FILOMARINO, Marino (Marino da Eboli, Marinus Neapoletanus)
Nacque a Napoli tra il 1205 e il 1210. Da un documento in cancelleresca napoletana, che egli fece redigere nel 1274, "ut privata persona", conosciamo i nomi dei genitori: Tommaso e Gayta.
I Filomarino, presenti a Napoli sin dall'inizio del sec. XII, appartenevano alla nobiltà cavalleresca. Il padre del F. nel 1227 figura in qualità di miles Neapolis fra i testimoni di un arbitrato esercitato a Napoli dal cappellano e canonista napoletano Pietro Paparone in una lite tra il monastero di Cava e i canonici di S. Pietro ad Aram. In un'epigrafe del 1643 in memoria del F., collocata nel duomo di Napoli, al nome della madre è affiancato il cognome "de Ebulo", che qualche volta viene attribuito al F. anche nella documentazione coeva. Per parte di madre il F. era quindi imparentato con la famiglia da Eboli, anch'essa di nobiltà cavalleresca, che consolidò il suo rango al servizio dell'imperatore Federico II. A questa famiglia apparteneva anche il cardinale Tommaso da Capua (morto nel 1239), capo della cancelleria pontificia, abile politico e indiscusso maestro dello stile epistolare curiale, tenuto a modello dai notai e dagli scrittori delle generazioni successive.
Sul F. mancano notizie certe fino alla nomina a vicecancelliere di Santa Romana Chiesa nel 1244; ma potrebbe essere identificato con lui quel canonico napoletano di nome Marino che nel 1232 figura come testimone in un atto, con il quale fu costituita, a Bologna, una commissione per comporre una lite tra il vescovo Enrico di Bologna e i capitoli di S. Maria di Reno e di S. Salvatore. Della commissione di arbitri faceva parte il magister Giovanni da Eboli, doctor decretorum, cioè un parente del F.; e questa circostanza, insieme con il fatto che il F. come vicecancelliere e come scrittore dimostra una buona conoscenza del diritto canonico, lascia pensare che egli abbia studiato all'università di Bologna (forse dopo aver iniziato gli studi a Napoli), che poteva fornire una preparazione più appropriata per una carriera in Curia. È possibile che venisse indirizzato a Bologna dal cardinale Tommaso da Capua, suo parente. Saba Malaspina loda nel F. l'eloquenza, l'istruzione superiore e una buona conoscenza della natura umana, qualità che gli potevano aprire la strada verso la Curia romana. Come protettori in Curia i biografi più recenti indicano il canonista e cardinale Goffredo da Trani (Herde) o il cardinale Tommaso da Capua (Schaller), al quale probabilmente è più ragionevole pensare in virtù della parentela che legava i due.
Quando nel giugno 1244 Innocenzo IV interruppe le trattative di pace con Federico II e fuggì a Genova, licenziò il vicecancelliere in carica, il domenicano Iacopo Buoncambio, e nominò suo successore il F., che, a quanto pare, fino allora non aveva ricoperto alcun incarico nella cancelleria. Nella sua nuova carica gli toccò quindi il compito di riorganizzare la cancelleria e il suo archivio dopo il trasferimento della Curia a Lione e quindi di preparare e condurre il concilio convocatovi da Innocenzo IV per costringere l'imperatore a giustificarsi.
Nel giugno 1245 il F., a capo della cancelleria, prese parte all'apertura del concilio, e, trascorsi sei anni a Lione, nel 1251 curò il ritorno della Curia nello Stato della Chiesa.
Negli anni lionesi come istruzione al personale di cancelleria scrisse due trattati, Super revocatoriis e De confirmationibus, i quali non si limitano ad un mero sussidio per la redazione degli atti, ma contengono una spiegazione teorica delle formule e illustrano le decretali del concilio di Lione. Entrambe le trattazioni furono ripetutamente copiate per altre raccolte nel corso del XIII secolo e nel XIV secolo accolte nel formulario della Audientia;la loro fortuna è legata all'approccio eminentemente pratico ai problemi della cancelleria: in questa pubblicistica d'uso, destinata alla prassi quotidiana degli uffici, l'esperienza di diritto canonico, che pure il F. possedeva, resta decisamente in secondo piano.
Nel 1246 con altri cancellieri, tra i quali il notaio Giordano Pironti da Terracina, fu accolto dal capitolo generale dei cistercensi nell'obituario dell'ordine. Benefici e prebende in Inghilterra gli garantivano il sostentamento, ma provocavano nel clero dell'isola una crescente opposizione, che si risolse solo attraverso una mediazione del vescovo di Worcester nel 1246. Dopo di ciò al F. fu garantita dalle chiese di Salisbury e di Helvin nella diocesi di Ely una rendita annua di 200 marchi d'argento, ma fu costretto a rinunciare all'ambita carica di tesoriere di Salisbury a favore di un chierico locale.
Nel contesto del sistematico riordinamento delle chiese metropolitane in Italia meridionale intrapreso da Innocenzo IV dopo la morte di Federico II con l'obiettivo di riportare l'episcopato del Regno entro i ranghi della politica papale, il 12 genn. 1252 il pontefice nominò il F. arcivescovo di Capua, dal momento che l'eletto Gualtieri di Ocre, diventato poi cancelliere di re Corrado, non era stato riconosciuto dal papa e già nel 1249 aveva rinunciato alla diocesi. Nella primavera 1251, Capua si era sollevata, contemporaneamente a Napoli, contro Corrado e Manfredi, ma il F. continuò a rimanere a Roma; solo quando Capua e altre città del Regno si ribellarono ancora contro il re svevo nell'estate del 1253 si recò nella sua sede investito di nuovi poteri dal pontefice. Nella primavera 1253 non riuscì ad evitare che la città si sottomettesse a Corrado IV. e rientrò in Curia; a Capua tra il 1253 e il 1254 fu eletto al suo posto un altro vescovo, che fu riconosciuto da Corrado e dai suoi funzionari.
Dopo la morte di Corrado, nell'autunno 1254 il F. rientrò a Capua al seguito del papa. In ottobre concesse in feudo al nobile Landolfo de Franco, un antico giustiziere di Federico II che nel frattempo era passato al partito del papa, beni appartenenti alla Chiesa capuana. Nel giugno 1255 fece consacrare da Alessandro IV l'altare maggiore della cattedrale e diede inizio ad una nuova ordinazione dei benefici e delle prebende del duomo. Nel contesto di una riassegnazione dei grandi feudi ecclesiastici rientrati in possesso della diocesi, nel marzo 1256 divise la baronia. di Rossella in modo che membri della famiglia Eboli e il suo stesso fratello Giacomo ne divenissero d'ora in avanti proprietari in comune.
Nel febbraio 1257, quando Alessandro IV gli garantì le entrate dei suoi benefici inglesi, si trovava certamente in esilio. Soggiornò ancora a Roma nel giugno 1258, e secondo una notizia dell'oratore genovese in Curia (che menziona il F. con il titolo di "archiepiscopus Capuanus"), il papa e i cardinali progettavano di inviarlo come legato in Terrasanta, dove avrebbe dovuto sostituire il patriarca Giacomo di Gerusalemme, futuro Urbano IV. Invitato dal papa a recarsi da Roma a Viterbo, dove si trovava la Curia, il F. rifiutò però la legazione, probabilmente per il timore, condiviso dagli altri curiali, dei rischi che comportava.
Fino a questo momento il F. aveva sempre rinviato la sua ordinazione ad arcivescovo, probabilmente perché dopo essere stato vicecancelliere apostolico non contava di finire la propria esistenza come metropolita in una provincia. Dopo il 1258, sotto la pressione della costituzione di Alessandro IV, che nel 1255 aveva fissato a sei mesi il termine ultimo per l'ordinazione vescovile, rinunciò alla carica di eletto di Capua.
Nel novembre 1261 Urbano IV a Viterbo, su richiesta del F. "quondam electus Capuanus", rilasciò al fratello Giacomo una dispensa per il suo secondo matrimonio con Marotta Caracciola. Nel gennaio 1263 lo stesso papa concesse al F., "capellanus noster quondam Capuanus electus", un canonicato a Tours in ricompensa dei meriti acquisiti nella Cancelleria apostolica. A prescindere da queste testimonianze di favore, sembra in verità che il F. durante il papato di Urbano IV avesse perduto la sua antica influenza in Curia, passata al partito francese, ora prevalente. È poco probabile che egli impiegasse questo periodo di relativa inattività per riordinare le carte di cancelleria rimaste in suo possesso per fornire ai curiali più giovani il materiale per una prima redazione del formulario del XIII secolo, cui rimase in seguito legato il suo nome. Il nucleo più antico dell'opera infatti, ordinato secondo la sistematica delle decretali, fu redatto solo dopo la morte di Clemente IV, quando il F. aveva abbandonato definitivamente la Curia.
In questi anni trascorsi presso la Curia a Viterbo, Orvieto e Perugia si collocano anche i rapporti del F. con Tommaso d'Aquino, con il quale discusse questioni in materia di prestiti, poste dal lettore domenicano di Firenze, Giacomo da Viterbo. Le frequentazioni reciproche tra i due uomini di Chiesa, testimoniate anche dal nipote del F., Niccolò Filomarino, durante il processo di canonizzazione dell'aquinate nel 1319, saranno state dettate piuttosto dalla affabile disponibilità dell'alto prelato che da autentica affinità spirituale, anche se interessi filosofico-teologici non sono da escludere nel F., distintosi soprattutto in campo giuridico e cancelleresco. Forse redasse in questi anni anche un'opera a noi non altrimenti nota se non per il fatto che i domenicani della provincia di Roma nel 1284 volevano adoperarla nelle loro lezioni e dispute.
Urbano IV non oltre il 1264 creò di nuovo il F. arcivescovo di Capua, ma fu di fatto Clemente IV che nella bolla del 28 maggio 1266 dichiarò di ripristinarlo nei diritti ai quali aveva rinunciato al tempo di Alessandro IV. In ogni caso, nel luglio 1264 Urbano IV lo incaricò in qualità di arcivescovo eletto di ordinare i chierici per due chiese delle diocesi di Sora e di Veroli, i quali fossero graditi al nobile patrono Aimone d'Aquino. Tuttavia, fino al 1266 il F. continuò a vivere in esilio; e solo nel marzo di quell'anno poté essere di nuovo a Capua, dove rinnovò al nobile Francesco da Eboli l'investitura di feudi appartenenti alla Chiesa capuana, conferitagli nel lontano marzo 1255. Nel maggio 1266 Clemente IV fece redigere un nuovo documento di nomina che ripristinava il F. nei suoi diritti come arcivescovo e, sorvolando sulle sue attività come eletto negli ultimi due anni, metteva in evidenza che la sua azione sarebbe stata efficace grazie ai legami di parentela con l'aristocrazia locale. Dal pontefice il F., il quale forse dubitava ancora di rendere definitivo il passo verso Capua con l'ordinazione, ottenne di mantenere le sue rendite ancora per due anni, in considerazione probabilmente del decadimento del patrimonio ecclesiastico della Chiesa capuana al tempo di Manfredi, quando gli "iura ecclesie maioris Capue" erano stati usurpati dal secreto della città.
Nel 1266 il F. si fece rappresentare a Capua, per un certo tempo, da un vicario, il vescovo Andrea Riccardi di Caiazzo. Nel maggio 1269 è menzionato per la prima volta come arcivescovo, dopo essere stato consacrato vescovo probabilmente poco prima. Sebbene dal 1269 ricevesse regolarmente le cospicue decime regali per la sua Chiesa e nel gennaio 1270 figuri in un documento regio in qualità di testimone, il F. non intratteneva legami molto stretti con il nuovo re Carlo I d'Angiò. Nel marzo 1271 il diritto alle decime della sua Chiesa venne confermato da una commissione d'inchiesta; e nell'agosto 1272 si aprì un contenzioso con il conte di Avellino Bertrando del Balzo, il quale in tre località aveva adibito ad alcuni servizi i vassalli della chiesa di Capua: quattro anni dopo il conte fu obbligato dal re a rispettare i diritti della metropolitana.
Gregorio X impiegò di nuovo il F. per compiti curiali. Lo incaricò ripetutamente di esaminare elezioni vescovili, e prima del concilio di Lione, nel 1273, gli richiese di formulare proposte per il dibattito, che vi si sarebbe tenuto, sulla riforma. Difatti, il F. prese parte al concilio e nel luglio 1274 appose il suo sigillo sul costituto sopra l'elezione del pontefice. Contemporaneamente approfittò del foro conciliare per sollevare, insieme con l'arcivescovo Matteo della Porta di Salerno, gravamina contro Carlo I, che furono trasmessi da Gregorio X direttamente al re attraverso due padri conciliari.
Carlo I reagì contro il F. in un'altra occasione. Nel 1278 in un contenzioso tra il F. e gli abitanti di Capua, causato dalla sovvenzione pagata dalla città per il viaggio del prelato a Lione, prese apertamente partito per i Capuani e condannò il comportamento violento dei "consanguinei de Neapoli" del F. a Capua, nonché la condotta parziale di quest'ultimo nei confronti degli abitanti. Nel contempo contestò i diritti della Chiesa capuana su Castel Volturno, donato dall'imperatore Enrico VI, e sulla baronia di Rossella, feudo delle famighe Filomarino ed Eboli. Il conflitto che si generò fu ricomposto con difficoltà, anche se forse nel 1279 a Torre Sant'Erasmo presso Capua il F. battezzò il nipote di Carlo I, il futuro re Roberto. Papa Niccolò III, cui il F. si rivolse ancora nel 1278, nella questione su Castel Voltumo prese la parte dell'arcivescovo e della Chiesa di Capua, e nell'aprile 1280 offrì al re solo la possibilità di fare valere i suoi diritti dinanzi al soglio pontificio. Il conflitto si protrasse oltre la fine del vescovato del Filomarino.
Il F. morì probabilmente a Capua il 10 marzo 1286; il suo corpo fu sepolto nel duomo della città.
Opere: Il Super revocatoriis e il De confirmationibus (1245-1251) sono editi in P. Herde, Marinus von Eboli "Super revocatoriis" et "De confirmationibus". Zwei Abhandlungen des Vizekanzlers Innocenz' IV. über das päpstliche Urkundenwesen, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XLII-XLIII (1964), pp. 196 ss. L'attribuzione al F. del formulario tradizionalmente associato al nome di Marino da Eboli (sulla genesi e tradizione del quale vedi C. Erdmann, Zur Entstehung der Formelsammlung des Marinus von Eboli, ibid., XXI[1929-30], pp. 176 ss.) è però incerta: F. Schillmann, Die Formularsammlung des Marinus von Eboli, I,Roma 1929.
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