semestrale edita da Clueb (Bologna). Una guida alla biografia e alle carte d’archivio è in Uno scrittore nel secolo. M. M.: i libri e i manoscritti i luoghi e gli amici, a cura di S. Santucci - M. Biondi, Rimini 1983. L’inventario dell’epistolario morettiano registra tutti i corrispondenti. Fra i principali carteggi editi: M. - Palazzeschi, Carteggio, I, 1904-1925, a cura di S. Magherini, Roma 1999; II, 1926-1939, a cura di A. Pancheri, ibid. 2001; III, 1940-1962, a cura di F. Serra, ibid. 2000; IV, 1963-1974, a cura di L. Diafani, ibid. 2001; Carteggio A. Baldini - M.: 1915-1962, a cura di E. Colombo, Roma 1997; M. - G. Prezzolini, Carteggio 1920-1977, a cura di M. Ferrario, ibid. 1995; M. - B. Tecchi, Carteggio 1929-1968, a cura di A. Raffaelli, introd. di A. Cottignoli, ibid. 2009; M. - M. Valgimigli, Cartolinette oneste e modeste. Corrispondenza (1935-1965), a cura di R. Greggi - S. Santucci, introd. di R. Cremante, Bologna 2000. Nella bibliografia della critica: Atti del convegno su M. M., Cesenatico… 1975, a cura di G. Calisesi, Milano 1977; C. Toscani, M., Firenze 1975; Per M. M., in Il Lettore di provincia (n. monografico), XI (1980), 41/42 (aprile-settembre); G. Zaccaria, Invito alla lettura di M. M., Milano 1981; M. Biondi, La tradizione della città. Cultura e storia a Cesena e in Romagna nell’Otto e Novecento, Cesena 1995; «Non c’è luogo, per me, che sia lontano». Itinerari europei di M. M. (catal., Cesenatico, Casa Moretti), a cura di M. Ricci, Bologna 1999; Itinerari europei di Marino Moretti (1885-1979), in Revue des études italiennes, n.s., 2002, vol. 48, n. 1-2; C. Pedretti, Cesenatico e il «Leonardo» di M. M., Cesenatico 2002; La «Fiera Letteraria» per M. M., a cura di M. Ricci, Bologna 2002; P. Simoncelli, L’ultimo premio del fascismo. M. M. e l’Accademia d’Italia (Firenze, 21 aprile 1944), Firenze 2005; P. Moressa, L’amara felicità. I sentimenti quotidiani nella scrittura di M. M., Rimini 2009; Armonia delle Muse. M. e De Carolis tra arte e poesia (catal.), a cura di M. Ricci, Cesenatico 2009; M. M., la Romagna, San Marino, Atti del convegno… 2009, Repubblica di San Marino 2010.