CAVALLI, Marino
Primogenito di Giovanni (1531-1572) di Marino e di Donata di Paolo Tron, nacque a Venezia il 19 nov. 1561.
Dedicò tutta la sua esistenza al servizio della Repubblica, non distratto da affetti e obblighi familiari diretti, ché, al contrario dei fratelli - Giacomo (1563-1590), sposo di Elena di Nicolò Mocenigo, e Federico (1567-1618) sposo di Daria di Alvise Mocenigo - e delle sorelle - Contarina maritata con Alvise Bragadin di Giovanni, Giustiniana maritata con Antonio Malipiero di Girolamo e Lucrezia maritata con Francesco Venier di Giovanni -,non si accasò e non ebbe figli. Non per questo trascurò di prestare una certa attenzione al patrimonio della famiglia, in merito al quale la primogenitura gli conferiva maggiori diritti e doveri: frequenti le "quietanze" "transationi" "cessioni" acquisti di livello ove figura come contraente e se ne trae l'impressione che l'eventualità di qualche, sia pure modesto, traffico marittimo sia del tutto estraneo al suo esclusivo interesse pei "beni di Padoana e Vicentina".
Rilevabile nel succedersi di cariche e mansioni della sua vita politica - fu savio agli Ordini, savio di Terraferma, savio del Consiglio, membro del Senato e della sua "zonta" e della "zonta stravacante" - l'attività diplomatica ricollegabile al precedente illustre dell'omonimo nonno paterno che, come nel testamento del 15 febbr. 1570 aveva disposto che la "casa de statio in San Vidal" andasse al primogenito Sigismondo e, "dopo lui, a Marin mio nepote", è da supporre abbia riposto in questo la speranza d'un prolungato prestigio della famiglia.
Nominato, il 21 giugno 1591, rappresentante veneto a Torino, il C. vi risiede dal 10 maggio 1592 al giugno del 1595, in un periodo nel quale Carlo Emanuele I, assorbito e travolto dal conflitto incautamente suscitato, non ignora lo scarso apprezzamento di Venezia per le "operazioni sue" e la sospetta d'aver "data una determinata somma" al Lesdiguières "per fare la guerra"; e, mentre non risparmia "dimostrazioni" favorevoli al re "con il quale fa la guerra",rilutta, d'altro canto, di farsi tramite d'"accomodamento" tra loro.
Situazione imbarazzante pel C., in cui nulla può fare se non salvare le forme d'un rapporto che continua a rimanere formalmente corretto: donde, per es., il suo adoperarsi per tranquillizzare il duca quando lamenta d'essere chiamato "celsitudo" in alcune lettere in latino della Serenissima, dimostrandogli che "era l'istesso d'altezza" finché "mostrò di restar quieto". Ben poco, d'altronde, esige da lui il Senato, che ottenga l'estradizione di Girolamo Borgognino e Marino Boara, i quali avevano trucidato il conte Paolo Emilio Scotto mentre "era in servitio nostro"; che ribadisca al conte della Bastia, reduce dalla rappresentanza sabauda a Venezia, "l'affettione" per lui di questa; che esprima al conte Francesco Martinengo, allora alla dipendenza di Carlo Emanuele I, il desiderio della Repubblica di averlo al proprio "servitio".
Di gran lunga prevalente la parte dell'osservatore e del trasmettitore diligente di notizie in ottemperanza alla commissione senatoria, del 9 apr. 1592, stabilente, appunto, che egli dovesse "intendere et avisare tutte quelle cose che... occorreranno degne dell'intelligenza nostra". Il C. registra così gli "avisi de i successi di Francia" dalle mosse del "duca d'Omena" alla Declaration du roy contre la convocation faicte en la ville de Paris par le duc de Mayenne, pubblicato a Chartres nel 1593 e che si premura di accludere, e alla "conversion del re di Navarra" il quale a S. Dionigi "udì la messa et ricevè il sacramento per mano dell'arcivescovo di Burges". Annota le varie tappe del travagliato assedio di Bricherasio, l'agitato affannarsi del duca, il suo continuo partire "improvisamente di Torino" e i suoi altrettanto imprevedibili ritorni. Non gli sfuggono lo scarso entusiasmo delle truppe - "quelli del duca",che, per parte sua, non esita a far impiccare i disertori, "sono non solo poco inclinati, ma alieni dal voler combatere",e ciò vale sia pei "soldati privati" che pei "capi" - la diffidenza che mina e corrode l'alleanza ispano-sabauda. Il duca si duole "che da Milano non... siano mandate quelle munitioni da guerra" necessarie all'"impresa" di Bricherasio; né si tratta di momentanei dissapori perché sa che "la grandezza sua non è desiderata dalli ministri di Spagna". Non serve a migliorare i rapporti la puntata a Torino, del settembre 1592, del Fuentes, "venuto" - assicura il C. - a "prometter al duca, a nome" del suo re, "di darle il regno d'Inghilterra et che all'incontro li fossero dati questi stati de' quali ne dovesse... detto... Fuentes restar governatore sotto nome di Sua Altezza sino che li fosse dato il possesso di questo regno, nel qual mentre il... duca havesse il governo della Fiandra. Il che - precisa il C. - ha così dispiaciuto et disgustato il... duca che si è lasciato intender... che, se li facevano tal dimanda, haveria convenuto risponder in modo che non li saria grato".
Tornato a Venezia, il C. legge al Senato - che lo ha elogiato per la sua "singolare diligentia et molta prudentia" - una relazione nella quale, pur insistendo sulla gravissima situazione in cui Carlo Emanuele I s'è cacciato ("non può più continuare la guerra, essendo lo stato suo di qua e di là da monti di maniera rovinato" da non poterne più ricavare "le gravezze ordinarie"; inoltre è impossibilitato a difendere "tante piazze quante ha"), non cela una certa ammirazione per questo principe "di grandissima pietà e religione",temerario, bellicoso, "patientissimo nelle incomodità" e che "si compiace assai di parlare delle cose di guerra, d'alloggiare e di condurre eserciti, di espugnar città e di riconoscere l'inimico, di trinciere, di mine e d'artiglierie".
Nominato, il 18 nov. 1599, ambasciatore in Francia, la raggiunge l'anno dopo risiedendo, sino al marzo del 1601, a Chambéry, Avignone e, soprattutto, Lione donde si trasferisce a Parigi, che lascia nel luglio del 1603 con "disgusto estraordinario... per la sua partenza" - così il suo successore Angelo Badoer - da parte d'Enrico IV, il quale lo insignisce della "dignità di cavaliero, che, se bene ordinaria, nondimeno conferita con estraordinario modo nel Cavalli..., deve riuscir riguardevole nella persona sua". Prova questa che il C. aveva realizzato il compito principale fissatogli dalla commissione del 23 ag. 1600: "procurare con ogni studio di conservare l'amore ed ottima volontà" tra la Serenissima e il re, "far sempre ogni buon officio per conservare l'amicizia e buona corrispondenza" tra i due.
Il Pregadi gli aveva pure raccomandato di prestare particolare attenzione alle "cose di Saluzzo",dato il pericolo, "che Dio non voglia",d'un ulteriore avvicinamento delle armi "a questa provincia d'Italia". E doveva altresì - poiché era esplicito desiderio della classe dirigente veneziana "che le cose della religione cattolica procedano sempre bene" - caldeggiare, con cautela comunque e riguardo, "nei ragionamenti" quanto "potrà seguire a beneficio ed aumento della detta religione". S'erano aggiunte, via via, altre istruzioni: appoggiare la missione del cardinale Pietro Aldobrandini volta alla "pace" franco-sabauda; sensibilizzare il sovrano alla "quiete et beneficio dell'Italia"; convincere, in occasione del rinnovo dei patti della Francia con gli Svizzeri e i Grigioni, soprattutto il maresciallo Biron della necessità "che resti quel passo sempre aperto alle genti francesi di passar in Italia" a vantaggio dei "prencipi amici"; valorizzare agli occhi del re "quanto, in gratificatione" sua, ha fatto Venezia accettando "il deposito delle gioie" del duca di Savoia; chiarire, in merito all'atteggiamento della Repubblica verso Lagosta ribelle a Ragusa, come fosse sgombro dal "minimo pensiero di occupare quel d'altri".
Esecutore zelante, il C. è anche diligente informatore coi suoi dispacci ricchi di dettagliate e svariate notizie: dallo scarso entusiasmo del sovrano per la novella sposa Maria de' Medici (comunque, dopo essersi, finalmente, "deciso" a "dormir con lei",la trova "più bella di quello che le era stato detto") al travagliatissimo parto del delfino, durante il quale - le doglie durarono un intero giorno - il re rimase costantemente accanto alla moglie consolandola, a suo modo, col dirle "che per fare un re di Francia si poteva contentar di patire"; dai provvedimenti volti a risollevare i languenti commerci di Lione alle perplessità suscitate negli ambienti di corte dai "capitoli della pace" con Carlo Emanuele I escludenti la presenza francese in Italia e alle preoccupazioni provocate dalla conclusione del conflitto tra gli ugonotti, essendo "malissimo contenti li eretici" sia di "convenir disarmare" sia dall'eventualità che, "accomodate le differentie con li principi esterni, le armi habbiano a convertirsi contro di loro". Ed il C. sa inoltre cogliere il tratto fondamentale della politica d'Enrico IV, la cui "risoluta e costante volontà di non voler più la guerra" s'inquadra nel rigido contenimento delle spese necessario per risalire la china del dissesto finanziario ed è subordinata al ripristino dell'autorità regia su tutto il regno, più volte, infatti, il C. rileva "l'inclinatione" del Borbone "alla pace per stabilir il governo di questo amplissimo regno".
Posto a fianco come accompagnatore, nel novembre del 1606, a don Francesco de Castro giunto a Venezia con ambizioni di mediatore tra questa e Roma, il C. - che nell'ottobre è stato creato ambasciatore presso l'imperatore - parte nel giugno dell'anno dopo e, passando per Innsbruck e Linz, raggiunge, il 9 luglio, Praga partendone, l'11 ott. 1609, "honorato - così il successore Francesco Priuli - da quasi tutta la corte..., favor insolito, ma certo grandemente meritato... per haver sostentata questa carica... con decoro",cioè con "famiglia numerosa et qualificata" e colla "continua lautezza" della tavola splendidamente imbandita.
Fattore indispensabile questo - commenta il Priuli - per accattivarsi "l'amore universale che in queste parti con poc'altro mezo si può acquistare". Inoltre il C., è sempre il Priuli ad attestarlo, "con la dolcezza nel trattare ha tirato a sé ogni genere di persone". Affermazione un po' esagerata ché il C. aveva avuto modo di rivelarsi alquanto spigoloso in fatto di prestigio al punto da compromettere, nei suoi rapporti col rappresentante spagnolo don Baltasar de Zúñiga, "quella corrispondenza ch'è solita passar alle corti tra' ministri" come ebbe a rimproverarlo, larvatamente, il Senato il 29 genn. 1609.Al che replicò di non poter accettare che il de Zúñiga si rivolgesse a lui anziché con "Vostra Signoria illustrissima", col più modesto "Vostra Signoria clarissima",rifiutando, così, di "trattar con parità di titolo". Comunque, a parte questa gustosa schermaglia per la "dificoltà de' titoli" e le proteste dell'agosto 1607 per una recente "depredatione" uscocca (ascoltate con un certo fastidio da Rodolfo II, che non riconosce la giurisdizione adriatica della Serenissima, cui rimprovera, inoltre, di non aver prestato il minimo aiuto alla sua lotta antiturca), null'altro pare vivacizzare il soggiorno praghese del Cavalli.
Ma proprio la scarsità delle occasioni di un suo intervento diretto gli concede l'agio di trasformarsi, nei suoi dispacci, in una sorta di cronista quotidiano degli inquietanti scricchiolii, di chiaro segno centrifugo, dell'eterogenea impalcatura imperiale, in uno spettatore distaccato dell'indaffarato adoperarsi di Rodolfo II per turarne le falle e rabberciarne le crepe. Registra così l'insofferenza degli "Ongari",contraddistinti, malgrado la loro "variabilità et inconstantia",dalla persistenza irriducibile del viscerale "odio che portano alli todeschi",e la "nova sollevatione" degli aiducchi, "simplici villani" rafforzati, però, dall'aiuto turco e dal favore dei "principali baroni" dell'Ungheria superiore; e al C. paiono scandalose "le parole" dei secondi" contro di Sua Maestà, dicendo di non voler l'imperatore perché è pergiuro et idolatra". Disgreganti giudica gli effetti della dissidenza religiosa, poiché "nelle provincie infette" risulta "grandemente diminuito" il "rispetto" per l'autorità centrale; non c'è che da sperare che, "essendo li heretici tra loro, per la diversità de le lor sete, tanto divisi, questo possi apportar... giovamento". Ulteriori sintomi di scollamento il faticato svolgersi delle Diete, i contrasti, in Austria, tra "quelli della confessione augustana" e i cattolici, l'ambizione pugnace dell'arciduca Mattia che via via indebolisce, colla minaccia di decise azioni di forza, il vacillante prestigio del fratello.
Di nuovo a Venezia dove, all'interno del patriziato, ferve la lotta tra intransigenti e accomodanti in fatto di rapporti col pontefice, la nomina del C., del 13 apr. 1610, a rappresentante della Repubblica a Roma è interpretata come una vittoria dei secondi: non a caso Sarpi giudica il C. ancora "peggiore" del suo predecessore, l'"ambasciator papista" Giovanni Mocenigo.
Saputo della nuova incombenza, il nunzio pontificio a Praga, che aveva avuto modo di conoscerlo, s'affretta a tracciarne, in una lettera del 5 luglio, al cardinale Scipione Borghese, un profilo, tutto sommato, non negativo dato il malanimo della diplomazia pontificia del tempo nei confronti diVenezia e dei suoi rappresentanti. Il C. - scrive dunque il nunzio - è "soggetto non molto ecclesiastico di prima impressione, d'intelletto poco chiaro et ben facile all'ira, con tutto ciò di poco core et assai sospettoso et le riuscirà, nel discorrere, molto più volenteroso di dir che d'ascoltare; all'incontro credo che potrà assicurarsi che non sarà inventor di calunnie, né si pascerà di metter male et che quel concetto che gli sarà detto, egli lo scriverà fedelmente alla Republica senza depravarlo con comenti et inventioni sinistre".
Preceduto da questo "giuditio",che, pur marcando i suoi limiti, gli riconosce un'indubbia probità professionale, il C. giunge a Roma il 28 apr. 1611, dopo che i suoi conipiti sono stati fissati nella commissione del 2 aprile. Alcune disposizioni sono scontate,comuni a tutti gli inviati della Serenissima presso la S. Sede: ribadire a "la Santità Sua... la riverenza et osservanza che le portiamo" e "intender ... le cose che giornalmente occorreranno ... et gli avisi... che capitaronno"; evitare che Venezia abbia "pregiuditio" in una questione "della somma importantia" quale quella di Ceneda; ottenere che "vescovati abbadie et prelature" relativi ai domini veneti vengano conferiti a "persone confidenti della Republica"; garantire "la libera estrattione dell'entrate loro" ai sudditi di Venezia possessori di "beni nella Romagna". Altre sono legate alla situazione: "far officio",pur con tutte le cautele e i riguardi, perché il papa, come si compete a "pastore vigilante e prudente", eviti d'aggravare le difficoltà della Francia e "procuri di tener uniti tutti li principi et ministri... all'obedientia del re et della regina"; appoggiare la richiesta di risarcimento per violazione di contratto del tipografo Bernardo Sessa defraudato dell'esclusiva, a suo tempo ottenuta, della stampa dei "libri corali di S. Domenico".
In seguito, i doveri del C. si precisano ulteriormente ché gli si ordina di protestare vivamente contro i progetti di Enzo Bentivoglio che, forte della concessione contenuta in un breve pontificio del 17 febbr. 1609,voleva procedere a "bonificare alcune valli ferraresi" con gran preoccupazione di Verona e Legnago nonché di "molti particolari nobili et sudditi nostri". E deve, inoltre, difendere, di contro alle vibranti proteste di Paolo V accusante Venezia d'agire de facto, la legittimità dell'ispezione a Ceneda di Ottaviano Bon (allora provveditore e inquisitore in Terraferma col compito della revisione del territorio trevisano e friulano), la cui "visita",a detta del Senato - che raccomanda al C. di valersi degli argomenti "della scrittura qui inclusa" di Paolo Sarpi -,è stata "un atto legittimo della nostra superiorità". Spetta altresì al C. giustificare la liberazione di Giacomo Castelvetro che, arrestato dall'Inquisizione, era stato rilasciato su richiesta dell'ambasciatore inglese, della cui "casa" era "huomo et servitor".
Malandato di salute, tormentato, per tutto settembre, dalla febbre, né i salassi né le altre cure suggerite dai molti medici di fama interpellati riescono a "prevaler la malignità del male"; sicché il C. muore a Roma il 6 ott. 1611.
Se al Senato rincresce "grandernente la morte del diletto nobile nostro Cavalli", non altrettanto può dirsi del Sarpi: il C. "ora è morto",scrive il 25 ottobre al Groslot de l'Isle, e "la buona fortuna o... la volontà di Dio ha fatto eleggere" a succedergli "un utile", Tommaso Contarini.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, 54, c. 94; l'inventario dei beni della madre del C. del 26 genn. 1599, Ibid., Giudici di Petizion. Inventari, 341/78; lettere del C. ambasciatore in Francia e in Savoia, Ibid., Capi del Consiglio deidieci. Lett. di amb. e rappresentanti, buste 11 n. 192 e 28 nn. 143-147; Ibid., Senato Secreta, regg. 89, cc. 11v-12r, 75v-76r, 89v, 128, 130; 90, c. 106v; 93, cc. 71r-78r passim, 94v-95r, 100v, 129v; 94, cc. 7v-8r, 79, 114v-115r, 147v-148r, 153v-154r, 167v-168r, 180r; 95, cc. 45, 60, 70, 77, 81r-82r, 108r, 159v; 98, cc. 41r-42r, 75r-76v, 97r-110r passim, 129v-130r, 136v; 99, cc. 16r, 57r, 91r, 98r, 108r, 114r; 100, c. 46; Ibid., Senato. Deliber. Roma, reg. 18, cc. 41r-72r passim;lettera di Leonardo Donà, del 22 febbr. 1601, al C. in Venezia, CivicoMuseo Correr, Fondo Donà delle Rose, 167, c. 2591; ducale al C. del 15 sett. 1609, Ibid., mss. P. D. C 822/28; qualche dato sugli interessi patrimoniali del C. emerge dall'Indice d'instrumenti della famiglia Cavalli, Ibid., mss. P. D. 693 C/III; copie della Relazione... di Savoia...del C., Ibid., mss. P. D., 93 C, e mss. Venier, B I/3; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII,831-833 (= 8910-8912), Raccolta dei Consegi, XIX, cc. 6r, 14r; XX, cc. 107v, 114r, 115v, 119v, 143v, 149v, 153v, 161v, 179v; XXI,cc.3v, 119v, 280v; Arch. Segr. Vaticano, Nunziatura Venezia, 42, cc. 63v-64r, 89, 95v-96v, 144r, 147v, 241, 267v-268; la Relazione... di Savoia del C. in Le relazioni degli amb. veneti al Senato..., a cura di E. Alberi, s. 2, V, Firenze 1858, pp. 197-230; compendi e stralci di dispacci del C. e cenni su di lui in Relazioni... lette al Senato dagli ambasc. veneti..., a cura di N. Barozzi-G. Berchet, s. 2, I, Venezia 1857, pp. 17, 25-51; s. 3, ibid. 1877, p. 109 (e nell'ed. anastatica Rel. di amb. veneti al Senato...,a cura di L. Firpo, II, Torino 1970, p. XLI; VI, ibid. 1975, pp. 17, 25-5 1);lett. del C.da Praga tra il 16 luglio 1607 e il 21 sett. 1609 in Documenti privitore la istoria Românilor, a cura di L. de Hurmuzaki, VIII, Bucuresci 1894, pp. 315-28; una lettera, del 5 ottobre del 1607, inviata da Keplero al C. ove egli annuncia di aver visto, il 26 settembre di quell'anno, "cometam",posta "sub posterioribus rotis Ursae",la quale il 5 ottobre "iam attigerat Serpentem" con "motus cellerrimus",in J. Kepler, Gesammelte Werke, XVI, a c. di M. Caspar, München 1954, p. 55; I libri comm. d. Rep. di Venezia...,a c. di R. Predelli, VII, Venezia 1907, pp. 86, 106; Calendar of State papers... relating to English affairs... in the archives... of Venice…, IX-XII, a cura di H. F. Brown, London 1897-1905, ad vocem; Dispacci degli amb. al Senato. Indice, Roma 1959, pp. 60, 104, 227, 265; Carlo Emanuele I e la contesa fra la Rep. veneta e Paolo V... Documenti, a cura di C. De Magistris, Venezia 1906, p. 216; P. 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