CAVALLI, Marino
- Nacque nel febbraio dell'anno 1500, a Venezia, da Sigismondo (la madre proveniva dal casato dei Foscolo).
In quella data la sua famiglia era ormai compiutamente inserita nella struttura politica ed economica della Repubblica. Anche se il padre, il 22 ag. 1504, stende il testamento a Verona, perché era nel Veronese, fra San Bonifacio, Soave e Villanova che si estendevano, fin dal sec. XIII, i loro possedimenti agrari, i Cavalli erano ampiamente presenti negli investimenti immobiliari, a S. Vidal e S. Marco. Èuna presenza che emerge nel testamento del 15 febbr. 1570, quando il C., riprendendo un tema dell'Aretino (Al Magnanimo Signor Cosimo de i Medici..., III, Venezia 1546, c. 4r), sottolineerà ai figli il bisogno di "tener a memoria sempre di esser nasciuti Gentil'homini di Venetia, et non Signori né Duchi" (Informatione, p. 95).
La carriera politica del C. si effettua all'interno delle prospettive urbane del dogado di Andrea Gritti, e con l'appoggio del figlio, Alvise Gritti. Se il 7 ott. 1526 partecipa all'elezione al Cattaver, e l'8 marzo 1528 è cattaver in Pregadi, aderisce pure alla politica di incentivazione dei prestiti allo Stato, promossa dal Gritti: il 29 aprile offre, infatti, per 200 ducati, la catena della moglie Giustiniana Zustignan del fu Antonio (le nozze erano recenti), mentre il 3 gennaio era risultato fra quelli che "prestono sopra il dazio del vin, con utilità di 25 per cento" (Sanuto, Diarii, XLIX,col. 321),e il 2 maggio 1529 risulta fra i primi ad offrire 50 ducati. Negli stessi anni amplia il patrimonio agrario della famiglia, unitamente ai Gritti, investendo in "selve prative" a Campalan (Verona), fra il 3 ag. 1522 ed il 13 genn. 1523, come a Bresseo e Teolo (Padova), nell'aprile 1534.
Attraverso gli investimenti, si intravvedono i due futuri orientamenti dell'attività del C.: la città e il territorio; i problemi dell'approvvigionamento alimentare ed il rafforzamento economico del tessuto dei centri urbani della Terraferma.
Eletto, il 17 ott. 1535, capitano di Vicenza, dopo l'incarico a Brescia del 1530 (ma solo dal gennaio 1536 può iniziare i lavori), è il problema dei rifornimenti di carne per Venezia, rifornimenti che passavano dal Vicentino, a costituire il nerbo dei suoi interventi.
Ne regolamenta i trasporti, colpendo gli incettatori, come Agnolo Casolin, di Padova (era nel Vicentino che sovente si rifornivano i mercanti padovani di bestiame destinato a Venezia, senza pagare il dazio dovuto), ed imponendo la "patente" per il pagamento dei dazio, oltre che snellire, sul problema dell'approvvigionamento, i rapporti contabili e amministrativi fra i rettori ed i governatori delle Intrade: la "burocrazia" di Venezia viene dal C. coinvolta in un processo di rinnovamento amministrativo ed agrario della Terraferma.
Di conseguenza, spetta al C. ricevere la prima nomina ad oratore in Baviera (ag. 1539), per farvi "incetta" di grani, e aprire quel mercato agli interessi veneziani.
È infatti, dietro l'impulso del C. che Venezia è spinta a risolvere le sue carenze granarie acquistando il prodotto in paesi lontani e dalle difficili comunicazioni, allargando contemporaneamente le aree di influenza diplomatica. I tentativi del C. alla corte bavarese non solo portano, alla immissione sul mercato veneziano di 18.000-20.000 staia di grano nella primavera del 1540, ad un prezzo ancora costoso per i trasporti (14 lire lo staio); ma codificano, dalla Baviera a Venezia, una via di trasporto fluviale, attraverso Innsbruck e Trento, che solo nel 1590 verrà sostituita da una terrestre.
Da questo momento, al C. spetta svolgere progressivamente un ruolo eminentemente politico e diplomatico, sintonizzandosi con quella tendenza alla specializzazione dei ruoli statali che si dipana dal dogato del Gritti. Il 14 maggio 1541 (la commissione ducale è del 4 ott. 1541) è inviato ambasciatore ordinario presso Ferdinando I; e nel dicembre 1543 stende una Relazione, che costituisce il primo esempio, per Venezia e per gli Stati della penisola, di un resoconto tecnico, su determinati problemi politici ed economici; col C. la "relazione" diviene uno strumento della politica generale dello Stato.
Pertanto, scriveva nel 1543, "io credo che solo l'intender distinta e particolarmente con ogni dependenza le cose de' vicini faccia l'uomo nelle operazioni sue non solo savio ed avvertito, ma nel negoziare e preveder di lontano lo faccia essere come indovino". Emergeva, inoltre, un'ulteriore prospettiva: poiché il mercato veneziano non poteva presumere di essere a "capo di ogni contrattazione",in quanto i mercanti tedeschi diretti a Lione preferivano la via di Milano e Trieste, la Repubblica doveva divenire, in un'Europa percorsa dalle guerre, il "porto della vera salute", e richiamare "genti e ricchezze e ogni altra comodità". E, soprattutto, potenziare le città della Terraferma, incrementandone i consumi e gli investimenti "industriali".
Con questa Relazione il C.diviene l'esperto di politica europea e mediterranea a Venezia. Di modo che, il 4 marzo 1544,è nominato ambasciatore alla corte di Francesco I, fino al febbraio 1546. Alla corte parigina, ove è possibile seguire i "maneggi ... con tutti li potentati del mondo" (Arch. di Stato di Venezia, Secreta, b. 4, c. 8r), è il ruolo economico di Venezia nel Mediterraneo ad avere l'accento nei suoi interventi.
Così, nel gennaio 1546, insiste perché la Repubblica accetti l'offerta portoghese di aprire a Lisbona un "mercato di spetie"; come tenta di porre al servizio veneziano gli scontenti viaggiatori portoghesi, con tutto il loro bagaglio di esperienza nelle tecniche di navigazione atlantica. Il suo sguardo di osservatore si allarga agli spazi atlantici, registrando l'importanza dei "corsari" inglesi e francesi quali possibili disgregatori dell'impero spagnolo. I suoi dispacci, come la Relazione del 1546, assolvono un ruolo politico essenziale, non solo additando possibili alternative commerciali, quanto nel sottolineare una serie di proposte di articolazione dello Stato veneziano, parzialmente fondandosi sull'esempio francese: l'incremento di una industria di "panni",a basso costo e quantitativa, e non solo di lusso; l'organicità dello Stato, come struttura burocratica e di potere; il formare una milizia di "sudditi proprii",e non già mercenaria; il proporre che la carriera del diplomatico costituisca un ruolo ben definito, nelle strutture dello Stato, sempre più "tecnico",con una base economica solida. Particolarmente,proponeva di applicare, nelle città di Terraferma, anticipando alcune proposte di Cristoforo Canal, quel principio del cuius regio eius religio che permette in Francia a "città intiere che vivono, non già in palese ma con tacito consenso privatamente tutti, a costume de' protestanti".Alla corte francese, come nei dibattiti delle corti europee, il C. è considerato "l'escole des affaires du monde" (Charrière, Négociations, p. 416). Le Relazioni circolano, nelle corti e nei salotti letterari, come un importante avvenimento culturale; Pietro Aretino e Ludovico Dolce le esaltano ed ammirano, mentre vengono stampate, e divulgate, a Roma e Parigi con tirature che variano dai 400 ai 600 esemplari.
L'analisi politica, con le Relazioni del C., segna un netto superamento dei ritratti psicologici del Giovio, in quanto sono i meccanismi economici e statali ad entrare in primo piano, inserendosi nella vena dello sperimentalismo mercantile veneziano. Del contrasto fra Francesco I e Carlo V (nel marzo e giugno 1548 è ambasciatore presso l'imperatore, ad Augusta) coglie il "didentro",cioè "l'utile e commodo proprio"; per cui i suoi quadri umani portano il dramma delle figure di Tiziano, con cui è in rapporto.
A Venezia il C. è legato a Iacopo Barbo, ad Antonio Suriano, a Federico Valaresso, al vescovo di Viterbo Giampietro Crasso uomini che si congiungono al circolo dell'Aretino e del Dolce. La migliore trattatistica sulla peste, di impronta spenmentale, e sulla linea del Fracastoro, che esce dai circoli intellettuali di Padova, è dedicata al C.; così i Decem problemata de peste per Victorem de Bonagentibus medicum cum privilegiis (Venetiis 1556). La stessa università di Padova, fra il 1550 ed il 1558, in qualità di riformatore, risente dei suoi interventi organizzativi, volti fin d'ora a privilegiare i giuristi ed i medici, essenziali alle nuove strutture statali che Venezia va predisponendo. I legami culturali col Maggi, con Marco Antonio Benavides e Giovanni Cavazza, pongono vieppiù in luce un orientamento culturale che mira a rinnovare le strutture urbane e quelle dell'organizzazione culturale. Anche il figlio Giovanni partecipa, in questi anni, allo stesso sforzo: ad ambedue Alfonso de Ulloa dedicava la Tragicomedia de Calisto y Melibea... (Venezia 1556). A Venezia l'ascendente politico del C. è tale che le parrocchie di S. Fosca e S. Cassiano, per quanto riguarda la nomina dei parroci, risultano, interamente controllate dalla sua famiglia. Anche con la corte mantovana intensifica i rapporti, attraverso gli investimenti: il 22 apr. 1547 aveva affittato nel Mantovano "casamenti diversi et uno molino" per 250ducati. Non manca di emergere, infine, una capacità di svolgere un ruolo di committente di ricerche sul "vitto", l'"aria" e il "territorio", ricerche domandate ai medici dell'università di Padova, e dal C. finanziate.
Se il 7 ag. 1552 (ma solo nel 1553 èinviato) è capitano a Brescia, del cui territorio, e non solo della città, fa "disegnare" un "modello" che rappresentasse le reali disponibilità, per Venezia, delle riserve di ferro, di legno e di rame, e nel 1554 rinuncia, per malattia, all'incarico di ambasciatore in Francia, il 25 nov. 1557è nominato bailo a Costantinopoli.
È ilmomento della sua maturità intellettuale e diplomatica, che lo porta a riorganizzare interamente la struttura della sede diplomatica veneziana a Costantinopoli. Non solo impone la scelta di cancellieri ordinari che conoscano, accanto alla lingua turca, quelle araba e persiana e francese (il 21 apr. 1559 consiglia l'assunzione di Gabriele Pizzoni), ma incentiva la presenza dei giovani nobili veneziani che desiderano intraprendere la carriera diplomatica, a Costantinopoli, incrementando la "scuola" di turco, ed adeguando, a partire dall'8 sett. 1559, con la maggiorazione di 70 scudi annui, il contributo ai collaboratori: fra questi risalta Michiel Cernovicchio.
I rapporti fra Venezia e la Porta registrano un ritmo intenso: dallo scambio di medici e giuristi (la presenza dei "turchi" fa ora assumere un ruolo mediterraneo all'università di Padova) alla circolazione di opere storiche sui sultani turchi che il C. stesso traduce, o fa tradurre, in turco per poi farle conoscere alla Porta: circola, in tal modo, una cultura intessuta di ritratti ed imprese eroiche, turche e veneziane, e che pongono in rilievo le congiunzioni, più che le differenze, fra le due strutture statali.
Così, nel 1559, viene tradotto in turco, a spese del C., e per mano di Murad Bey, rinnegato ungherese, e donato a Solimano, un adattamento del De senectute di Cicerone, opera del nonno materno Andrea Foscolo, già bailo ad Adrianopoli negli anni di Ugurad II, un trattato che tende ad esaltare la "vecchiaia" quale perno degli Stati, perché garante della tradizione (E. Rossi, Parafrasi turca del De senectute, presentata a Solimano dal bailo..., in Rendic. d. R. Accad. dei Lincei, cl.di sc. morali..., s. 6, XII [1936]).
I mercanti di grano turchi intensificano, fra il 1558 e il 1559,su pressione del C., la loro presenza a Venezia; mentre i prodotti dell'oreficeria parigina vengono sempre più diffusi alla Porta attraverso i mercanti veneziani. Di conseguenza, l'obiettivo di fondo della politica mediterranea del C. non manca vieppiù, riallacciandosi alle linee del dogado del Gritti ed alla problematica di Cristoforo Canal, di risaltare: intensificare, fra Venezia e l'Impero turco, la circolazione mercantile e culturale, ed avvicinare le due strutture statali, oltre che fare dell'ideale della "pace" il nerbo delle relazioni fra i due mondi; una "pace" garante di una visione mediterranea che si alimenta del principio del cuius regioeius religio.
Se il 29 agosto, dopo ventisette mesi di permanenza, poteva fare un bilancio positivo della sua ambasceria (aveva liberato ottantaquattro "schiavi cristiani"; aveva usato "per conto publico" di 5.470 ducati d'oro), era la Relazione del 1560 a costituire il capolavoro dell'attività diplomatica del Cavalli. Non solo perché veniva superata una visione "profetica",e negativa, della "civiltà" turca, circolante a Venezia e nell'Europa di quegli anni, analizzandola comparativamente a quella veneziana, bensì in quanto veniva fatto risaltare che la forza di Venezia, in futuro, non doveva risiedere sulle "immagini" pubbliche di ricchezza, quanto su "le terre forti, il numero delle galere, le armi",e la totale autonomia alimentare. È la "fame",per il C., il maggior nemico delle città e degli Stati. Per questo, consiglia di intensificare gli investimenti agrari in Dalmazia, e nelle isole, mutando radicalmente il loro rapporto con Venezia: rendendole, da oggetto passivo di "donativi" in denaro, meramente assistenziali, da parte dello Stato, esportatrici di prodotti alimentari verso Venezia e verso l'Oriente turco. Ma, alla base di tutto, doveva permanere una "pace" duratura, anche con l'imperatore ed il re di Francia, che permettesse una progressiva interdipendenza, culturale ed economica, fra Venezia ed i territori turchi. Anche l'Informatione dell'offitio dell'ambasciatore, stesa con maggiore probabilità fra il 1560 e il 1561, più che nel 1564, si inserisce in tale atmosfera di proposte. Se la figura del diplomatico, con questo trattato, si inserisce autonomamente nella compagine dello Stato, come un tecnico, anche la sua raffigurazione urbana si specchia nella ritrattistica eroica che la politica culturale del C. aveva incentivato. All'ambasciatore, infatti, spetta "una famiglia ben accordata",ed "atta a servire et non andare a piacere per il mondo" (Informatione, pp. 39-40). I suoi pregi sono "la splendidezza, la benificenza, l'accortezza et prudenza" (ibid., p. 59); l'"ordine" e la "gloria" i propri obbiettivi. Che era, poi, il tessuto iconografico del ritratto che Domenico Campagnola gli dedicò nel 1562 (il dipinto, prima nel palazzo del Podestà di Padova, ora si trova nella chiesa di S. Giustina): uno dei numerosi ritratti "gloriosi",ma pervasi da una vena di retorica letteraria, che si abbinano a quelli della sala dei Giganti di Padova, i cui simboli erano stati ideati da Alessandro Maggi di Bassano, legato al Cavalli. Questi, infatti, in atteggiamento "regale",è da s. Marco presentato al Redentore individuando il Campagnola un tema che ritornerà nel testamento del 1570. D'altronde, si tratta di un filone culturale che nel C. non manca di congiungersi a quella tendenza, che accompagna la storia della cultura veneziana, mirante ad appropriarsi dei simboli regali dell'Impero bizantino, se nel 1560 trasporta a Venezia, da Costantinopoli, le immagini, incise in rame, di Michele Paleologo, della moglie e del figlio Costantino: nel 1604 Paolo Ramusio le riproduceva nella edizione italiana, latina e francese dell'opera Della guerra di Costantinopoli per la restituzione degli imperatori Comneni fatta da' Signori Venetiani... (Venezia, presso Domenico Nicolini).
Nominato, il 25 genn. 1561, ad oratore in Francia, presso Carlo IX (la partenza è del giugno 1561), il 12 apr. 1562 è podestà di Padova fino al febbraio-marzo 1563, e riformatore allo Studio dal 2 giugno 1560 al 1º giugno 1562. Più che gli interventi volti a far incetta di grano durante la carestia del 1562, investendo per la collettività urbana capitali personali, è l'attività quale riformatore a lumeggiare vieppiù i suoi obbiettivi politici e culturali.
Se il 19 marzo 1562 non esita, con Pietro Sanuto e Francesco Badoer, a firmare un decreto sul controllo dei libri da parte dei "riformatori" e dell'Inquisizione, restringendo le leggi sulla stampa, ed impedendo la circolazione di testi che si dirigano "contro la Religione, ... contra Principi, ... contra li buoni costumi",i tre poli della società tratteggiata dal C., non mancava di ristrutturare in profondo l'università, e privilegiava con decisione i medici ed i giuristi. Inoltre, mitiga la bolla di Pio IV, del 4 marzo 1565, In sacrosancta, permettendo, in tal modo, agli studenti tedeschi, inglesi e greci di conseguire lauree in privato o per l'autorità dei "conti Palatini". Nel porre fine alle lotte fra i gruppi "vicentini" e "bresciani", regolarizzando le nomine del "rettore",il C. inserisce l'università nel progetto di rinnovamento dello Stato veneziano, come produttrice di "specialisti",portando così alle ultime conseguenze quel processo che egli aveva già da un quindicennio iniziato.
Poiché la "specializzazione" era la novità della cultura "moderna",come dell'organizzazione delle "città" e dei centri di studio "moderni", sulle tendenze della cultura degli "antichi" era il tema che il Ruscelli divulgava, fra il 1558 e il 1560, attraverso poesie dedicate al C., e da lui favorite.
Non è casuale, infatti, che dopo il 1562 l'interesse "giuridico" abbia la preminenza nell'attività culturale del C.: il 23 genn. 1563 è "commissario sopra i confini della Patria",per dirimere alcune questioni di confine con l'Impero, ed i "giuristi" compongono ampiamente il suo gruppo di lavoro. Dopo essere inviato, il 4 ag. 1564,con Alvise Mocenigo, ambasciatore straordinario, in occasione della sua ascesa al trono, alla corte di Massimiliano II, e il 19 genn. 1566 è ambasciatore straordinario presso Pio V, occupandosi dei problemi di giurisdizione fra il patriarca e Venezia, il 21 ott. 1566, è inviato ambasciatore presso Solimano II, e significativamente la sua missione diplomatica investe il problema dell'osservanza, e della possibile revisione, degli articoli riguardanti la consegna, alle autorità turche, dei "corsari" e dei "levantini",sudditi turchi, catturati dai Veneziani. La sua incisiva presenza entro la struttura dello Stato permane inalterata, col rientrare delle accuse, che gli vennero mosse il 29 agosto del 1567, di aver abusato dell'autorità favorendo i mercanti ebrei della "compagnia" di Aaron de Segura. Chiamato il 5 febbr. 1568 a dirimere col duca di Ferrara il problema delle "quatro ville contentiose et dell'arzere di S. Donato", diviene procuratore della Repubblica nel febbraio 1569, esecutore delle deliberazioni del Consiglio dei pregadi il 9 marzo 1570, e commissario ai Confini, sempre nel luglio 1570, per i problemi di Aquileia e, di nuovo, riformatore allo Studio dal 7 marzo 1570 al 6 marzo 1572, per raggiungere, il 7 genn. 1571) la nomina a provveditore generale in Candia. Ora, è la "giustizia",allargata a "tutti",a costituire la nota dominante dei dispacci e della Relazione del 1572: perché è la "giustizia" a "far civilità",ed a "fondare" lo Stato.
Il testamento, del 15 febbr. 1570, si inserisce appieno in queste prospettive. La "città" è vista come una collettività, armonica ed equilibrata, ove le "famiglie" possano accrescere "la sua facultà con modi aprobati..., non offendendo né iniurando mai alcuno, dando la parte sua honestamente a sé, alla famiglia, alla patria, alli parenti et amici" (Informatione, p. 95). La "illustrezza" della "casa",come della "città", è l'obbiettivo che addita ripetutamente. Lo stesso istituto giuridico costituito dal "testamento" deve avere una finalità ordinatrice delle "famiglie", perché "la facultà et la roba è instrumento utilissimo alla vita humana" (ibid., p. 96); ed il fine di questa è la "giustizia", che trova nella grandezza di Dio il suo punto di riferimento precipuo. La maestà di Dio, ed i meriti di Cristo, e non la Vergine ed i santi, come nella maggior parte dei testamenti veneziani, sono richiamati dal Cavalli. Inoltre, è a SS. Giovanni e Paolo che desidera essere sepolto, nella cappella di S. Michele; nella chiesa che raccoglie i "ricordi" politici delle famiglie più rappresentative della Repubblica. L'articolazione del patrimonio denota una fusione fra investimenti immobiliari ed investimenti agrari, pure attraverso i depositi in Zecca: accanto ai 44.000 ducati per la dote ai figli, lascia le case "da statio" di S. Vidal (Venezia), di Padova, la "villa" di Campalan (comune di Nogara, Verona), oltre ai 36.000 ducati depositati presso il Monte di Pietà di Verona. Estesa la proprietà agraria: nel Veronese si trovano i 225 "campi" della possessione della Raffa (Nogara); i 1.200 "campi" di Campalan e Levà; "la casa et livelli" di Legnago. Nel Padovano: a Montagnana, una casa e 70 "campi"; 71 "campi" a Palugana (Este); a Carnoleo 70 "campi" con case; "casete" ad Este; 263 ducati di livello "sotto Arquà"; il livello di Montebuso; 160 "campi" e case, a Bresseo e Teolo; a Busiago 133 "campi"; nel Vicentino: "campi 330 con la mità della decima a Bevador et Camisan con case et fenili". Infine, accanto ai 10.000 ducati corrispondenti al valore dei mobili, dei vestiti e degli argenti, 80 ducati depositati in Zecca, all'interesse del 14%.
Il C. morì a Venezia il 13 febbr. 1573. Se Francesco Sansovino metteva in rilievo la figura del "senator prestantissimo, et eloquentissimo",che il monumento funebre intendeva rappresentare "eroicamente",la memorialistica padovana, almeno fino al Settecento, collocava il C. fra i difensori della "giustizia".
Fonti e Bibl.: La vita e la carriera polit. del C. siricostruiscono con Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle voci. Elezioni del Maggior Consiglio, regg. 2, 3; Ibid., Segretario alle voci. Elezioni di Pregadi, regg. 3, 4; Ibidem, Avogaria di Comun. Nascite, reg. LII, c.126r; Ibid., Deliberazioni Senato. Secreta, reg. 75, c. 107r; Ibid., Capi del Consiglio dei Dieci. Lettere di Rettori, bb. 21, 223; Ibid., Dispacci ambasciatori al Senato. Germania, filza 1a (22 nov. 1541); Ibid., Secreta. Archivi Propri Francia, b. 4 (26 genn.-10 febbr. 1546); Ibid., Secreta. Archivi Propri Germania, b. 3 (27 marzo 1548-3 giugno 1548); Ibidem, Costantinopoli. Dispacci ambasciatori al Senato, filza 2B (22 genn. 1558-29 ag. 1560); Ibid., Arch. Proprio Francia, filza 4 (14 maggio-12 giugno 1561); Ibid., Dispacci ambasc. al Senato. Germania, filza 1a (13 ott. 1564); Ibid., Arch. Proprio Roma. Dispacci ambasc. al Senato, filza 1 (17 marzo-17 maggio 1566); Ibid., Senato Secreta. Deliberazioni Costantinopoli, reg. 3 (29 agosto-6 sett. 1567); Ibid., Costantinopoli. Dispacci ambasciatori al Senato, filza 2 (7 marzo-12 luglio del 1567); Ibid., Capi del Consiglio dei Dieci. Lettere di Rettori, bb. 171 (n. 42), 285 (9-25 maggio 1571); Ibid., Testamenti. Atti Ziliol C.,b. 1260, n. 760 (pubblicato nella Informazione dell'offitio dell'ambasciatore di M. de C. il Vecchio 1550, a cura di T. Bertelè, Firenze-Roma 1935, pp. 95-105); Archivio di Stato di Verona, Camera fiscale. Processi, n. 142. Molti dati economici a Venezia, Civico Museo Correr, Mss. P. D. 693 c./III; Mss. P. D. c. 906,n. 8; Mss. P. D. 1970; Mss. Dandolo P. D. c. 951, n. 9; Ibid., Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, n. 925 (= 8594), c. 236r. L'attività all'univers. di Padova può essere seguita con Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle voci. Elezioni in Pregadi, regg. 1, 2, 3; Senato Terra, regg. 38, 43, 45; Maggior Consiglio. Deliberazioni, reg. 27; Riformatori dello Studio di Padova, b. 63; Arch. di Stato di Padova, Ducali alla Camera Fiscale, regg. 38, 39; Padova, Arch. dell'Università, vol. 1, 10. Sulla tradiz. manoscritta delle Relazioni: Relazione di M. C. ritornatoambasciasciatore daFerdinando re de' Romani nel decembredel 1543, in Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato duranteil sec. XVI, a cura di E. Albèri. s. 1, III, Firenze 1853, pp. 91-142 (Venezia, Civ. Museo Correr, Mss. P. D. 394 I; Ibid., Misc. Correr, LXXI/2510); Relaz. di Francia dell'ambasciatore M. C. 1546, ibid.,I, ibid. 1839, pp. 219-288 (Venezia, Civ. Museo Correr, Misc. Correr LII/2223; Ibid., Mss. P. D. 394 II; Ibid., Biblioteca naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 898-1059); Relazione di M. C. ritornato ambasciatore da Carlo V l'anno 1551, ibid., II, ibid. 1840, pp. 195-223 (Venezia, Civico Museo Correr, Misc. Correr LVIII/1551 e LX/2332; Ibid., Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl.VII,cod. 907-908); Relazione del N. H. M. C. cavalier Capitano di Brescia, in Relaz. di rettori veneti a Brescia durante il sec. XVI, a cura di C. Pasero, Toscolano 1939, pp. 74-81 (Archivio di Stato di Venezia, Collegio. Secreta. Relazioni, b. 32, cc. 48r-51r: 1554); Relaz. dell'Impero ottomano di M. C. stato bailo a Costantinopoli nel 1560, in Relazioni degli ambasciatori veneti..., s. 3, I, Firenze 1840, pp. 273-298 (Venezia, Civ. Museo Correr, Misc. Correr LXXVI/2627; Ibid., Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl.VII, cod. 933; Padova, Biblioteca universitaria, Ms. 2223/ 28); W. Andreas, Eine unbekannte venetianische Relation über die Türkei, in Sitzungsberichte der Heidelberger Akad. der Wissenschaften, Heidelberg 1914, p. 5; Parigi, Bibl. nat., Ms. It. 1237: Relat. de le cose di Costantinopoli del 1567 di messer M. di C., bayllo dei signori venet., cc. 60-63 e Viaggio fatto a Constantinopoli a dì primo marzo del 1567per terra et ritorno per mare in Venetia a duodeci ottobre seguente del detto sig. M. di C., cc. 64-67; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., cl.VII, cod. 918: Relatione di Candia del cl.mo ms. M. C., 1572 (vedi anche cl. IV, cod. 347, ma incompleto); Ibid., Civico Museo Correr, Cod. Malvezzi 42/XI e Misc. Correr, LXXXII/2706. Sui manoscritti fiorentini delle Relazioni vedi G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, X, pp. 53, 54, 199. A cura di T. Bertelè è stata pubblicata la Informatione dell'offitio dell'ambasciatore, Firenze-Roma 1935; v. inoltre di G. E. Ferrari, Esordio ad un contributo marciano sui manoscritti veneti di interesse ungherese, in Rapporti veneto-ungheresi all'epoca del Rinascimento, a cura di T. Klaniczay, Budapest 1975, p. 421. Per il profilo biografico: I fiori delle rime de' poeti illustri...,a cura di G. Ruscelli, Venezia 1558; A. Morosini, Degl'istorici delle cose veneziane, VI, Venezia 1748, p. 166, 233-234 (ma i riferimenti sono del lib. VIII); Rime consegnate a Sua Eccellenza il N. H. Signor M. C. capitanio di Bergamo in occasione del glorioso termine del suo aplauditissimo reggimento, Bergamo 1763; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, II, Venezia 1827, pp. 63, 71, 249,332; V, ibid. 1842, p. 592, 624; VI, 2, s. d., p. 99, 547, 893; A. Turetta, Per le faustissime nozze Zanuta-Giustiniani, Padova 1837, pp. 3-12; E. Charrière, Négociations de la France dam le Levant, II, Paris 1850, p. 416; Calendar of State Papers and Manuscripts relat. to English Affairs existing in the Arch. and Collect. of Venice..., a cura di R. Brown, V, London 1873, pp. 132, 297-98; VI, 1, ibid. 1877, p. 168; VII, ibid. 1890, pp. 312-313; M. Sanuto, Diarii, XLIII, Venezia 1895, coll. 41, 43; XLVII, ibid. 1897, coll. 56, 319; XLIX, ibid. 1897, col. 321; L, ibid. 1898, coll. 73, 251, 264; G. De Leva, La politica papale nella controversia su l'Interim di Augusta, in Riv. stor. ital., V (1888), pp. 251-270; VI (1889), pp. 40-52; H. F. Brown, The Venetian Printing Press, London 1891, pp. 213-214; A Moschetti, La prima revisione delle pitture in Padova e nel territorio (1773-1795), in Boll. del Mus. Civ. di Padova, IX-X (1900), pp. 132-133; I libri commem. della Repubbl. di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, Venezia 1903, pp. 279, 317; H. F. Brown, Studies in the History of Venice, II, London 1907, pp. 23-24; W. Andreas, Die venezianischen Relazionen und ihr Verhältnis zur Kultur der Renaissance, Leipzig 1908, pp. 5 ss.; A. Norsa, Il fattore econom. nella grandezza e nella decadenza della Repubblica di Venezia, in Nuova Rivista stor., I (1924), p. 165; P. Molmenti, La storia di Venezia nella vita privata dalle origini alla caduta della Repubblica, II, Bergamo 1928, p. 161; P. Bosmin, Cavalli, in Encicl. Ital., IX, Roma 1931, p. 544; T. Bertelè, Il palazzo degli ambasciatori di Venezia a Costantinopoli e le sue antiche memorie, Bologna 1932, pp. 108, 136-137; A. Da Mosto, I dogi di Venezia con particolare riguardo alle loro tombe, Venezia 1939, p. 88; M. Brunetti, Tre ambasciate annonarie venez. M. (1539-40) e Sigismondo Cavalli (1559-60) in Baviera; M. Ottoboni (1590) a Danzica, in Archivio veneto, LVIII-LIX (1956), pp. 88-115; A. Da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 1960, p. 129; L. Mazzoldi, in Mantova. La storia, II, Mantova 1961, pp. 483, 488; La corrispondenza da Madrid dell'ambasciatore Leonardo Donà (1570-1573), a cura di M. Brunetti-E. Vitale, Venezia-Roma 1963, p. XLV; F. Seneca, Il doge Leonardo Donà…, Padova 1959, p. 282; M. Aymard, Venise, Raguse et le commerce du blé pendant la seconde moitié du XVIe siècle, Paris 1966, p. 82; F. Sansovino, Venezia città nobilissima et singolare, Venezia 1968, p. 62 (lib. I); A. Simioni, Storia di Padova dalle origini alla fine del sec. XVIII, Padova 1968, p. 812; G. Tassini, Curiosità veneziane ovvero origini delle denominazioni stradali di Venezia, Venezia 1970, p. 153; F. Chabod, Storia di Milano nell'epoca di Carlo V, Torino 1971, pp. 76 n. 6, 91 n. 2; D. E. Queller, The development of Ambassadorial Relazioni, in Renaissance Venice, a cura di R. Hale, London 1973, p. 176; P. Preto, Venezia e i Turchi, Firenze 1975, pp. 63 e ss. (ma i dati sono del tutto errati); L. Puppi, Campagnola Domenico, in Dizion. biogr. degli Italiani, XVII, Roma 1974, p. 316; Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. Ventura, I, Bari 1976, p. XVIII; F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, II, Torino 1976, p. 922 n. e ss.; L. Olivato, in Dopo Mantegna - Arte a Padova e nel territorio nei secoli XV e XVI, Milano 1976, p. 86; F. Dupuigrenet-Desroussilles, Le patriciat vénitien et l'Université de Padoue (1517-1560), tesi di laurea presso l'Ecole des Chartes di Parigi, anno acc. 1975-76, pp. 4 ss. (Annexes); confr. pure, come modello di analisi urbane, L. Benevolo, St. dell'arch. del Rinasc., Bari 1977, p. 431.