FALIER (Falieri, Faliero), Marino (Marin)
Nacque probabilmente a Candia nell'isola di Creta, prima del 1397 (Lazzarini, pp. 220 s.) da Marco e da Agnese di Marino Ghisi.
L'omonimia con il doge, in carica negli anni 1354-55, portò molti studiosi a ritenere che si trattasse di un anonimo che si celava sotto il nome più illustre. Attualmente non sembra esservi dubbio sul fatto che la famiglia del F. fosse un ramo di quella del doge, di cui alcuni membri erano stati fra i primi colonizzatori giunti a Creta nel 1211.
Il F. sposò, secondo W. F. Baker e A. F. van Gemert (p. 3), probabilmente nel 1418 Fiorenza Zeno, figlia unica di Pietro Zeno, signore di Andro. Da questo matrimonio ebbe cinque figlie e quattro figli (Marco, Pietro, Giovanni e Francesco), che crebbero tutti all'ombra del padre, il quale fino agli ultimi anni della sua vita amministrò personalmente le sue proprietà. Solo alla sua morte il figlio Francesco, l'unico ancora vivente, ricevette la gestione dei beni familiari.
L'attività politica del F. fu intensa: dal 1420 circa fu membro del Consiglio dei feudatari e, come uno dei più eminenti "pheudati", fu spesso membro del Senato. Nel 1426 armò una galea a proprie spese, in vista di un incombente assalto da parte di navi turche: questa sollecitudine potrebbe anche essere stata ispirata, almeno parzialmente, dai suoi interessi negli affari dell'arcipelago, che poi divennero particolarmente rilevanti nel 1427, dopo la morte del suocero. In questo stesso anno fu supracomito della galea "Faletra", nave da guerra cretese.
La sua esperienza negli affari cretesi doveva essere apprezzata: quando il duca di Candia Marco Lipomano e i suoi consiglieri decisero di costituire un comitato di esperti in questioni riguardanti l'interesse dello Stato, il F. fu fra i tre eletti. Alcuni anni più tardi, nel 1443, era tra i cinque nobili che ebbero l'incarico di fissare la nuova tassa annuale per gli ebrei di Creta; ancora molti anni dopo, il 22 nov. 1470, sotto l'influenza della caduta di Negroponte, il governo cretese lo nominò in un comitato formato dai nobili più illustri, con il compito di stabilire una tassa per la fortificazione dell'isola.
Nella sfera religiosa il F. fu un fervente sostenitore di Fantino Valaresso, arcivescovo di Creta, seguace dell'unione della Chiesa ortodossa con quella cattolica sia prima sia dopo il concilio di Firenze; ma fu anche sufficientemente realista da capire che era impossibile imporre tale unione alla popolazione di Creta. Nel momento in cui il governo rifiutò di dare il permesso ai futuri preti ortodossi di lasciare Creta per ricevere gli ordini, il F. si appellò al Senato di Venezia con la richiesta di obbligare il governo ad esaminare i candidati per le sue chiese, nel villaggio di Sarchos, e infine riuscì ad ottenere il permesso per la chiesa e i due monasteri, dipendenti dal proprio feudo.
Altre notizie sulla vita del F. sono desumibili dai riferimenti interni presenti nei Λόγοι διδακτικοί poiché vi sono alcuni elementi personali: "εὐγενέστατος ἄρχων", così come è definito nell'intestazione dell'opera, possedeva in Candia i feudi che appartenevano ai Falier fin dal sec. XIII nel sestiere di Ss. Apostoli, come è confermato dai Catastica feudorum (Arch. di Stato di Venezia: Arch. del Duca di Candia, mappa VII. 1). Aveva un tenore di vita elevato, con un gran numero di servitori. Come proprietario terriero aveva alle sue dipendenze un seguito di villani e contadini. Sorprendente è la sua ostilità verso questi χωριάτες: imbroglioni e bracconieri, ubriaconi ed ostili al loro signore (vv. 221-228). Questi versI d'altronde, se rispecchiano i sentimenti generali della nobiltà verso i contadini, corrispondono anche a un topos letterario - la "satira del villano" - di diffusione pressoché universale.
Il F. morì a Creta nel 1474.
Le sue opere principali sono l'῾Ιστορία καὶ ὄνειρον (cfr. ora edizione a cura di G. Zoras, Marinon Phalieron..., 1971-72) ed i Λόγοι διδακτικοί (editi da W. F. Baker e A. F. Van Gemert nel 1977). La prima, composta di 758 versi, è una sorta di dialogo teatrale, nel quale il poeta appare sia come narratore sia come personaggio principale; gli altri personaggi sono Fortuna, Athusa (amata dal F.) e Pothula, serva di quest'ultima. L'opera inizia con un'introduzione (vv. 1-8); nella prima scena (vv. 9-172) Fortuna si manifesta al poeta in sogno, recandogli una lieta notizia: Athusa comincia a cedere all'amore del poeta. Segue una discussione sulla Trinità. Nella seconda scena (vv. 173-282) Fortuna lo conduce alla casa di Athusa; entra in scena Pothula la quale mostra fin dall'inizio il suo favore verso il poeta. Nei vv. 283-394 Fortuna gli dà coraggio; nel contempo Pothula cerca di convincere la sua padrona sulla sincerità dei sentimenti del Falieri. Segue, ai vv- 399-748, un dialogo alla finestra fra Athusa e il R; i due amanti si promettono amore reciproco. Ma nel momento in cui il F. crede che tutti gli ostacoli siano stati rimossi, egli si sveglia morso da una pulce; cerca disperatamente di ritrovare il suo sogno, ma l'alba pone fine ad ogni speranza.
Il nucleo centrale dell'opera, da considerarsi la migliore del F., si ha nei versi 395-748, dove abbiamo il dialogo dei due innamorati, comprendente all'incirca la metà dell'opera. Tale dialogo non ha nulla di cortese: il F. cerca immediatamente di baciare e di accarezzare Athusa, ma i suoi rifiuti lo costringono a limitarsi alle parole per mostrarle che il suo amore è sincero. Il dialogo tra il F. e Athusa avviene di notte, presso una finestra della casa di quest'ultima; Athusa non sembra preoccuparsi né dei genitori né del marito (di cui non si fa parola): l'unica preoccupazione è per le "chiacchiere dei vicini" (versi 693-94).
Nei Λόγοι διδακτικοί, di 326 versi, il F. dispensa consigli al figlio Marco che non ha ancora scelto quale sarà la strada da seguire. L'opera è divisa in due parti, l'una, teorica, sul raggiungimento della virtù (vv. 17-144), l'altra, più pratica, sul ruolo dell'uomo nella società e specialmente in relazione alle donne (vv. 145-318). L'opera del F. è stata considerata una imitazione del poema bizantino Σπανέας (B. Knös, L'histoire de la littérature néo-grecque. La période jusqu'en 1821, Uppsala 1962, p. 212). Ma se nelle due opere si riscontrano similitudini verbali, vi sono anche notevoli differenze nell'atmosfera e nel tono. Secondo W. F. Baker e A. van Gemert l'opera del F. è totalmente realistica, specialmente se comparata ai precetti etici predicati nello Σπανέας; nei Λόγοι διδακτικοί egli si presenta non tanto come un uomo profondamente religioso, ma piuttosto come un mercante che conosce la vita. Il F. probabilmente conobbe alcune versioni dello Σπανέας ma non lo imitò (p. 22); eventuali similitudini derivano piuttosto da sermoni e da modi di dire popolari, piuttosto che da una versione dell'antica composizione bizantina.
Finora, comunque, non si sono trovate tracce di una fonte diretta dell'opera; un'eventuale fonte potrebbe essere il De re uxoria, scritto da Francesco Barbaro nel 1416, opuscolo che godette di grande popolarità nel sec. XV. Vi sono molte ragioni per credere che i Λόγοι διδακτικοί stati influenzati da una fonte europea occidentale, probabilmente italiana: la seconda parte è infatti basata sulla dottrina dei sette peccati capitali, fatto non comune in un poeta cretese anche se cattolico; ma nulla esclude che il F. segua un'idea del tutto personale. Il F. scrisse inoltre la ῾Ρίμα παρηγορητική (302 vv., edito da G. Zoras, 1956), una lettera consolatoria dedicata a Benedetto da Molin (Damoulis), un amico cretese che improvvisamente aveva perso la moglie, i figli e le proprietà. I temi sono quelli tipici del genere consolatorio: instabilità del mondo, morte come liberazione, necessità della imperturbabilità e misericordiosa bontà di Dio. La consolatio, genere molto diffuso nell'Europa occidentale, nella letteratura greca medioevale era pressoché sconosciuta; il poema del F. ne è il primo esempio.
Altre opere del F. sono un Θρηνος εἰς τὰ πάθη καὶ τὴν Σταύρωσιν του Κυρίου καὶ Θεου καὶ Σωτηρος ἡμων 'Ιησου Χριστου e l''Ερωτικὸν ἐνύπνιον; il primo, composto di 402 versi, è un Planctus Mariae. Il vero e proprio pianto di Maria, che ha come interlocutori Marta, Giovanni, Maria Maddalena, Cristo, Proponio, Giuda, Tzadok e il Centurione, occupa i due terzi dell'opera; più interessante è la prima parte, con funzioni di prologo, in cui l'ebreo Tzadok (omonimo dell'interlocutore citato da Maria), alla richiesta del F. e dei suoi amici, traduce in ebraico le parole che si trovano su un quadro raffigurante la crocefissione e la deposizione del Cristo. Nell'Occidente troviamo caratteri ebraici in quadri raffiguranti la crocefissione, anche se il loro uso è generalmente limitato alla scritta della croce (a tradurre la sigla INRI). L'idea della traduzione dall'ebraico può essere una invenzione propria del F., come può anche dipendere da un modello italiano.
L''Ερωτικὸν ἐνύπνιον è un breve sogno d'amore. Il poeta in sogno è visitato dall'amata e da Cupido che svela ai due amanti i misteri del regno dell'Amore. Nel momento in cui il F. sta per abbracciare l'amata viene svegliato dal canto del gallo e invano cercherà di ritrovarla. Infine al F. è stata attribuita, probabilmente a torto, la raccolta Λημώδη ποιήματα ἀγνώοτου συγγραϕέας altra opera per la quale si è fatto il suo nome sono le ῾Ριμάδα Κόρης καὶ ύιου. S. Alexiou ha notato che essa ricorda nella forma, nella lingua e nel tema i due sogni del F., ma per ciò che concerne il linguaggio A. van Gemert pone delle riserve.
Il F. nelle sue opere si rivolge a persone che appartenevano al suo stesso ambiente: da una parte vivevano nel clima politico di Venezia, dall'altra avevano una certa padronanza della lingua greca. Il linguaggio del F. è il greco che si ascoltava per le strade e nelle chiese. La lunghissima permanenza a Creta (quattro generazioni) della famiglia Falier permetteva ad essa la perfetta conoscenza della lingua, e in particolar modo del dialetto cretese. I pochi arcaismi che si incontrano nelle opere del F. derivano nella maggior parte dei casi dalla lingua della Chiesa, in quanto, allo stato attuale degli studi, non risulta che il F. conoscesse il greco antico. Finora non è stata scoperta alcuna fonte diretta delle opere del Falier.
Probabilmente lesse il romanzo cavalleresco Λιβίστρο καὶ ῾Ροδάμνι, e testi come lo Σοανέας citato; conobbe anche il teatro popolare e umanistico. Nell'῾Ιστορία καὶ ὄνειρον è evidente l'influenza del "contrasto" e della "farsa": certamente egli non ignorava le composizioni di Leonardo Giustinian (1388-1446) che, scritte tra il 1420 e il 1430, ebbero un grande successo e molti imitatori. A Creta esse erano giunte nel 1421-23 per mezzo di Marco Giustinian, fratello del poeta, capitano a Creta in quegli anni. Ed è probabile che la presenza del contrasto, benché sviluppato drammaticamente, nell'opera del F. derivi direttamente dalle canzonette del Giustinian.
Tra i Falier di Candia si trova un altro Marino: figlio di Francesco, nato a Creta presumibilmente intorno al 1470, che ebbe quattro sorelle ed un fratello, Marco, morto nel 1513. Nel 1496 Marino sposò Zizilia Abramo, da cui ebbe due figli: Marco nel 1521 e Zuane, nata nel 1523. Dal 1494 in poi egli è menzionato negli atti notarili come amministratore degli affari della famiglia. La donazione a suo favore di una gran parte del patrimonio familiare (1497) e l'avvaloramento di tale concessione nel testamento del padre Francesco (1502) furono causa di grandi discordie fra i membri della famiglia, specialmente dopo la morte del padre (1506-1507). L'accordo tra Marino e il fratello Marco del 24 febbr. 1509 si rivelò senza risultato. Per decisione della Quarantia nel giugno del 1513 Marino fu obbligato ad accettare la spartizione dei possessi dei Falier (Baker-van Gemert, p. 7); la morte nello stesso anno di Marco lasciò la proprietà intatta. Dagli atti notarili Marco risulta un importante mercante di vino e formaggio che viaggiava spesso con la sua merce a Venezia e in altre parti del mondo veneto-greco. Ebbe anche incarichi politici: nel 1520 è menzionato come membro di una "ambasceria" da Candia a Venezia (ibid.).
Nel settembre del 1516 Marino cadde nelle mani dei pirati Curtogoli ed ebbe salva la vita pagando un riscatto di 3.000 ducati. Il denaro gli fu dato in prestito dai suoi amici Zuane Quirini e Giacomo Dono, marito di sua sorella Maria, dando loro come garanzia i suoi feudi di Patsidez e Hagios Vasilios. Morì nella seconda metà del 1527 e fu sepolto nel monastero del Salvatore a Creta.
Il materiale raccolto nell'Archivio di Stato di Venezia non prova con certezza chi dei due Falier fosse il poeta; tuttavia alcuni elementi presenti nei lavori del F. ci portano ad una soluzione: il fatto che i Λόγοι διδακτικοί siano dedicati al figlio Marco non è conclusivo, poiché ambedue chiamarono il loro primo figlio Marco; nel caso del F. ovviamente ciò presuppone che i λὸγοι siano stati scritti in epoca precedente alla nascita del secondogenito. Ciò che invece è determinante ai fini di una esatta individuazione del personaggio è la dedica della Ρίμα παρηγορητική a Benedetto da Molin. Dì quest'ultimo non si è trovata traccia nella vita del Marino più giovane, né nei protocolli di Nicolò Longo, suo notaio personale, né nelle carte ufficiali dell'Archivio del Duca di Candia, né nei Diarii del Sanuto.
Invece furono contemporanei del F. a Creta due nobili con il nome di Benedetto da Molin; con uno di loro, il figlio di Zuane, egli ebbe rapporti stretti. I documenti che sono stati trovati (doc. I, 1-5) riguardano gli ultimi anni sfortunati della vita di Benedetto: da essi si apprende che il F. pagò in favore di Benedetto una somma di denaro. Nel 1432-33 Benedetto fu costretto a vendere il suo feudo "Panagia" (doc. I 3a-b), e il F. lo comprò.
Un ulteriore argomento a favore del F. può essere desunto dagli ultimi versi della ῾Ρίμα παρηγορητική in cui si afferma: "qui finisce la ῾Ρίμα del Falieri, dell'ormai vecchio signor Marino". Queste righe furono scritte da qualcuno che conobbe personalmente il poeta e sono in favore del F. che morì all'età di ottant'anni o più, in quanto suo nipote al momento della sua morte, aveva all'incirca cinquant'anni (Baker-van Genert, p. 8).
Bibl.: A Scrinzi, Poesie ined. di M. F., in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lett. e arti, LIX (1899-1900), pp. 253-264; G. Zoras, Marinou Phalierou Rima paragoretike, kata ton kodika 1549 tisLaurentianis, Athenai 1956; Id., Marinou Phalierou Historia kai oneiron, in Riv. di studi bizantini e neollenici, n. s., VIII-IX (1971-72), pp. 25-49; W. F. Baker-A. F. van Gemert, The logoi didaktikoi of Marinos Phalieros, Leiden 1977; A. van Gemert, Marinou Phalierou Erotika oneira, Thessalonike 1980; V. Lazzarini, Marino Faliero..., Firenze 1963, ad Indicem.